Sansone: luci e ombre su un eroe biblico

In quel tempo i Filistei dominavano Israele. Shimshon scese con il padre e con la madre a Timnah, e giunsero alle vigne di Timnah, ed ecco un giovane leone venirgli incontro ruggendo. Lo spirito di HaShem lo investì e, senza niente in mano, egli squarciò il leone come si squarcia un capretto (Giudici 14:4-6).

In questo articolo parleremo di uno dei personaggi biblici più famosi, più celebrati e più radicati nell’immaginario popolare, ma forse anche più incompresi. Si tratta di Shimshòn (Sansone), protagonista di alcuni capitoli del Sefer Shofetìm, il Libro dei Giudici.

Pur non analizzando dettagliatamente l’intera storia di questo illustre personaggio, mostreremo come Shimshon costituisca per molti aspetti un caso esemplare: riflettere sulla sua vicenda ci aiuterà a capire in che modo la Bibbia ebraica intende realmente essere letta e interpretata, scoprendo tutta la complessità racchiusa nel messaggio biblico.

Le gesta di Shimshon

La storia di questo eroe d’Israele comincia ancora prima della sua nascita, quando una donna sterile e suo marito Manòach ricevono da un messaggero divino l’annuncio di un figlio che sarà “un nazireo consacrato a Dio fin dal seno materno” (Giudici 13:5). Ciò significa, come spiega il testo, che la madre non potrà bere vino durante la gravidanza, e che al fanciullo non dovranno mai essere tagliati i capelli, come segno di consacrazione.

Shimshon, destinato a “cominciare a liberare Israele dalle mani dei Filistei” (13:6), possiede una forza sovrumana concessagli da Dio, e usa tale dono per annientare i nemici. Questi ultimi cercano più volte di vendicarsi e di catturarlo, ma le loro imprese falliscono. Il punto debole di Shimshon sono però le donne straniere: prima sposa una donna filistea (in seguito uccisa dai nemici per ritorsione), poi si reca da una prostituta di Gaza rischiando di cadere in un agguato, e infine sposa Delilàh (Dalila), un’altra donna filistea.

Delilah, corrotta dai propri connazionali, riesce a scoprire che l’incredibile forza di Shimshon deriva dal suo voto di consacrazione. Gli taglia quindi i suoi lunghi capelli mentre egli è addormentato, rendendolo vulnerabile e permettendo ai Filistei di catturarlo.

Durante una grande festa a cui partecipano i capi dei Filistei, Shimshon, accecato e schernito dai suoi avversari, prega Dio di concedergli forza un’ultima volta. Riesce allora ad abbattere le colonne dell’edificio in cui si svolgono i festeggiamenti, facendolo crollare. Egli muore così insieme a un gran numero di Filistei, più di quanti ne avesse uccisi in tutta la sua vita.

Un eroe della fede?

Chi è dunque Shimshon? Per molti egli è un esempio di coraggio, forza e fedeltà, una sorta di Ercole della cultura ebraica, oltre che un eroe nazionale di Israele.

Nei testi sacri del Cristianesimo, Sansone è annoverato tra coloro che, grazie alla loro fede, compirono grandi imprese ed esercitarono la giustizia (Epistola agli Ebrei 11:32). Alcuni pensatori cristiani successivi lo hanno persino ritenuto una prefigurazione di Cristo, interpretando la sua morte tragica come una sorta di sacrificio per la salvezza ricco di significati teologici.

Nel mondo ebraico, Shimshon è stato nobilitato soprattutto dal moderno movimento sionista, che l’ha scelto come modello positivo dell’Ebreo che lotta con le proprie forze per la libertà. Nel 1996, Dov Shurin, un cantante religioso di estrema destra, gli ha dedicato la sua controversa canzone Zokhreni na (“Ricordati di me, per favore”), il cui testo è basato sulla preghiera pronunciata da Shimshon prima di morire.

In alcune fonti, gli antichi Maestri non esitano però a criticare Shimshon, riconoscendo in lui degli aspetti negativi. Ciò avviene già nella Mishnah, che riporta: “Shimshon seguì i suoi occhi [nel farsi sedurre da donne straniere]. Perciò, i Filistei gli cavarono gli occhi” (Sotah 1:8). Ma non è forse scritto che il matrimonio di Shimshon con la donna di Timnah era stato preordinato da Dio, allo scopo di condurre l’eroe a scontrarsi contro i Filistei (Giudici 14:4)? La Ghemarah risponde che, tuttavia, Shimshon agì secondo il proprio libero arbitrio, per i propri istinti, non per adempiere un comando divino.

Il Midrash Tanchumah, in modo simile, menziona Shimshon come l’esempio emblematico di un “peccatore” che non riesce a sfuggire alla rete della seduzione (Nasò, 4). Ancora più aspro è il Midrash Kohelet Rabbah (1:18), che afferma:

“Alcuni usarono la loro grande forza per il bene, e altri per il male. Quelli che la usarono per il bene furono David e Yehudah; quelli che la usarono per il male furono Shimshon e Goliat”.

Mentre le altre fonti citate si limitano a criticare Shimshon per la sua problematica passione per le donne del nemico, questo midrash arriva addirittura ad asserire che egli usò la sua forza “per il male” (!).

Vedere poi il nome di un consacrato di Dio posto accanto a quello del gigante filisteo Goliat è alquanto sconvolgente. Da dove nasce una simile condanna nei confronti di Shimshon? Si tratta di un’arbitraria rilettura rabbinica, oppure è già la Bibbia ad attribuire qualche “macchia morale” a questo eroe biblico tanto celebrato?

Alla ricerca del vero Sansone

Come ogni personaggio di qualsiasi opera letteraria, anche Shimshon non può essere compreso senza tenere conto del contesto narrativo in cui è inserito.

Shimshon è l’ultimo dei dodici Shofetím (“Giudici”), figure carismatiche di leader del popolo ebraico presentati quasi unicamente come capi militari e liberatori della nazione.

Fin dal Prologo, il Libro dei Giudici narra le storie di questi condottieri seguendo un certo schema, un ciclo che si ripete e che risulta composto da cinque fasi:

  1. Chet (“peccato”): Israele si corrompe adottando i costumi idolatrici delle nazioni vicine e abbandona la Torah.
  2. Onesh (“punizione”): il popolo è lasciato in balia di una potenza straniera che lo opprime e lo domina.
  3. Zeakkàh (“grido”): Israele chiede aiuto a Dio invocando la Sua benevolenza.
  4. Yeshuàh (“salvezza”): Dio suscita un capo e lo conduce a liberare Israele dagli oppressori.
  5. Shalom (“pace”): il popolo vive in pace per l’intera durata della vita del giudice in carica.

Nel caso dei primi giudici, queste fasi si susseguono regolarmente, così come previsto dallo schema: prima gli Israeliti si corrompono e finiscono nelle mani di un nemico, poi gridano a Dio disperati e vengono esauditi.

Tuttavia, nella seconda metà del libro, il ciclo inizia a essere sovvertito man mano che il popolo sprofonda in un degrado sempre più grave. Alcune fasi dello schema, infatti, spariscono, a cominciare dalla quinta, ossia il periodo di pace, di cui non c’è più traccia dopo il racconto dedicato a Ghidòn (Gedeone), che segna lo “spartiacque” del libro. Negli ultimi cinque capitoli, a sparire è addirittura l’intero schema, poiché non si parla più di alcun giudice né di alcuna salvezza.

Focalizziamoci dunque sulla storia di Shimshon (capitoli 13-16): in questo caso, oltre all’elemento della pace (Shalom), manca per la prima volta anche quello del grido di aiuto (Zeakkah). In altre parole, Shimshon è il primo e unico giudice che non viene suscitato dal Creatore in risposta all’afflizione degli Israeliti: il popolo non si rivolge a Dio, non prega, non mostra neppure in alcun modo di aspirare a liberarsi dal giogo dei Filistei. È invece Dio stesso a prendere l’iniziativa di dare a Israele un liberatore, annunciando la sua nascita a due coniugi che, non a caso, proprio come un riflesso fedele dell’intera nazione, non avevano neanche mai pregato per avere un figlio.

Anche dopo che Shimshon è divenuto un guerriero e ha già affrontato con successo i Filistei, il popolo continua a non avere alcun ruolo nella storia, non mostrando il minimo interesse per la lotta contro gli invasori. Anzi, la tribù di Giuda arriva persino a rimproverare Shimshon dicendogli: “Non sai che i Filistei ci dominano? Che cosa ci hai fatto?” (15:11), per poi cercare di consegnare l’eroe ai nemici dopo averlo legato, allo scopo di guadagnare la benevolenza degli oppressori.

Il fatto che questo triste episodio costituisca l’unico vero caso di interazione tra Shimshon e i suoi connazionali è altamente significativo. E quando, poco dopo, il testo dichiara che “egli fu giudice d’Israele per vent’anni” (15:20), sembra quasi che il narratore intenda presentarci una parodia di ciò che un vero Shofet dovrebbe rappresentare per la nazione.

Tutto questo, però, sembra mettere in cattiva luce Israele, non Shimshon. Forse, si potrebbe pensare, Shimshon era un giusto, ma il popolo non era degno di lui. Tuttavia, riflettendo più a fondo sulla sua storia, possiamo scoprire che questo “giudice” non è dipinto davvero come uno tzaddìk, un giusto, né come un liberatore ideale di Israele.

Ciò non si evince solo dal fatto che egli prende in moglie donne filistee (che indubbiamente, secondo la Torah, gli sarebbe stato vietato sposare in quanto pagane), ma anche da qualcosa di più profondo: tutte le volte che Shimshon affronta i Filistei, non lo fa in nome di Dio, né in nome di Israele.

Tra le vicende che lo vedono protagonista, non ci sono guerre, né scontri tra eserciti o rivolte. La sua lotta contro i Filistei è unicamente una battaglia personale. Shimshon è un guerriero solitario che mira a difendere il proprio onore attraverso vendette svincolate da qualsiasi ideale patriottico o religioso.

Talvolta egli agisce per motivi che appaiono frivoli o perché spinto dall’impulsività: compie infatti una strage a causa di una scommessa legata a un indovinello (14:19), e brucia i campi dei Filistei perché suo genero ha dato sua moglie in sposa a un altro uomo (15:1-6); poi, dopo che la moglie è stata uccisa, la vendica compiendo altre stragi (15:7-8).

Sembra insomma che, in assenza di simili episodi in apparenza fortuiti e slegati dalle sorti nazionali di Israele, Shimshon non si sarebbe neppure scomodato a scendere in campo. Dio, però, per tutto questo tempo, lavora “dietro le quinte” usando i vizi e l’impetuosità del suo consacrato per arrecare danni agli oppressori di Israele.

Particolarmente emblematica è la tragica scena della morte di Shimshon. Nel momento in cui sta per infliggere l’ultimo grave colpo ai nemici, un’occasione ideale per sacrificare la sua individualità (finora sempre in primo piano), e magari per riscattarsi e diventare un vero liberatore degli Israeliti, Shimshon sceglie invece di rimanere fedele al solo ideale dell’onore. La sua preghiera finale ne è la prova:

E Shimshon invocò HaShem e disse: «Mio signore HaShem, ricordati di me e dammi forza per questa volta soltanto, Dio, e con un colpo solo mi vendicherò dei Filistei per i miei due occhi!» (16:28).

Anche in un momento così estremo e cruciale, tutto ciò che Shimshon riesce a menzionare è la vendetta per quegli occhi che i Filistei gli hanno cavato. Ancora una ritorsione personale e nessun richiamo al destino del suo popolo e alla salvezza di Israele. Eppure tale salvezza si compie, benché parzialmente, ma ciò avviene come un semplice effetto del sacrificio di Shimshon, non come la realizzazione del suo intento.

Shimshon sembra quindi in definitiva una macchina da guerra nelle mani di HaShem, non consapevole dell’importanza del suo ruolo, quasi indifferente al disegno provvidenziale che si cela dietro la sua esistenza.

Il rimedio agli errori di Shimshon

Pur essendoci mantenuti distanti dalle parole severe del Midrash che accusa Shimshon di aver usato la sua forza “per il male”, abbiamo comunque proposto un’interpretazione piuttosto critica di questo giudice.

Ma è davvero corretto intendere un eroe biblico in chiave negativa, quando il testo non riporta alcuna condanna esplicita? Del resto, in nessun verso si legge che Dio o un profeta abbiano rimproverato Shimshon.

Le condanne esplicite, come ora vedremo, sono però solo uno dei modi che il Tanakh (la Bibbia ebraica) usa per trasmettere il proprio messaggio morale al lettore. Un’importante conferma della nostra interpretazione può giungere infatti da un’altra fonte.

Nella Bibbia, Shimshon non è l’unico giudice d’Israele a essere definito nazír (“nazireo”, consacrato), né ad essere nato miracolosamente da una donna sterile, né ad aver affrontato i Filistei. C’è un altro personaggio che corrisponde a questa descrizione: il profeta Shmuèl (Samuele).

Tra Shimshon e Shmuel esistono molte analogie che riguardano in particolare i racconti della loro nascita, come si nota già dal fatto che le due storie iniziano con la stessa frase introduttiva: “C’era un uomo proveniente da… e il suo nome era…” (vayihì ish echad mi/min… ushemò…), una formula che, con queste esatte parole, non compare in nessun altro racconto biblico.

Nella storia di Shimshon, l’angelo dice alla donna: “Tu concepirai e partorirai un figlio, il rasoio non passerà sul suo capo” (13:5). Channàh, la madre di Shmuel, promette a Dio che, nel caso in cui avrà un figlio, “il rasoio non passerà sul suo capo” (1 Samuele 1:11).

Nel caso di Shimshon, sappiamo che la consacrazione prevedeva anche un altro ordine imposto alla madre: quello di non bere vino (Giudici 13:4). Benché nel caso di Channah non si parli di un simile divieto, è interessante notare che, nello stesso racconto, il sacerdote Eli dice alla donna: “Liberati dal vino che hai bevuto!” (1 Sam. 1:14).

Le due donne emergono come figure insolitamente dominanti nel loro contesto patriarcale, in contrasto ai personaggi maschili, che in entrambe le storie cadono in errore. La madre di Shimshon appare più saggia e perspicace del marito, il quale scambia la rivelazione divina per un presagio di morte; Channah si mostra molto attiva e devota, mentre il sacerdote Eli la crede ubriaca.

In riferimento a Shimshon leggiamo poi: “E il fanciullo crebbe e HaShem lo benedisse” (Giudici 13:24); e a proposito di Shmuel: “E il fanciullo Shmuel crebbe con HaShem” (1 Sam. 2:21).

Sembrerebbe dunque che la Scrittura intenda descrivere Shmuel come un “riflesso” di Shimshon, ma non è esattamente così. Piuttosto, si può dire che il secondo rappresenti il tikkùn cioè la “correzione” o “riparazione” – del primo: Shmuel riesce laddove Shimshon aveva fallito, rimediando agli errori commessi dal suo predecessore, proprio quegli errori che gli abbiamo imputato nella nostra riflessione critica.

Ciò si può comprendere innanzitutto dal divario che separa le rispettive madri: se da un lato la madre di Shimshon, in linea con la sua generazione apatica e sottomessa, riceve passivamente l’annuncio della nascita del figlio, Channah invece prende l’iniziativa di pregare per ricevere da Dio il dono di un bambino, ed è lei a promettere che il suo eventuale figlio sarà un nazireo. In questo modo, Channah diviene l’immagine di una nazione che ha la capacità di ottenere un mutamento delle proprie sorti, quel “grido” che mancava in passato.

Mentre Shimshon viveva lontano dagli Israeliti e non interagiva con loro, Shmuel si pone come una vera e propria guida della nazione, realizzando nel popolo la “rivoluzione del ravvedimento“. E se il primo si rivolgeva a Dio soltanto per pregare per sé stesso, il secondo dichiara davanti agli Israeliti: “Io pregherò HaShem per voi” (1 Sam. 7:5).

Si spiega così il fatto che Shimshon, con le sue stragi di nemici, riesca a ottenere per Israele una salvezza incompleta e momentanea, mentre in riferimento alla vittoria conquistata per mezzo di Shmuel si legge che “I Filistei si arresero e non continuarono a invadere i confini di Israele” (1 Sam. 7:13). La missione di Shimshon viene pertanto completata dal più virtuoso Shmuel. Le analogie tra i due servono allora a fornirci uno specchio letterario in cui possiamo riconoscere le lacune di Shimshon nel momento in cui esse vengono colmate.

Sarebbe facile vedere nell’eroe forzuto e carismatico, l’uomo che ha Dio dalla sua parte, un personaggio del tutto positivo da celebrare e magnificare. Il rischio di cedere a una simile semplificazione è senza dubbio grande. Ma la Bibbia ci vuole più attenti e più saggi, per questo conduce il lettore a non accontentarsi di ciò che è esplicito, invitandolo a scavare più a fondo.

Un commento

  1. Mio caro, dici bene di scavare a fondo. In questo passo tu dici ” Anzi, la tribù di Giuda arriva persino a rimproverare Shimshon dicendogli: “Non sai che i Filistei ci dominano? Che cosa ci hai fatto?” (15:11), per poi cercare di consegnare l’eroe ai nemici dopo averlo legato, allo scopo di guadagnare la benevolenza degli oppressori.” Ebbene, anche gli scribi dissero a Mosè: ci hai reso odioso agli occhi del faraone, quando fallirono nel tentativo di trovare un compromesso con il Faraone, e furono inasprite le loro condizioni di schiavitù. Ma anche nei vangeli viene detto da parte del sommo sacerdote: Non sapete che verranno i romani e distruggeranno il tempio? Perché anche loro volevano cercare un compromesso con i romani. Ed anche loro non alzarono nessun grido, perché non sono mai i capi del popolo ad alzare il grido, intenti sempre a cercare un compromesso con i poteri mondani, ciò che a Dio non piace. Sansone peccò con le donne, a causa delle donne, ma cosa dice il talmud del peccato di Davide? Non peccò anche egli perché una volta, mentre passeggiava sul terrazzo del suo palazzo, i suoi occhi videro una donna, anziché il Signore che dimorava in una piccola tenda in mezzo a tutti gli israeliti? Gli studiosi sono sempre bravi ad analizzare i peccati degli altri, ma sei tu che hai fatto questo disse Natan a Davide; sei tu quell’uomo. Significa dono, il nome Natan, e dobbiamo tutti sperare che il Signore ci invii come dono un profeta come Natan.

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