L’espressione “nel luogo che Dio sceglierà” è ripetuta in questa parashah per ben diciotto volte. Attraverso tale enfasi, Moshè intende stabilire un centro di gravità rituale per la nuova nazione nella sua terra.

L’espressione “nel luogo che Dio sceglierà” è ripetuta in questa parashah per ben diciotto volte. Attraverso tale enfasi, Moshè intende stabilire un centro di gravità rituale per la nuova nazione nella sua terra.
Cosa c’è di più innaturale, terribile e mostruoso di un genitore che uccide il proprio figlio? Un tale crimine appare inconcepibile ed estraneo a qualsiasi etica, forse ancor più quando viene compiuto per motivi religiosi o ideologici.
In tutta la Bibbia ebraica, la condanna dell’omosessualità, oggi tra i temi più controversi nel rapporto tra mondo laico e mondo religioso, è espressa esclusivamente nel Libro del Levitico.
Riprendiamo il nostro confronto sulla questione dell’etica universale dell’Ebraismo rispondendo alle argomentazioni di un nostro lettore. Parleremo in particolare dell’idea secondo cui la Torah prescriverebbe un vero e proprio “genocidio” di alcune popolazioni.
Nella Torah, ciò che lega il popolo d’Israele al suo Dio non è la “fede”, ma un’esperienza nazionale collettiva, una Rivelazione che si fonda sulla storia del popolo, non sull’accettazione di dottrine predicate da un singolo visionario.
“La Torah di HaShem è perfetta, ristora l’anima”, dichiara il re David (Salmi 19:7). Eppure, questa Legge perfetta stabilisce che una ragazza vergine che è stata violentata sia unita in matrimonio al suo stupratore. Ai nostri occhi di lettori moderni e sensibili ai temi legati ai diritti delle donne e al dramma delle molestie sessuali, l’idea appare a dir poco ripugnante.