Sono proibiti i rapporti sessuali di un uomo con la moglie di un altro uomo (adulterio), con la propria madre, con la moglie del proprio padre, con la propria sorella, i rapporti carnali tra due uomini e quelli tra esseri umani ed animali.
La proibizione dell’immoralità sessuale ha lo scopo di impedire che la sessualità umana (esaltata dalla Torah) diventi una causa di degradazione per l’individuo e la comunità.
Matrimonio e divorzio
Nella Legge noachide, un uomo e una donna che decidono di vivere insieme e di suggellare la loro unione con il rapporto sessuale sono già considerati sposati. Nel suo libro Israele e l’umanità, Elia Benamozegh spiega:
«Cos’è che costituisce il matrimonio nella religione universale? Unicamente il fatto di appartenersi in modo esclusivo. Ma è naturale supporre che, essendo l’istituzione dei magistrati uno dei precetti imposti ai noachidi, tale donazione esclusiva degli sposi debba essere constatata dall’autorità pubblica, non fosse che per rendere possibili l’azione legale contro l’adulterio e la devoluzione dell’eredità».
Un riconoscimento legale del matrimonio è dunque altamente preferibile.
Secondo l’opinione rabbinica generalmente accettata, nella legge noachide il divorzio avviene quando uno dei due coniugi decide di porre fine alla relazione e di abbandonare la dimora familiare. Anche in questo caso è bene che il procedimento segua una regolazione giuridica.
Origine biblica del precetto
L’unione coniugale è istituita e resa sacra nel Libro della Genesi:
«Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, ed essi saranno una sola carne» (Genesi 2:24).
Nella vicenda di Avimelech, narrata in Genesi 20, l’adulterio è esplicitamente definito un peccato.
Le varie proibizioni di natura sessuale, in particolare l’incesto, sono elencate nel capitolo 18 del Levitico, dove la natura universale di queste leggi è dimostrata dal fatto che i Cananei e gli Egiziani sono ritenuti colpevoli di averle trasgredite (vedi Levitico 18:24-25).
Sulla moralità sessuale
Riguardo all’etica universale dei precetti noachidi, i quali sono con tutta evidenza in linea con la Torah, l’incesto è definito da quest’ultima abominevole; i cananei, sprezzanti delle leggi noachidi, lo praticavano con altre empietà meritandosi perciò il genocidio e lo sfratto dalla loro terra. A ben vedere, però, anche i patriarchi biblici erano abitualmente usi all’incesto: Abramo sposò la propria sorellastra (un atto definito infame in Levitico 20:17) mentre suo fratello Nahor sposò sua nipote Milca (divieto in Levitico 18:14). I nipoti di queste due coppie incestuose, Giacobbe e le sue cugine Rachele e Lia, si unirono a loro volta in matrimonio, ma l’unione fra cugini non sembra sia vietato dalle suddette leggi. Lo è però l’unione fra suocero e nuora (divieto in Levitico 20:12), e Giuda, capostipite dei giudei, ebbe la sua discendenza proprio da sua nuora Tamar. Va osservato che quest’ultima non fu punita da Dio per aver fatto sesso col suocero, come invece lo erano già stati i suoi due mariti per i loro peccati. Da un altro rapporto incestuoso nacquero Mosè e Aronne, giacché i loro genitori erano rispettivamente zia e nipote (divieto in Levitico 20:19).
Quei patriarchi, viene spontaneo chiedersi, erano consapevoli di commettere atti sessuali talmente riprovevoli, gli stessi che erano commessi dalle nazioni suscitando la collera divina, atti proibiti dai precetti noachidi?
Ancora a proposito dell’incesto: in Levitico 20:11 è affermato il divieto di avere rapporti con la matrigna, tuttavia, secondo le regole della monarchia israelita, il successore al trono aveva diritto ad appropriarsi delle donne dell’harem reale, anzi, il fatto stesso di possederle conferiva a un pretendente il diritto a regnare. Per questo il figlio ribelle di Davide, Absalom, possedette pubblicamente dieci concubine di suo padre. In seguito, un altro figlio di questo re, Adonia, vedendosi soffiare il trono dal fratellastro Salomone, tentò di ottenere la mano di una concubina di Davide, ossia di suo padre, e se il colpo gli fosse riuscito avrebbe potuto scalzare Salomone.
Sembrerebbe che la Torah sia molto elastica nell’applicazione delle sue regole sessuali verso le elite al potere: oltre alla consuetudine regale di possedere le matrigne per succedere al trono (non proibita dalla Torah), è appariscente l’istituzione matrimoniale fondata sulla poliginia che avvantaggiava solo gli uomini ricchi e i monarchi ma contraddice l’iniziale proposito divino della monogamia.
Tale indulgenza a favore dei ceti elevati si estende perfino al gravissimo peccato d’adulterio: l’uomo che possiede la donna d’altri, fidanzata o maritata che sia, dovrà essere lapidato, ma se la donna in questione è soltanto una schiava fidanzata o sposata, anche se ebrea (“ma non riscattata o affrancata” – solo gli schiavi ebrei si potevano riscattare) l’adultero potrà cavarsela portando al sacerdote un montone da sacrificare (Lv 19:19-22). Perché due pesi e due misure? Forse perché chi abusa della serva, da che mondo è mondo, è solitamente il padrone stesso, o i suoi figli o altri parenti?
Se la moralità sessuale intesa nei precetti noachidi è la medesima della Torah, colpisce l’assenza di un reato oggettivamente mostruoso perché innaturale: la pedofilia. Nella Torah si parla solo di vergini. Ma tutte le donne sono vergini a cominciare dal momento della nascita. Uno dei libri del Pentateuco ha il nome di Numeri: qui sono sanciti con chiarezza i numeri concernenti l’età minima degli uomini precettati per la guerra, e le differenti età per il servizio dei leviti. Diversamente, sull’età minima per il matrimonio o per la vendita di una figlia come schiava (che potrebbe entrare nell’harem del padrone come concubina) non è vi è alcun accenno. Nell’antico Israele le famiglie in miseria non mancavano certamente data la legislazione che consentiva all’israelita di vendersi come schiavo con tutta la sua famiglia; è chiaro che il padre bisognoso di bambine richieste in moglie da individui in grado di essere generosi pagando il “prezzo della sposa”, non avrebbe esitato a cederle, tanto più che la Torah pone perfino un valore monetario ai bambini piccoli fin da un mese di vita (Levitico 27:6).
La legislazione biblica si occupa piuttosto dei furbi che “rubano” la verginità di una ragazzina o bambina senza pagare il dovuto al legittimo proprietario, cioè al padre. In caso di flagranza il responsabile doveva risarcirlo con cinquanta pezzi d’argento (una somma rilevante per l’epoca) e, se il padre lo esigeva, anche col matrimonio riparatore senza possibilità del ripudio. Ciò era possibile anche qualora il profittatore fosse un uomo già sposato essendo consentita la poliginia. Colpisce che le due normative bibliche che trattano la questione (Esodo 22:16 e Dt 22:28-29) pongano l’accento unicamente sulla rottura di un imene (perché aveva valore commerciale) e non sull’età della vergine, non badando se questa ha venti anni oppure venti mesi. Per le attuali legislazioni occidentali, la seduzione di una bambina equivale a stupro perché la violenza, anche se non è fisica, è psicologica essendo i bambini facili da plagiare.
Interessanti osservazioni che meriterebbero una trattazione approfondita. Nel tuo commento c’è però un errore di fondo: quello di porre sullo stesso piano ciò che la Bibbia racconta in merito ai suoi protagonisti e i comandamenti della Torah. Il fatto che David, Avhsalom o altri personaggi (anche se considerati “giusti”) compiano azioni vietate dalla Torah non significa automaticamente che tali azioni siano condonate.
Per quando riguarda Sarai, sul fatto che ella fosse realmente la sorella di Abramo esistono opinioni discordanti. Lo stesso vale nel caso di Iocheved, che una tradizione esegetica identifica come la cugina di Amram, non letteralmente come sua zia, quindi la questione è tutt’altro che chiara.
Parlando della pedofilia, essa non rientra nell’ambito dell’immoralità sessuale, ma nell’ambito del precetto di “non rubare”, che include lo stupro.
Scrivi:
“Nel tuo commento c’è però un errore di fondo: quello di porre sullo stesso piano ciò che la Bibbia racconta in merito ai suoi protagonisti e i comandamenti della Torah. Il fatto che David, Avhsalom o altri personaggi (anche se considerati “giusti”) compiano azioni vietate dalla Torah non significa automaticamente che tali azioni siano condonate.”
A me sembra che i personaggi qualificati “giusti” nella Bibbia ricevano tutti un castigo quando commettono atti vietati dalla Torah. Altre azioni non hanno la meritata punizione giacché esse sono valutate con metri differenti secondo l’epoca. Si tratta di azioni considerate naturali e a volte perfino lodevoli dagli scrittori della Torah; diversi secoli dopo, però, in molti casi già all’inizio del Medioevo, le stesse azioni furono dagli uomini qualificate immorali.
Un esempio è la pedofilia, riguardo alla quale scrivi:
“Parlando della pedofilia, essa non rientra nell’ambito dell’immoralità sessuale, ma nell’ambito del precetto di “non rubare”, che include lo stupro.
Con l’evoluzione del pensiero, il giudizio etico riguardante la sessualità si è ribaltato: la Torah condanna con la pena di morte atti sessuali oggigiorno ritenuti normali (come l’omosessualità o il coito durante il ciclo mestruale). All’opposto, le sue norme ignorano del tutto le situazioni di pedofilia e stupro, che invece costituiscono gli unici reati sessuali negli attuali codici penali.
I rabbini – non saprei se in tempi a noi vicini, ma di certo secoli dopo la redazione della Torah – si sono accorti di questo baratro legislativo. Hanno quindi provato a colmarlo. In che modo?
Pedofilia e stupro, affermano, se anche non sono vietati esplicitamente dalla Torah, tuttavia lo sono IMPLICITAMENTE. Ma dove? Ebbene, a loro dire, la condanna di tali azioni disumane andrebbe scovata nel precetto di… “non rubare”!
Scrivi:
“Per quando riguarda Sarai, sul fatto che ella fosse realmente la sorella di Abramo esistono opinioni discordanti. Lo stesso vale nel caso di Iocheved, che una tradizione esegetica identifica come la cugina di Amram, non letteralmente come sua zia, quindi la questione è tutt’altro che chiara.”
La questione della consanguineità in alcune unioni matrimoniali dei patriarchi, se anche non è chiara per gli esegeti, lo è però nel testo biblico. Abramo rivela senza mezzi termini che Sara è sua sorella poiché essi hanno lo stesso genitore, però madri diverse. Riporto due traduzioni di Genesi 20:12:
“Inoltre essa è veramente mia sorella, figlia di mio padre, ma non figlia di mia madre, ed è divenuta mia moglie” (CEI)
“Ed anche invero ella è mia sorella, figlia di mio padre, non però figlia di mia madre; ed è divenuta mia moglie.”(Luzzatto)
Idem riguardo ai genitori di Mosè e Aronne. Essi erano Amram e Iochebed, rispettivamente nipote e zia, come rivelato in Esodo 6:20, di cui pure riporto due traduzioni:
“Amram prese in moglie Iochebed sorella di suo padre. Essa gli partorì poi Aaronne e Mosè.” (TNM)
“Amràm prese in moglie Jochèved sua zia, la quale gli procreò Aronne e Mosè.” (Luzzatto)
Non mi fiderei delle “tradizioni esegetiche” che saltano a piè pari i contenuti inequivocabili del testo biblico. La tradizione cattolica ha addirittura creato la sempre-verginità di Maria, madre di Cristo, ignorando sfacciatamente le parole scritte nel Vangelo di Matteo. L’evangelista rivela senza ambiguità che il marito di Maria non ebbe con lei “rapporti coniugali FINCHÉ ella non ebbe partorito un figlio; e gli pose nome Gesù” (Nuova Riveduta).
Troverei una correlazione tra la nascita da una vergine di illustri personaggi (non soltanto Gesù) e la miracolosa gravidanza di Sara.
Isacco, che fu il primo ebreo venuto alla luce, nacque solo grazie a un prodigio attuato da Dio. Si ha quasi l’impressione che nel narrare quest’evento miracoloso l’autore tenesse a fugare pettegolezzi malevoli sulla paternità di Isacco messi in giro da oppositori. Il libro di Genesi, infatti, pone enfasi sulla sterilità di sua madre, Sara, e sulla circostanza che lei era ormai anziana quando fu incinta. Anche i due cosiddetti “rapimenti di Sara” avrebbero pressappoco lo stesso intento.
Si vorrebbe dimostrare che Dio vegliava continuamente sulla sua purezza di moglie integerrima impedendo perfino a faraoni e a re di violarla.
Aggiungerei che la consanguineità dei patriarchi e delle matriarche fosse un espediente narrativo necessario per allontanare insinuazioni su eventuali commistioni genetiche con gli odiati cananei, abitanti della terra dove, in futuro, avrebbe risieduto il popolo eletto.
Secondo il libro di Genesi tali commistioni genetiche erano state sul punto di avverarsi, ma furono sempre stornate dall’avversione dei capostipiti ebrei verso le donne cananee e anche da circostanze accidentali. Per esempio, la rappacificazione a seguito dello stupro di Dina poteva essere l’occasione di mescolanza fra cananei e la famiglia di Giacobbe. Fu la reazione violenta di due figli di questo patriarca a impedire che avvenisse la fusione fra le due opposte stirpi.
Ugualmente, grazie all’intraprendenza di Tamar che si fece ingravidare dal suocero Giuda nei finti panni di prostituta, non accadde che i giudei discendessero dalla moglie cananea di quel patriarca.
Furono invece gli edomiti, discendenti dello stupido Esaù, il quale aveva sposato due donne di Canaan, ad avere nelle vene il sangue “malvagio” di questa etnia.