Il giorno in cui Giosuè (non) fermò il sole

Allora Yehoshua parlò ad HaShem, nel giorno in cui HaShem diede gli Amorrei nelle mani dei figli d’Israele, e disse davanti a Israele: «Sole, fermati in Ghivon, e tu, luna, nella valle di Aialon!». E il sole si fermò e la luna si arrestò, finché il popolo si fu vendicato dei suoi nemici (Giosuè 10:12-13). 

Il più grande prodigio narrato nella Bibbia è a buon diritto anche il più controverso: l’idea che il sole possa “fermarsi”, come è scritto nel Libro di Giosuè, ha dato luogo a riflessioni tortuose sul rapporto tra le leggi della natura e i miracoli divini, a divergenze sull’interpretazione biblica, nonché ad aspre contrapposizioni tra mondo scientifico e mondo religioso. Questo brano ha rappresentato infatti una delle principali argomentazioni in base a cui, nel 1633, Galileo Galilei fu condannato dalla Chiesa cattolica.

Prima di provare a comprendere il significato di questo miracolo, è bene ricostruire la vicenda di cui esso fa parte ed esaminare le principali interpretazioni formulate dal pensiero ebraico nel corso dei secoli. Come vedremo, l’incongruenza scientifica non è l’unico problema che emerge dalla lettura tradizionale di questo brano.

La battaglia di Gabaon

Siamo all’epoca della conquista della terra promessa da parte del popolo d’Israele. Il grande condottiero Yehoshùa (Giosuè), reduce da due clamorose vittorie, riceve una richiesta di aiuto da parte dei Gabaoniti, un popolo che ha da poco stretto alleanza con Israele, e che si ritrova ora sotto attacco da parte di ben cinque re degli Amorrei.

Yehoshua viene subito in soccorso dei Gabaoniti e, rassicurato dalla voce divina che gli dice “Nessuno potrà resisterti” (10:8), si scaglia sui nemici all’improvviso presso la città di Gabaon (Ghivòn), dopo aver “marciato tutta la notte” (10:9).

Mentre gli Amorrei fuggono verso nord, arrivando fino al villaggio di Bet-Horon, Dio fa piovere su di loro una tremenda grandinata, e il testo ci dice che “quelli che morirono per le pietre della grandine furono più numerosi di quelli che i figli d’Israele uccisero con la spada” (10:11).

È a questo punto che troviamo le famose parole di Yehoshua: “Sole, fermati in Ghivon, e tu, luna, nella valle di Aialon” (10:12), a cui fa seguito la gloriosa conclusione del brano: “Non vi fu mai, né prima né dopo, un giorno come quello, in cui HaShem ascoltò la voce di un uomo, perché HaShem combatteva per Israele” (10:14).

Qualcosa non quadra

Che cosa intende il racconto biblico quando dichiara che il sole e la luna “si fermarono”? L’opinione prevalente sostiene che Yehoshua avesse bisogno di prolungare la durata del giorno, in modo da permettere al suo esercito di inseguire i nemici prima che le tenebre gli impedissero di portare a termine l’impresa. Per ottenere ciò, secondo quanto si credeva in passato, era necessario che il sole si arrestasse nel cielo, interrompendo il consueto percorso sulla sua orbita.

Questa interpretazione sembra essere espressa già dall’autore del Siracide (un testo che risale all’epoca del Secondo Tempio), il quale, parlando di Yehoshua, scrive: “Al suo comando si arrestò il sole, e un giorno divenne lungo come due” (46:4). Nel Talmud (Avodah Zarah 25a), i Maestri discutono sull’esatta durata del tempo in cui il sole restò fermo, dando apparentemente per scontato che il miracolo sia da intendere alla lettera. Rashi, Abravanel e altri commentatori seguono la stessa via.

Tutti costoro vissero però molto prima di Copernico e Galileo, al tempo in cui anche i più grandi esperti di astronomia ritenevano che la terra fosse immobile al centro dell’universo, e che gli astri e i pianeti vi ruotassero intorno (sistema geocentrico). Non sorprende allora che per due millenni la frase “Il sole si fermò” non abbia generato alcun dilemma di carattere scientifico.

A ben vedere, anche prima di Copernico il racconto era stato considerato in qualche modo problematico, ma non per questioni astronomiche: agli occhi di alcuni, l’enorme portata del miracolo sembrava comportare uno sconvolgimento troppo radicale e inopportuno della natura. Per questo il Midrash (Bereshit Rabbah 5:5) afferma che, durante la Creazione, Dio stipulò un patto con alcuni elementi del cosmo, tra cui il sole e la luna, ai quali comandò “di fermarsi dinanzi a Yehoshua”. In questo modo, anche un prodigio così eclatante viene inteso come parte dell’ordine naturale fissato in principio.

Un altro problema legato a questo miracolo è rappresentato dal fatto che esso appare molto più grandioso di qualsiasi prodigio mai compiuto da Moshè, benché la Torah definisca quest’ultimo come il più grande dei profeti. È forse possibile che Yehoshua abbia superato il suo illustre maestro? Ralbag risponde elaborando un’interpretazione innovativa e non letterale della storia: il sole e la luna non si fermarono affatto. Il miracolo consisté soltanto nella rapidità sconcertante con cui Yehoshua ottenne la vittoria, tale da dare agli Israeliti l’impressione che il giorno fosse durato più a lungo.

Oggi, chi ha fede nelle parole della Bibbia, ma al contempo accetta le evidenze fornite dalla scienza moderna, è spesso condotto a credere che il testo sacro si esprima in un linguaggio che mira “ad accomodarsi alla capacità popolare” (come scrisse proprio Galileo), spiegando così l’uso di frasi scientificamente inesatte come “il sole si fermò”, che secondo alcuni indicherebbe l’arrestarsi della terra nel suo moto di rotazione.

Immaginare che la terra abbia smesso istantaneamente di ruotare sul proprio asse comporterebbe però una serie di notevoli difficoltà: un simile fenomeno avrebbe infatti causato un cataclisma più che devastante per l’intero pianeta, come potete leggere in questo articolo. Certo, qualsiasi problema potrebbe essere risolto ricorrendo a soluzioni soprannaturali, perché “c’è forse qualcosa che sia troppo difficile per Dio?” (Genesi 18:14). Eppure, anche questa idea non risulta in grado di chiarire il testo dal punto di vista narrativo.

Volendo infatti ignorare qualsiasi questione scientifica, ci chiediamo: qual è lo scopo del miracolo nel racconto? La lettura tradizionale di questo brano ci pone infatti davanti ad almeno quattro difficoltà:

  1. Davvero Dio avrebbe alterato in modo così clamoroso l’ordine del cosmo solo per facilitare gli Israeliti nell’inseguire dei nemici ormai già sconfitti? Si noti la differenza con la divisione delle acque del Mar Rosso (miracolo molto più “moderato”), il cui scopo più immediato era quello di trarre in salvo gli Israeliti, mentre in questo caso il popolo ebraico non correva alcun pericolo.
  2. Il piano non sembra neppure aver funzionato del tutto, perché il testo più tardi riporta che alcuni Amorrei riuscirono a rifugiarsi nelle città fortificate (10:20).
  3. Perché mai Yehoshua si sarebbe preoccupato di chiedere un prolungamento del giorno se il sole, al momento del miracolo, era ancora “in mezzo al cielo” (Giosuè 10:14), e quindi il tramonto era ancora lontano?
  4. Non è chiaro il motivo per cui Yehoshua abbia chiamato in causa anche la luna. Nell’Iliade (II:412-415), l’eroe Agamennone chiede a Zeus di estendere il giorno, ma qui infatti non si fa menzione della luna.

Più luce o più tenebre?

Circa trecento anni prima del processo a Galileo, il Baal HaTurim (Rabbi Yaakov ben Asher), commentando il verso di Levitico 10:3, fece un’affermazione in grado di cambiare radicalmente la comprensione più comune della vicenda di Yehoshua: la frase vayiddòm haShemesh (“e il sole si fermò”) si riferisce a un’eclissi solare.

È forse plausibile che il comando di Yehoshua non fosse volto a ottenere più ore di luce, bensì, all’opposto, a far oscurare il cielo per mezzo di un’eclissi o di un altro fenomeno? Una simile possibilità è compatibile con le espressioni usate nel testo?

In un articolo del 1899, l’esploratore e studioso Claude Reignier Conder propose una corrispondenza tra il verbo ebraico dom – tradotto con “fermati” in Giosuè 10:12 – e la parola accadica damu, che significa “oscurità”. Studi successivi hanno mostrato la correlazione tra tale verbo e alcuni vocaboli impiegati in antichi testi mesopotamici per indicare l’oscurità nel contesto di fenomeni astronomici (come spiegato in un saggio di Daniel Vainstub e Uzi Avner dal titolo “The Miracle of the Sun and Moon in Joshua 10 as a Solar Eclipse“).

Nella Bibbia, questo verbo ebraico è usato nel senso di tacere, fermarsi, o cessare un’attività improvvisamente (Levitico 10:3; Isaia 23:2; Geremia 47:6; Salmi 4:4). Nel caso del sole, può quindi alludere alla cessazione dell’attività principale di questa stella, cioè quella di illuminare. Lo stesso significato potrebbe essere attribuito anche al verbo ‘amad (alla lettera “stare in piedi”), che compare nella frase “e la luna si arrestò” (10:13). I due verbi sono usati come sinonimi in 1 Samuele 14:9, qui nel senso di “attendere” o “essere passivi”.

Un indizio a favore del fatto che il Libro di Giosuè parli di un oscuramento degli astri e non di un’interruzione del loro moto è fornito da un passo del profeta Abacuc. Qui, descrivendo poeticamente alcuni cataclismi scagliati da Dio sulle nazioni malvagie, il testo usa un linguaggio che ricorda il miracolo del tempo di Yehoshua:

Il sole [e] la luna si sono arrestati (‘amad) nella loro dimora elevata, alla luce le tue frecce si sono mosse, al lampeggiare della tua lancia sfolgorante (Abacuc 3:11).

Il profeta, che nello stesso capitolo menziona anche terremoti, pestilenze, alluvioni e altri flagelli, in questo verso parla di una tempesta spaventosa, presentando i fulmini che squarciano il cielo come le frecce e le lance della Divinità.

Secondo Abacuc, a causa di questa tempesta, il sole e la luna si “arrestano” (lo stesso verbo che troviamo in Giosuè 10:13), cioè scompaiono, nascosti dalle nubi, mentre le uniche luci presenti sono quelle dei fulmini. Abbiamo così un esempio biblico in cui l’arresto dei corpi celesti indica un offuscamento della loro luce.

Immagini simili si ritrovano in molti brani profetici, in cui il giudizio divino si accompagna spesso all’annuncio dell’oscuramento del cielo. Isaia, ad esempio, dichiara che nel giorno della caduta di Babilonia “Il sole si oscurerà al suo sorgere e la luna non diffonderà la sua luce” (13:10); Gioele, parlando della punizione che Dio infliggerà alle nazioni, minaccia: “Il sole sarà mutato in tenebre e la luna in sangue” (2:31).

Zaccaria, nel descrivere la guerra finale tra Gerusalemme e i suoi invasori, annuncia: “Sarà un giorno unico, conosciuto da HaShem. Non sarà né giorno né notte, ma verso sera ci sarà luce” (14:7).

L’idea che Yehoshua abbia invocato le tenebre sul campo di battaglia, e non la luce, appare inoltre coerente con l’elemento della grandine che si abbatte sugli Amorrei. Prende forma così l’immagine di una tempesta che spaventa e sbaraglia le truppe nemiche, in linea con il modello apocalittico che troviamo nei Profeti.

Un tramonto più lungo

Resta a questo punto da chiarire un’altra frase del racconto, che non abbiamo ancora citato:

Ciò non sta forse scritto nel libro del Giusto? E si fermò il sole in mezzo al cielo e non si affrettò a tramontare come un giorno intero (Giosuè 10:13).

Il testo biblico riporta qui una citazione dal Sefer HaYashar (“Libro del Giusto”), menzionato anche in 2 Samuele 1:18, che con ogni probabilità era un’antica raccolta poetica di canti epici. Non stupisce allora che le parole citate siano scritte in un linguaggio piuttosto criptico.

La frase VeLo atz lavò’ keYom tamim, alla lettera “e non si affrettò a tramontare come un giorno intero”, ha dato luogo a molte ipotesi diverse. Secondo l’interpretazione che abbiamo proposto, significherebbe che il sole non dovette “affrettarsi” a tramontare dopo essere giunto alla fine del suo corso, come avviene in un “giorno intero“, cioè in un giorno ordinario, ma cominciò a tramontare (cioè smise di splendere) molto prima, quando era ancora “in mezzo al cielo”.

In altre parole, in quel giorno anomalo si verificò, dal punto di vista di chi si trovava nella zona della battaglia, un lungo tramonto apparente causato della tempesta che scatenò il panico tra gli Amorrei.

Seguendo questa lettura, possiamo facilmente risolvere i quattro problemi narrativi che abbiamo rilevato in precedenza:

  1. Far oscurare il cielo non comportava alcuno stravolgimento non necessario della natura. Tale miracolo è strettamente legato alla grandinata che travolse i nemici, e appare perciò coerente con il contesto.
  2. Il fatto che alcuni Amorrei siano sopravvissuti non rappresenta un’incongruenza, perché lo scopo del miracolo non era quello di impedire la fuga di tutti i nemici, ma di terrorizzarli dopo che essi erano già stati colti di sorpresa dall’improvviso attacco notturno di Yehoshua (10:9).
  3. Il fatto che l’evento sia avvenuto in pieno giorno non pone alcuna difficoltà, anzi rafforza l’ipotesi della tempesta che offusca il consueto splendore del sole.
  4. La luna, che risulta visibile anche in determinate ore del giorno, è chiamata in causa perché anch’essa scomparve dietro le nubi che coprirono il sole.

I danni del letteralismo

Qualunque sia il significato più corretto della storia della battaglia di Gabaon, è certo che essa vada letta e compresa secondo i parametri del genere letterario a cui appartiene. Quando ci confrontiamo con il testo biblico, dobbiamo sempre ricordare che non ci troviamo davanti a un resoconto scientifico, né a un’opera storiografica o a un report giornalistico. Nulla di tutto questo si avvicina alle Scritture.

Con il suo linguaggio figurato e iperbolico, la Bibbia parla di stelle che scendono a combattere sulla terra insieme agli uomini (Giudici 5:20); di astri che cantano con gioia (Giobbe 38:7); del cielo che annuncia la giustizia (Salmi 96:6); di monti che saltano come animali (Salmi 114:4); di depositi dove Dio conserva la neve (Giobbe 38:22); degli esuli israeliti dispersi “fino all’estremità del cielo” (Deut. 30:4).

Alcune di queste immagini riflettono concezioni arcaiche dell’universo, altre sono il frutto di pura creatività poetica, ma nessuna di esse è stata scritta con l’intento di trasmettere nozioni scientifiche di astronomia o geologia, né tantomeno di imporre idee dogmatiche sulla struttura del cosmo. L’orizzonte a cui guarda il testo biblico è invece unicamente quello morale e teologico.

Usare dei versi poetici per tentare di porre limiti alla ragione o allo studio della natura significa commettere un grave errore di metodo, lasciandosi sfuggire il vero intento del testo, ed è sconfortante pensare a quanti danni siano stati compiuti a causa di tale errore nel corso dei secoli.

“Il letteralismo”, ha scritto il grande studioso ebreo Nahum Sarna, “travisa il senso della narrazione, oscura ciò che in essa è significativo ed eterno e distrugge la sua rilevanza”.

5 commenti

  1. La storia di Giosue è intorno al secolo XII a.c. circa 3200 anni fà .
    Nel Ciad in africa sono stati fatti studi al radio carbonio su pollini fossilizzati aventi data certa all’incirca di 2700 a.c.
    Sono stati fatti studi da geografi su cosa succederebbe se la terra girasse su se stessa in senso inverso di come attualmente gira.
    Questi studi computerizzati hanno portato alla conclusione che dove oggi esiste il sahara tornerebbe un florida vegetazione lo stesso anche nella penisola arabica. Mentre parte delle Americhe diventerebbe deserto.
    Questo è evidente da foto dallo spazio dove un tempo il sahara era pieno di fiumi .
    In conclusione quel giorno vi fu luce per 24 ore in quanto la rotazione della terra si fermo per poi continuare nell’altro senso .
    Un saluto al redattore perché ci aiuta a comprendere le scritture dei profeti in una maniera diversa dall ‘approccio che potremmo avere noi cristiani che partiamo dal vangelo e forse a volte giungiamo al pentauco .
    Prima della battaglia nei cieli sulla terra si potevano sentire i suoni che gli astri emettevano, basta sentire il canto dei grilli rallentato molte volte ebbene il suono e una melodia celestiale , come se cantassero 100 angeli.
    si può ascoltare basta scrivere in google il canto dei grilli rallentato 280 volte.
    lqsp ssr

  2. Caro redattore, scrivi:

    “Far oscurare il cielo non comportava alcuno stravolgimento non necessario della natura. Tale miracolo è strettamente legato alla grandinata che travolse i nemici, e appare perciò coerente con il contesto.”

    Se ho compreso cosa intendi, HaShem non fermò il moto del sole e della luna, tuttavia esaudì la richiesta di Giosuè, che voleva l’annientamento dei nemici, con un diverso prodigio. Tale prodigio si sarebbe manifestato con una tempesta che oscurò il cielo da cui piovevano massi sugli amorrei.

    Bisogna considerare, però, che quando il cielo è nuvoloso gli astri non sono visibili. Invece, dopo quell’invocazione, ci furono lo spettacolo del sole e della luna immobili nella volta celeste e il prodigio di un giorno lunghissimo. Questo è ciò che rivela il verso 13:

    “Si fermò il sole
    e la luna rimase immobile
    finché il popolo non si vendicò dei nemici.
    Non è forse scritto nel libro del Giusto: «Stette fermo il sole in mezzo al cielo e non si affrettò a calare quasi un giorno intero.”

    Se in quell’occasione Dio ha voluto impressionare gli uomini con un altro dei suoi portenti, non credo abbia avuto la necessità di sospendere realmente il moto del globo terrestre. Gli sarebbe bastato compiere un’illusione ottica, una sorta di spettacolo non troppo dissimile dagli attuali effetti cinematografici. In altre parole, avrebbe creato un finto disco solare che illuminasse il territorio dello scontro. Per illudere la percezione umana, come ben sanno i prestigiatori, sono sufficienti dei trucchi più semplici. Insomma, non conta ciò che avviene ma ciò che appare. E quello che apparve agli israeliti, stando alla rivelazione biblica, non fu un cielo tenebroso offuscato da spesse nubi temporalesche ma, all’opposto, un sole splendente che non si muoveva.

    In quanto alle pietre che cadevano sui nemici in fuga, questo evento non implica che ci fosse una tempesta poiché non si trattava di grandine d’acqua proveniente da nuvole ma di un vero bombardamento di massi come se fosse causato da innumerevoli catapulte.

    1. “Lo spettacolo del sole e della luna immobili nella volta celeste” compare inequivocabilmente nella maggior parte delle traduzioni, ma il testo ebraico si può leggere anche in modo diverso, un modo che a me appare decisamente più coerente con il contesto. Come ho scritto nell’articolo, abbiamo un passo nel libro di Abacuc in cui la frase “il sole e la luna si arrestano” significa “il sole e la luna si oscurano” (a causa di una tempesta). Dato che qui si usa lo stesso verbo che compare in Giosuè 10 (‘amad), perché non intendere allo stesso modo anche il prodigio della battaglia di Gabaon? In fondo le battaglie miracolose della Bibbia sono spesso associate al buio e alla tempesta che confondono i nemici, mentre il prolungamento del giorno sarebbe un unicum.
      Per quanto concerne la caduta di pietre, il verso 10 parla effettivamente di “pietre” (avanim), ma al verso 11 precisa che si trattava di “pietre di grandine” (avanim haBarad), usando lo stesso vocabolo che troviamo in Esodo nel caso della piaga della grandine.

      1. Se la corretta interpretazione di questo avvenimento biblico si riduce a una questione di etimologia, e quindi che l’effettiva invocazione di Giosuè fosse “oscuratevi sole e luna” nel senso che voleva si scatenasse una tempesta, potresti dirmi perché al verso 13 le seguenti traduzioni usano verbi differenti per indicare ciò che accadde al sole e alla luna?

        “E il sole si fermò, e la luna RIMASE al suo posto” – Nuova Riveduta

        “Si fermò il sole
        e la luna RIMASE immobile” – Cei

        “Così il sole si fermò e la luna SI ARRESTÒ – Diodati

        “E il sole si fermò, e la luna RIMASE al suo luogo” – Liuzzi

        Se si trattasse di arbitrii letterari da parte dei traduttori, allora il verso 13 che qui riporto dalla Cei:

        “Si fermò il sole
        e la luna rimase immobile
        finché il popolo non si vendicò dei nemici.
        Non è forse scritto nel libro del Giusto: «Stette fermo il sole in mezzo al cielo e non si affrettò a calare quasi un giorno intero.”

        dovrebbe essere tradotto più o meno in quest’altra maniera:

        Si OSCURÒ il sole
        e anche la luna si OSCURÒ
        finché il popolo non si vendicò dei nemici.
        Non è forse scritto nel libro del Giusto: «Rimase OSCURO il sole in mezzo al cielo e NON SI AFFRETTÒ A SPLENDERE quasi un giorno intero.”

        Con questa traduzione alternativa mi sembra però che emergano diverse assurdità: cosa c’è di straordinario che il sole, dopo che si fu oscurato a causa delle nubi, non si affrettò a splendere per un giorno intero? Quando c’è cattivo tempo, perfino in estate, il sole può rimanere coperto per giorni, e in inverno anche per settimane.
        La maggiore perplessità sorge al verso 14, che recita:

        “Non ci fu giorno come quello, né prima né dopo”

        Senza dover scomodare il diluvio universale, che avvenne prima, in quanto al dopo, anche ai giorni nostri, tutti gli anni nel mondo vi sono cicloni, uragani, tsunami, inondazioni che farebbero impallidire la presunta tempesta durante la battaglia di Gabaon.

      2. Il motivo per cui i traduttori scelgono qui espressioni diverse sta nel fatto che i verbi utilizzati dall’autore biblico sono effettivamente ardui da tradurre, in quanto attribuiscono agli astri delle azioni umane, che tra l’altro, anche quando sono compiute da umani, possono essere intese in vari modi.
        Nel testo troviamo “damah” riferito al sole, che significa principalmente “tacere” o “smettere”. Poi abbiamo il verbo “amad”, che è “stare in piedi”, “aspettare”, “essere passivi”. In un qualsiasi vocabolario troverai una vasta gamma di significati. L’unico altro caso in cui il verbo amad è attribuito agli astri è proprio nel verso di Abacuc che ho già citato, e che parla appunto di una tempesta. Poi abbiamo fonti extrabibliche (accadiche) in cui si utilizzano verbi analoghi a quelli usati in Giosuè 10 per riferirsi all’oscuramento del sole.
        Di contro, abbiamo una lunga tradizione che interpreta il miracolo nel modo in cui tutti lo conoscono, ma si tratta appunto solo di una tradizione.

        Il verso 13, poi, non può essere tradotto con “non si affrettò a splendere”. Qui il verbo usato (lavo’) non è equivoco: quando è applicato al sole, indica sempre il tramonto.
        Dunque il verso 13 recita: “Il sole cessò [di splendere] in mezzo al cielo e non si affrettò a tramontare come [avviene invece] in un giorno completo”.
        Il verbo “affrettarsi” indica una costrizione, qualcosa che si compie quando si è incalzati o forzati (lo troviamo in Esodo quando il Faraone rende più severa la schiavitù degli Israeliti). Perciò il verso può significare che il sole non fu costretto a tramontare alla fine del normale percorso che compie in un “giorno completo”, ma poté tramontare molto prima, quando era “in mezzo al cielo”, appunto senza affrettarsi. È contorto, ma ricordiamo che si tratta di un verso poetico tratto da un antico canto del “libro del Giusto”.

        Il verso 14, infine, ci presenta l’evento come unico e straordinario non per il fatto che il sole si sia oscurato, ma “poiché HaShem ascoltò la voce di un uomo”. Nella Bibbia siamo abituati alle battaglie in cui Dio interviene di sua iniziativa per salvare il popolo, mentre qui il prodigio avviene su esplicita richiesta di Yehoshua.

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