E HaShem disse ad Avràm: «Va’ via dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Io farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e tu diventerai una benedizione (Genesi 12:1-2).
Chi è quest’uomo di nome Avràm (Abramo), a cui Dio si rivela con grandi promesse e benedizioni? Quale merito gli ha permesso di essere scelto per un ruolo tanto importante? La Bibbia sembra tacere.
Il racconto della Genesi ci dice che Abramo aveva un padre chiamato Terach, due fratelli (Nachor e Haran), un nipote (Lot) e una moglie sterile (Sarai). Sappiamo inoltre che l’intera famiglia era emigrata dalla città di Ur Kasdim, in Mesopotamia, e si era stabilita a Charan, dove Terach era morto (Genesi 12:24-32). Nient’altro ci viene rivelato dalle Scritture sul misterioso passato di colui che sarebbe diventato il padre del popolo ebraico, né sul motivo per cui Dio lo scelse. Tuttavia, come è noto, gli “spazi vuoti” lasciati dal testo biblico vengono puntualmente colmati dagli antichi Maestri della tradizione rabbinica. Il Midrash racconta infatti in maniera dettagliata alcuni eventi inediti della vita di Abramo, e in particolare:
- La vicenda del giovane Abramo che distrusse gli idoli di suo padre Terach per fargli comprendere l’assurdità dell’idolatria.
- Il racconto di come Abramo sopravvisse miracolosamente dopo essere stato gettato in una fornace di fuoco dal re Nimrod, a causa del suo rifiuto del politeismo.
Come affermò la studiosa Nechama Leibowitz, queste due storie sono talmente conosciute fra gli Ebrei che in molti sono persino convinti che esse si trovino nella Bibbia, mentre in realtà compaiono soltanto in varie fonti rabbiniche.
Ma da dove sono venuti fuori questi racconti?
L’opinione più nota nell’Ebraismo sostiene che si tratti di storie realmente accadute, tralasciate dalla Bibbia per motivi ignoti, ma tramandate oralmente di generazione in generazione fino alla composizione dei testi rabbinici del Midrash (dopo la distruzione del Secondo Tempio). Rav Yaakov Medan, capo della Yeshivat Har Etzion, affronta però la questione in maniera diversa, proponendo un approccio davvero illuminante:
“I nostri Saggi di benedetta memoria non erano dei cantastorie, e coloro che intendono i loro insegnamenti alla lettera sono ovviamente ingenui. Lo scopo delle narrazioni dei Saggi non è quello di trasmettere antiche leggende, bensì quello di interpretare la Torah. La fonte dei racconti dei Saggi è spesso da individuare fra gli episodi biblici precedenti.
Proviamo a dare una spiegazione. In molti casi la Torah è misteriosa non si dilunga sui dettagli degli eventi e sulle loro ragioni. Ciò vale anche per il nostro caso, poiché non troviamo alcuna spiegazione della partenza di Terach da Ur Kasdim, e neppure della scelta di Abramo da parte di Dio. I Saggi, in quanto commentatori biblici, ci chiariscono ciò che nella Torah è opaco. Per tale ragione essi creano leggende che “riempiono i vuoti” nel testo.
Ogni volta che ci sono dei vuoti nella narrazione biblica, i Saggi mettono a confronto i personaggi della storia in esame con quelli di un altro passo biblico. Questo confronto fornisce le basi per un “riempimento” del quadro, per creare una sorta di “fotomontaggio” che permette di recuperare i pezzi mancanti del puzzle” (fonte: http://www.vbm-torah.org/archive/parsha65/02-65noach.htm).
In parole più semplici, Rav Medan afferma che i racconti del Midrash non derivano da tradizioni orali millenarie relative ad eventi storici, ma dalla Bibbia stessa. I Maestri usano infatti brani biblici diversi come fonte per creare storie utili a colmare i vuoti lasciati dal testo. Questo strano procedimento, che è più facile da comprendere attraverso gli esempi che da spiegare, ha una sua logica e delle ragioni precise che ci apprestiamo ora a scoprire. Prendiamo dunque in esame le due vicende sulla gioventù di Abramo per individuare la loro origine biblica e il loro significato.
– Abramo il distruttore di idoli
Il Midrash (Bereshit Rabbah 38, 13) racconta:
“Terach era un adoratore di idoli. Un giorno egli si recò in qualche luogo, e lasciò Abramo ad occuparsi del suo negozio. […] Giunse una donna, che portò una ciotola di farina e disse ad Abramo: «Prendi la ciotola e offrila agli idoli». Abramo si alzò, prese un bastone e distrusse tutti gli idoli, lasciando il bastone nelle mani dell’idolo più grande. Quando suo padre fece ritorno, chiese ad Abramo: «Chi è stato a fare questo?» Egli rispose: «Che cosa ho da nascondere? Una donna è venuta con una ciotola di farina e mi ha detto di offrirla agli idoli. Io la ho offerta, ma un idolo ha detto: la mangerò prima io! E un altro ha detto: la mangerò prima io! Allora l’idolo più grande si è alzato, ha preso il bastone, e li ha frantumati».Terach disse: «Che sciocchezze mi stai dicendo? Gli idoli hanno forse un intelletto?» Abramo rispose: «Le tue orecchie ascoltino ciò che la tua bocca ha detto!» Terach allora lo portò dinanzi a Nimrod”.
Se il principio espresso da Rav Medan è corretto, dobbiamo allora chiederci quale passo della Bibbia sia stato utilizzato dai Maestri come base di ispirazione per comporre la storia di Abramo e degli idoli. Esiste in effetti, come hanno notato vari autori (tra cui Rav Amnon Bazak e lo stesso Rav Medan), una storia biblica decisamente simile alla vicenda narrata nel Midrash. Si tratta del racconto di Ghideon (Gedeone), narrato nel libro dei Giudici:
Hashem disse a Ghideon: «Prendi il giovenco di tuo padre e un secondo giovenco di sette anni, demolisci l’altare di Baal fatto da tuo padre e taglia il palo sacro che gli sta accanto. […] Allora Ghideon prese dieci uomini fra i suoi servitori e fece come Hashem gli aveva ordinato; ma temendo di farlo di giorno, per paura dei suoi parenti e della gente della città, lo fece di notte. Quando il mattino dopo la gente della città si alzò, vide che l’altare di Baal era stato demolito, che il palo sacro accanto era stato tagliato e che il secondo giovenco era offerto in olocausto sull’altare che era stato costruito. Si dissero l’un altro: «Chi ha fatto questo?». Investigarono, si informarono e dissero: «Ghideon, figlio di Yoash, ha fatto questo». Allora la gente della città disse a Yoash: «Conduci fuori tuo figlio e sia messo a morte, perché ha demolito l’altare di Baal e ha tagliato il palo sacro che gli stava accanto». Yoash rispose a quanti insorgevano contro di lui: «Volete difendere voi la causa di Baal e venirgli in aiuto? Chi vorrà difendere la sua causa sarà messo a morte prima di domattina; se Baal è un dio, difenda da sé la sua causa, per il fatto che hanno demolito il suo altare» (Giudici 6:25-31).
Anche Ghideon, come il giovane Abramo del Midrash, distrugge gli idoli di suo padre e si schiera contro una società politeista in cui l’idolatria dilaga. Inoltre, in entrambi i racconti, le divinità pagane diventano oggetto di un’ironia dissacrante: Il padre di Ghideon dichiara: “Se Baal è un dio, difenda da sé la sua causa”, e analogamente, Abramo dice a Terach che è stato l’idolo più grande a distruggere gli altri, deridendo così le credenze degli idolatri.
Ma per quale motivo i Saggi del Midrash hanno deciso di accomunare Abramo a Ghideon? La scelta, in realtà, non è stata affatto casuale. La Bibbia stessa, nel libro dei Giudici, traccia alcuni chiari parallelismi tra Ghiedon e il suo antenato Abramo:
- Nella Genesi, Abramo riceve la visita degli angeli di Dio presso le querce di Mamrè (Genesi 18:1). Allo stesso modo, l’angelo di Dio appare a Ghideon “sotto la quercia di Ofrah” (Giudici 6:11).
- Come Abramo, anche Ghideon offre all’angelo un’oblazione di carne e farina.
- Sia Abramo (in Genesi 15:2-3) che Ghideon (in Giudici 6:15) presentano i loro dubbi dinanzi a Dio, usando espressioni simili.
- Abramo prevale nella “guerra dei quattro re” con un esercito di soli trecentodiciotto uomini (Genesi 14:14). Ghideon sconfigge i Midianiti, gli Amalekiti e i Benei Kedem con i suoi trecento uomini (Genesi 7:7) .
Rabbi Nathaniel Helfgot, riflettendo su tutte queste somiglianze, scrive nel suo libro Mikra and Meaning:
“Sembra che i rabbini del Midrash, nella loro lettura approfondita del testo, abbiano riconosciuto che il libro dei Giudici descrive chiaramente Ghideon a immagine di Abramo. Il linguaggio, la tipologia delle scene e le immagini hanno lo scopo di far comprendere al lettore che questo grande eroe ha seguito le orme del suo grande antenato. Considerando questa lettura, credo che i rabbini abbiano adoperato la semplice logica dell’intertestualità. Se il testo biblico paragona Ghideon ad Abramo, ciò significa che esiste un profondo legame tra i due personaggi. Quindi, se Abramo può insegnarci qualcosa su Ghideon, allora Ghideon, a sua volta, può insegnarci qualcosa su Abramo, specialmente negli aspetti su cui il testo tace”.
Dunque la storia del Midrash sembra avere l’intento di evidenziare il legame tra Abramo e Ghideon, e di elaborarlo ulteriormente in modo da forgiare un racconto che diviene fonte di vari insegnamenti e che esalta la figura del primo patriarca ebreo. Il brano del Midrash risulta perciò molto utile ed istruttivo, purché non venga ignorato il fatto che esso faccia parte delle riflessioni omiletiche della tradizione rabbinica, non del testo della Torah.
– La fornace di Ur Kasdim
Dopo l’episodio degli idoli, secondo il Midrash Bereshit Rabbah, Abramo fu condotto al cospetto di Nimrod, re di Bavèl (Babilonia). Il sovrano esortò il giovane ad adorare gli elementi della natura, ma questi si rifiutò e fu condannato a morire in una fornace ardente. Dio però intervenne per salvare Abramo, benché non gli si fosse ancora rivelato.
Il fatto che anche questa seconda storia derivi da un racconto biblico è particolarmente evidente. La fornace di Nimrod rievoca infatti un’altra fornace, quella del re Nevukadnetsar (Nabucodonosor), in cui furono gettati i tre giovani Shadrakh, Meshakh e Eved-Nego. La vicenda è narrata nel libro di Daniele (capitolo 3):
Il re Nevukadnetsar fece costruire un’immagine d’oro, alta sessanta cubiti e larga sei cubiti, e la fece erigere nella pianura di Dura, nella provincia di Babilonia. Poi il re Nevukadnetsar mandò a radunare i satrapi, i prefetti, i governatori, i giudici, i tesorieri, i consiglieri di stato, gli esperti nella legge e tutte le autorità delle province, perché venissero alla inaugurazione dell’immagine che il re Nevukadnetsar aveva fatto erigere. […] Quindi l’araldo gridò a gran voce: «A voi, popoli, nazioni e lingue è ordinato che, appena udrete il suono del corno, del flauto, della cetra, della lira, del salterio, della zampogna e di ogni genere di strumenti, vi prostriate per adorare l’immagine d’oro che il re Nevukadnetsar ha fatto erigere; chiunque non si prostrerà per adorare, sarà subito gettato in mezzo a una fornace di fuoco ardente».
Gli unici a non prostrarsi davanti all’enorme statua del re furono Shadrakh, Meshakh e Eved-Nego, tre Ebrei deportati a Babilonia. Essi dichiararono la loro fedeltà esclusiva a Dio, e furono perciò gettati nella fornace:
Quindi i satrapi, i prefetti, i governatori e i consiglieri del re si radunarono per osservare quegli uomini: il fuoco non aveva avuto alcun potere sul loro corpo, i capelli del loro capo non erano stati bruciati, i loro mantelli non erano stati alterati e neppure l’odore di fuoco si era posato su di loro (Daniele 6:27).
Ciò che abbiamo osservato per quanto riguarda la storia di Ghideon, si può applicare ugualmente anche in questo caso. I Maestri del Midrash devono aver notato una certa similarità tra la statua d’oro di Nevukadnetsar, il monumento a cui dovevano inchinarsi “popoli, nazioni e lingue” nello stesso istante, e la Torre di Babele, segno dell’arroganza di un’umanità con una sola lingua (Genesi 11:1) e di un potere imperiale volto all’unificazione del mondo. Sia la statua che la torre rappresentano l’orgoglio blasfemo di Babilonia, incarnato da Nevukadnetsar e dal suo antico predecessore Nimrod. A questa forma di idolatria dispotica si opposero con fermezza i tre giovani ricordati nel libro di Daniele, e prima di loro anche Abramo, che abbandonò la Mesopotamia (dominata da Nimrod) e divenne il padre di una fede agli antipodi con quella dei suoi connazionali.
Il racconto del Midrash stabilisce una connessione testuale tra la figura di Abramo e quella dei tre giovani, un ponte tra la Genesi e il libro di Daniele che ci consente di interpretare la storia della Torre di Babele alla luce di quella della statua di Nevukadnetsar, rivelandoci elementi della polemica contro Babilonia che nella Genesi sono solo impliciti. Ridurre tutto ciò a una semplice raccolta di notizie storiche inedite sulla vita di Abramo, da intendere quindi letteralmente, significa rinunciare a un grande strumento che i Saggi d’Israele hanno fornito per comprendere il messaggio della Torah.