David non ha mai peccato: parola dei rabbini?

“Rabbi Shmuel bar Nachmani ha detto che Rabbi Yonatan ha detto: Chi dice che David ha peccato non è altro che in errore” (Talmud, Shabbat 56b).

Può un fedele servo di Dio, noto per il suo eroismo e la sua fede, sviarsi e compiere i più aberranti peccati? È quanto la Bibbia ci racconta a proposito del re Davìd, il “re secondo il cuore di Dio”, indiscusso protagonista di gran parte del Libro di Samuele.

Rimasto al sicuro nel suo palazzo mentre l’esercito d’Israele è impegnato in guerra, un giorno David si invaghisce di una donna sposata, Bat-Shèva, moglie di un suo leale soldato, Uriah l’Hittita.

Il re fa subito convocare la donna, la conduce nel proprio letto e la fa rimanere incinta. Poi, per provare a coprire il misfatto, richiama Uriah dalla guerra e lo esorta a giacere con Bat-Sheva, in modo da fargli credere che il figlio sia suo.

Ma lo stratagemma fallisce poiché il fedele Uriah rifiuta di tornare a casa e di unirsi alla moglie mentre i suoi compagni sono ancora sul campo di battaglia. Così David ricorre a un’altra soluzione: far schierare il soldato in prima linea, in modo da farlo morire e sposare la vedova Bat-Sheva.

Il testo biblico è esplicito nel condannare aspramente David. Il narratore infatti dichiara che “ciò che David aveva fatto era male agli occhi di HaShem” (2 Samuele 11:27).

Il profeta Natan, in seguito, rimprovera il re in nome di Dio: “Perché hai disprezzato la parola di HaShem per fare ciò che è male ai suoi occhi? Tu hai colpito di spada Uriah l’Hittita, hai preso in moglie sua moglie e l’hai ucciso con la spada degli Ammoniti!” (12:9).

David stesso riconosce immediatamente le proprie colpe e dichiara: “Ho peccato contro HaShem” (12:13). Nel Salmo 51, egli professa il proprio pentimento con parole inequivocabili: “La mia iniquità io conosco, e il mio peccato mi sta sempre davanti” (v. 4).

Eppure, secondo la citazione riportata all’inizio di questo articolo, David non ha affatto peccato. A sostenerlo è un’opinione rabbinica divenuta tanto nota da essere spesso considerata come la vera e autentica interpretazione ebraica della vicenda di David e Bat-Sheva, fino al punto che, in alcuni ambienti ortodossi, l’idea che David abbia commesso i crimini descritti è ritenuta un’eresia.

Ci proponiamo allora di rispondere a due domande. La prima: come è possibile che nel Talmud si neghi il peccato di David, quando la Bibbia indica le sue colpe in modo chiaro? E la seconda: è davvero corretto affermare che l’Ebraismo abbia “assolto” David sulla base di quanto riportato dal Talmud?

La logica di fondo

Secondo Rabbi Yonatan (e Rabbi Shmuel bar Nachmani, che riferisce le sue parole), David non può essersi macchiato realmente delle colpe che la Scrittura sembra attribuirgli.

Nel medesimo brano talmudico, Rabbi Yonatan dice lo stesso a proposito di altre figure bibliche: Ruben, i figli di Eli, i figli di Samuele, Salomone e Giosia.

Tutti questi personaggi hanno qualcosa in comune: pur avendo compiuto gravi peccati abusando della propria autorità, non sono condannati esplicitamente nel testo biblico per tutti i loro misfatti, oppure non hanno subito una punizione del tutto adeguata.

Ad esempio, nel caso di Ruben, che secondo Genesi 35:22 commise adulterio con la concubina di suo padre, Rabbi Yonatan ritiene inammissibile che egli abbia conservato il proprio posto tra le tribù d’Israele dopo un simile atto. Perciò il maestro suggerisce che il verso che descrive l’adulterio sia solo un eufemismo per alludere a un’azione molto meno peccaminosa.

Rabbi Yonatan sembra seguire dunque questa logica: se un personaggio biblico è passato alla storia come virtuoso, oppure è associato a una figura virtuosa (i figli di Eli e di Samuele), ciò significa che le sue trasgressioni non vadano intese alla lettera.

Lo stesso principio è applicato anche nel caso di David: se il re avesse davvero compiuto dei crimini tanto gravi, la Presenza Divina avrebbe di certo cessato di essere al suo fianco, cosa che non avvenne (Shabbat 56b). Ciò spinge perciò questo maestro a orientarsi verso una lettura apologetica e non letterale della storia.

Le attenuanti rabbiniche

Nel brano è riportata anche un’interpretazione di Rabbi Yehudah HaNassì, che propone una serie di attenuanti a favore di David:

  • Nel rimprovero pronunciato dal profeta Natan, l’espressione “fare il male” (la’assot et HaRà’) viene intesa forzatamente nel senso che David desiderava “fare” il male, ma in realtà non lo fece.
  • Riguardo l’adulterio, si afferma che, dal punto di vista legale, Bat-Sheva non era più sposata con Uriah, poiché i soldati di David erano soliti concedere un “divorzio preventivo” prima di partire per la guerra, in modo che le mogli potessero risposarsi nel caso in cui loro fossero stati catturati dai nemici.
  • Riguardo la morte di Uriah, quest’ultimo meritava di essere giustiziato in quanto si era ribellato contro il re nel definire il generale Yoav “mio signore” (11:11), un appellativo che spetterebbe solo al sovrano. L’errore di David fu quindi solo quello di averlo fatto morire senza porre la questione nelle mani di un tribunale.

Da questa curiosa interpretazione viene fuori una versione del tutto diversa della vicenda biblica, con elementi inediti che capovolgono il significato morale del racconto.

La lettura proposta qui dai Maestri è così palesemente lontana dal testo che c’è chi la intende come una satira piuttosto che come un’esegesi seria (vedi questo articolo di Ezra Zuckerman Sivan), malgrado una parte del mondo religioso ebraico la ritenga invece autorevole e vincolante.

Bisogna però comprendere che, come fa notare Rav Amnon Bazak, quella che assolve David non è l’unica interpretazione contenuta nel Talmud, e dunque non rappresenta il pensiero degli antichi Maestri nel suo complesso.

Nello stesso trattato talmudico, troviamo infatti un altro brano in cui il peccato di David è presentato come un dato di fatto (Shabbat 30a). Altrove, un altro maestro, Rabbi Yehudah bar Ilai, afferma che “David pose sé stesso in tentazione e fallì” (Sanhedrin 107a).

Nel Midrash Tehillim (3, 4) si legge poi che Dio condannò David dicendo: “Tu hai compiuto adulterio, […] tu hai ucciso”.

Ancora nel Talmud (Ketubot 9a) si cita un’altra opinione che non solo riconosce il peccato di David, ma ne accresce la portata rispetto al testo biblico, sostenendo che il re abbia “forzato” Bat-Sheva, in senso fisico o forse attraverso la sua autorità.

La lettura che difende David e reinterpreta radicalmente la vicenda non va quindi intesa in senso dogmatico o monolitico, ma deve essere inquadrata all’interno della pluralità di prospettive che il mondo rabbinico ha tramandato.

Il commento di Abravanel

Mentre Rashi (XI secolo), il più celebre dei commentatori biblici medievali, adotta l’interpretazione di Rabbi Yonatan e giustifica perciò David, altri pensatori ebrei scelgono di seguire un’altra strada.

È il caso di Isaac Abravanel (XV secolo), che nel suo Commentario sottolinea con particolare enfasi l’incompatibilità tra la lettura apologetica e il racconto biblico:

“Come si può immaginare che ‘egli desiderò fare il male ma non lo fece’? Il testo riferisce esplicitamente l’atto malvagio nella sua interezza. […] Pertanto la mia ragione non può accettare di minimizzare il peccato di David, e dunque non negherò la semplice verità. Similmente, come potrei accettare l’affermazione secondo cui gli uomini concedevano il divorzio [preventivo] alle loro mogli? […] Ritengo che sia preferibile affermare che egli peccò effettivamente in modo molto grave, e che riconobbe il proprio peccato profondamente e si ravvide con un pentimento completo, accettando il suo castigo. E fu per questo motivo che i suoi peccati furono espiati”.

Non sorprende però che le parole ragionevoli di Abravanel appaiano oggi agli occhi di alcuni come controverse o persino scandalose. David è una delle figure più celebrate della storia d’Israele, protagonista di imprese straordinarie e autore di salmi recitati ogni giorno con devozione. L’idea che una simile personalità possa aver ceduto ai propri impulsi carnali in maniera tanto empia è di certo difficile da accettare.

La lettura apologetica trova quindi terreno fertile nelle menti di chi non ritiene ammissibile che la reputazione dei grandi protagonisti della storia biblica sia macchiata da scandali e debolezze. Chi però pone al primo posto lo studio accurato del testo non potrà che riconoscere che la Bibbia ebraica non intende mai descrivere modelli di assoluta perfezione (una perfezione irrealistica e irraggiungibile), ma mostrarci caratteri complessi e fallibili la cui grandezza, a volte, sta nel riuscire ad ammettere le proprie colpe e a risalire dall’abisso del traviamento.

Un commento

  1. caro redattore, sono solo le ultime 3 righe del tuo articolo ad essere interessante, perché solo frutto del tuo pensiero, lasciando perdere il pensiero di tutti gli altri presunti maestri, come ti dico sempre. Eppure la colpa non è loro, perché nessuno di loro si è proclamato profeta del Signore, ma di chi invece sacralizza le proprie parole, ponendole a base dell’ebraismo, e sostituendo la Bibbia, con altri libri scritto solo dal pensiero umano. Eppure mi sembra che ti avevo parlato di Davide in qualche commento, e te potresti serivere

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