La Torah e i popoli del mondo

Un’introduzione al concetto di universalismo ebraico

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Dio regna sui popoli, Dio siede sul suo trono santo. I capi dei popoli si riuniscono insieme al popolo del Dio di Abramo (Salmi 47:7-9).

Qual è il ruolo dei popoli del mondo secondo la Bibbia ebraica? Che posto occupano tutti coloro che non sono Ebrei all’interno della Torah?
A questi interessanti interrogativi, che sorgono constatando l’indiscussa centralità di Israele all’interno della Bibbia ebraica, sono state date spesso risposte poco accurate, frutto di un’interpretazione riduttiva e fuorviante delle Scritture.


In riferimento alla città di Gerusalemme, il celebre storico italiano Renzo De Felice (1929 – 1996) scrisse: «[…] Là vi sono i luoghi santi, là vi è la “prova” storica che il vecchio patto tribale di un Dio e il suo popolo è stato sostituito da una “nuova ed eterna alleanza” fra Dio e l’umanità». Lungi dal rappresentare l’opinione isolata di un singolo studioso, queste parole esemplificano un pensiero che è sempre stato molto diffuso nel mondo cristiano, un pensiero che considera l’Ebraismo come una religione esclusivista in contrapposizione all’apertura universale del Cristianesimo. Un’attenta analisi del rapporto che esiste tra gli Ebrei e gli altri popoli, così come esso è presentato nella Bibbia, rende tuttavia insostenibile l’idea del “patto tribale” e tutti i pregiudizi che ne derivano.

Nonostante la  forte enfasi posta sull’elezione di Israele, sarebbe un grave errore credere che la Torah ignori il resto del genere umano o che lo escluda dalla propria visione del mondo e della Redenzione.
Fin dal principio, la Bibbia attribuisce a tutta l’umanità un’unica natura e una medesima origine: “E Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò (Genesi 1:27). I Maestri del Talmud, riflettendo sul racconto della Creazione, enunciano un insegnamento capace di sradicare ogni ideologia razzista:
«Perché fu creato un solo uomo? Per propagare la pace tra le nazioni, cioè affinché nessuno potesse dire agli altri: i miei antenati erano più grandi dei tuoi!» (Sanhedrin 37a).

I primi undici capitoli del Libro di Bereshit (Genesi), che contengono i racconti dell’origine dell’umanità e degli sviluppi che ne seguirono, sono contraddistinti da un carattere indubbiamente universale. La narrazione biblica inizia a focalizzarsi specificamente sulla storia del popolo ebraico soltanto dopo che il testo ha raccontato la nascita delle altre nazioni del mondo: Israele è di fatto l’ultimo popolo a venire alla luce, preceduto di molto da Babilonia, dalle settanta nazioni menzionate nella genealogia di Genesi 10-11, e anche dai più vicini Ismaeliti, Moabiti, Ammoniti ed Edomiti. Prima del Patto con Abramo e con i suoi discendenti, il Creatore del mondo si era dunque già rivelato all’intera umanità, stabilendo anche un’alleanza perpetua con ogni abitante della terra  (Genesi 9:1-17).

In seguito all’ingresso sulla scena narrativa di Abramo, la Torah non dimentica il resto del mondo e non accantona il suo interesse per le sorti del genere umano; infatti, nel rivelare ad Abramo il suo destino, Dio dichiara: “In te saranno benedette tutte le famiglie della terra” (Genesi 12:3) e, più tardi, il testo afferma: “Abramo deve diventare una nazione grande e potente, e in lui saranno benedette tutte le nazioni della terra” (Genesi 18:8).
La scelta di Israele come “nazione separata” non serve dunque a penalizzare gli altri popoli, ma a benedirli, portando loro benefici. Il compito principale affidato agli Ebrei è infatti quello di diventare “luce delle genti” (Isaia 42:6), ponendosi come esempio di giustizia agli occhi di tutte le genti (Deuteronomio 4:6-9).

Secondo i Profeti, tale missione sarà pienamente adempiuta nell’era messianica, caratterizzata dalla diffusione della conoscenza di Dio su tutta la terra:
“Molti popoli e nazioni potenti verranno a cercare Hashem Tzevaot a Gerusalemme e a supplicare la faccia di Hashem” (Zaccaria 8:22).
“Le nazioni cammineranno alla tua luce e i re allo splendore del tuo sorgere” (Isaia 60:3).
“Le nazioni sapranno che Io sono Hashem che santifico Israele, quando il mio Santuario sarà in mezzo a loro per sempre” (Ezechiele 37:28).

Questa visione universalistica non appare però limitata soltanto a una speranza futura. Al contrario, la Bibbia ci mostra che mai, in nessuna epoca, i popoli sono stati esclusi dalla grazia divina o dalla possibilità di perseguire la giustizia.
Molti sono gli esempi che si possono citare a questo proposito. Una figura emblematica è rappresentata da Yitrò, suocero di Mosè. Benché fosse un sacerdote midianita, egli riconobbe la grandezza del Dio unico dopo aver udito delle meraviglie dell’uscita dall’Egitto: “E Yitrò disse: Benedetto sia Hashem, che vi ha liberati dalla mano degli Egiziani e dalla mano del Faraone, e ha liberato il popolo dal giogo degli Egiziani. Ora so che Hashem è più grande di tutti gli dèi” (Esodo 18:10-11).

La Torah riconosce e accetta l’esistenza di “residenti stranieri” che vivono in Terra d’Israele senza entrare necessariamente a far parte del popolo ebraico. Questi forestieri, anche se non circoncisi e non sottoposti alle regole alimentari e rituali della Torah, devono essere trattati con il massimo rispetto dai nativi del paese: “Quando uno straniero risiede con voi nel vostro paese, non lo maltratterete. Lo straniero che risiede fra voi, lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto. Io sono Hashem, il vostro Dio” (Levitico 19:33-34).
Nella Bibbia sono più volte menzionate delle vere e proprie comunità etniche non ebraiche che risiedevano in Israele. Si tratta dei Gabaoniti (vedi Giosuè cap. 9) e dei Keniti, ricordati per la loro benignità nei confronti degli Israeliti (1Samuele 15:5). Anche i discendenti di Rechab, citati da Geremia come esempio di fedeltà (vedi Geremia 35), appartenevano alla stirpe dei Keniti.

Il re Salomone, dopo aver fatto costruire il Tempio a Gerusalemme, pronunciò una preghiera per i popoli stranieri che adorano il Dio unico:
“Anche lo straniero, che non appartiene al Tuo popolo Israele, se viene da un paese lontano a causa del Tuo Nome, perché si sentirà parlare del Tuo grande Nome, della Tua mano potente e del Tuo braccio disteso, se egli viene a pregare in questo Tempio, Tu ascoltalo dal cielo, il luogo della Tua dimora, e soddisfa tutte le richieste dello straniero, affinché tutti i popoli della terra conoscano il Tuo Nome, Ti temano come Israele Tuo popolo e sappiano che il Tuo Nome è invocato su questo Tempio che io ho costruito” (1Re 8:41-43).

La stessa chiamata universale all’adorazione (che non implica un’imposizione dell’intera Legge mosaica) è espressa in molte occasioni nel libro dei Salmi:
“Dio abbia pietà di noi e ci benedica; faccia risplendere il suo volto su di noi, affinché si conosca sulla terra la tua via e la tua salvezza fra tutte le nazioni. I popoli ti celebreranno, o Dio, tutti quanti i popoli ti celebreranno. Le nazioni si rallegreranno ed esulteranno, perché tu giudicherai i popoli rettamente e condurrai le nazioni sulla terra»” (Salmi 67:1-4).
“Tutte le estremità della terra si ricorderanno di Hashem e si volgeranno a Lui. Poiché ad Hashem appartiene il regno, Egli domina sulle nazioni” (Salmi 22:27).
“I re della terra e tutti i popoli, i principi e i giudici tutti della terra, i giovani e le fanciulle, i vecchi e i bambini, lodino il Nome di Hashem, perché solo il Suo Nome è esaltato” (Salmi 148:11-13).

Fra tutti i libri di cui è composta la Bibbia ebraica, due portano il nome di personaggi non ebrei: Ruth, la convertita del popolo di Moab, e Giobbe, che la tradizione ebraica considera uno dei profeti delle nazioni. Il Libro di Giona trasmette anch’esso un messaggio universale, poiché racconta la storia del ravvedimento degli abitanti di Ninive, città pagana e nemica di Israele, alla quale comunque Dio non mancò di inviare un profeta.

La Giustizia di Dio non conosce alcuna parzialità, e la Bibbia afferma chiaramente che Israele, nonostante la sua vicinanza alla Rivelazione e il suo ruolo particolare, non gode di una condizione privilegiata rispetto alle nazioni straniere:
“Non siete forse per me come i figli degli Etiopi, voi  figli d’Israele? – dice Hashem -, Non ho forse condotto Israele fuori dal paese d’Egitto, i Filistei da Caftor e i Siri da Chir?”(Amos 9:7).
Questa idea di Dio che libera e soccorre altri popoli, per quanto possa apparire insolita, si ripresenta in più occasioni. Particolarmente interessante è il brano di Isaia in cui anche agli Egizi, antichi oppressori degli Ebrei, viene promessa una redenzione:
“Sarà un segno e una testimonianza per Hashem Tzevaot nel paese d’Egitto: quando essi grideranno ad Hashem a motivo dei loro oppressori, egli manderà loro un salvatore e un potente che li libererà. Hashem si farà conoscere all’Egitto e gli Egizi conosceranno Hashem in quel giorno” (Isaia 19:20-21).

Come gli Ebrei hanno ricevuto la loro terra promessa, così anche alle altre popolazioni il Creatore ha assegnato dei territori da ereditare:
“Quando l’Altissimo diede alle nazioni la loro eredità, quando separò i figli degli uomini, Egli fissò i confini dei popoli” (Deuteronomio 32:8).
Nessuno, neppure Israele, può violare arbitrariamente questi confini con la forza e privare le altre nazioni dei propri diritti, com’è scritto chiaramente nella Torah:
“Hashem mi disse: Non attaccare Moab e non muovergli guerra, perché io non ti darò nulla da possedere nel suo paese, poiché ho dato Ar ai figli di Lot, come loro proprietà”(Deuteronomio 2:9).
“Voi state per passare i confini dei figli di Esav, vostri fratelli, che abitano in Seir; essi avranno paura di voi. State bene in guardia, non muovete loro guerra, poiché del loro paese io non vi darò neppure quanto ne può calcare un piede, perché ho dato il monte Seir a Esav come sua proprietà” (Deuteronomio 2:4-5).

In riferimento alla conquista della Terra di Canaan, ogni possibile pretesa di superiorità da parte del popolo eletto viene smentita esplicitamente dalle Scritture:
“Non dire nel tuo cuore: È per la mia giustizia che Hashem mi ha fatto entrare in possesso di questo paese; poiché Hashem scaccia davanti a te queste nazioni, per la loro malvagità. […] Non è dunque per la tua giustizia che Hashem, il tuo Dio, ti dà il possesso di questa buona terra, perché sei un popolo dal collo duro” (Deuteronomio 9:4-6).

L’opinione, ancora fin troppo diffusa, secondo cui l’Ebraismo sarebbe una religione esclusivista, discriminatoria e addirittura razzista, non trova dunque riscontro nelle parole della Torah e dei Profeti. La dimensione nazionale dell’Ebraismo, legata indissolubilmente a Israele, si concilia armoniosamente, dal punto di vista biblico, con la visione universale che riguarda tutto il genere umano, e che non è stata ancora pienamente riconosciuta e realizzata nella Storia.  Come scrive il Prof. Marco Morselli nella Prefazione al libro Il Noachismo di Elia Benamozegh, «Il riconoscimento della missione d’Israele è la garanzia che tutte le altre diversità non verranno cancellate, nel tentativo di dare origine a una pericolosa uniformità o a un confuso sincretismo».

3 commenti

  1. Bello articolo, semplice e chiarificatore per chi non conosce la Bibbia e l’ebraismo. Ma mi chiedo perché mai all’inizio si criica il cristianesimo perché predica l’abolizione di israele e la sostituzione della chiesa come nuovo popolo eletto. Le scritture sia antiche che nuove sono sempre diffcili da interpretare, e non bisogna confondere il pensiero umano con il pensiero di Dio.Dov’è mai scritto nel nuovo testamente che DIo ha ripudiato la sua allenza con Israele? Può sembrare un paradosso, ma proprio loro ( gli ebrei che hanno fondato il cristianesimo) sapevano ed hanno scritto che Dio avrebbe ricostruito il regno di Israele in questo mondo, e Paolo amava contemplare a riguardo la profondità della sapienza di Dio e l’imprescrutabilità dei suoi disegni e progetti. E’ un grande ed affascinante mistero la sapienza di Dio, e Mosè stesso a coloro che avevano visto le voci di Dio e tutto il resto, ricordò che loro non avevano una mente per comprendere ed occhi per vedere e tutto il resto, e sarebbe stato il Messia a fargli comprendere ogni cosa senza che loro ne avessero paura. Ma riguardo al rapporto fra la chiesa e l’ebraismo, dal punto di vista delle scritture cristiane, credo che ci sia un passo molto esplicativo, e di difficile interpretazione da parte degli studiosi. E’ quando Gesù chiese a Pietro per tre volte se lu lo amava, invitandolo a pascere le sue pecorelle, e Pietro riiferendosi a Giovanni che li seguiva, in pratica .chiese a Gesù quale fosse il suo ruolo. Che importa se voglio che egli rimanga finché io vengo, gli rispose Gesù, tu se mi ami seguimi,. e far conoscere al mondo intero l’amore universale di Dio è compito della chiesa e dell’ebraismo, senza voler con questo scivolare in insidiosi e pericolosi sincretismi. Un’interpretazione azzardata la mia, ma Giovanni era il discepolo che Gesù amava, colui che nei vangeli era un grande esperto e conoscitore di torah, misitco per eccellenza, forse anche cabbalista, e poteva entrare ed uscire liberamente dalla casa del sommo sacerdote, senza nemmeno chiedere il permesso ai suoi servi. Ma a casua del pensiero e interpetrazione umana, proprio colui che ha scritto che la salvezza viene dai giudei, e per l’amore della legge ha risparmiato di riportare il processo di Gesù di fronte al sinedrio, ancora adesso viene accusato perché con il suo vangelo ha fomentato l’anttisemitismo, benchè non ci sia nulla che lo possa far pensare. Ma sono tutte questione profonde quando si parla di Dio, sempre in continua polarità e tensione fra il particolare e l’universale.

    1. L’oggetto della critica nell’incipit dell’articolo non è il Nuovo Testamento in sé, ma la pretesa di sostituire Israele che storicamente la Chiesa ha (quasi) sempre avanzato, a prescindere dal pensiero dei fondatori del Cristianesimo, il cui studio è estraneo agli scopi di questo sito.

  2. Riguardo la sostituzione della Chiesa ad Israele con una nuova ed eterna alleanza, mi verrebbe da chiedere come può Dio stipulare due alleanze eterne, sostituirne una all’altra quando ha detto che la prima era eterna. Può fare tutto se vuole, e nessuno può contendere con lui, ma se come alcuni dicono ha ripudiato Israele per i suoi peccati, lo stesso avrebbe dovuto fare anche con la Chiesa, ma cosi facendo ci perderebbe sempre lui, e per nostra fortuna nonostante le nostre infedeltà lui resterà sempre fedele a se stesso e alle sue promesse, cosi che trionferà sempre lui. Il problema della Bibbia è spesso solo questione di interpretazione, sia del vecchio che del nuovo testamento, e se spesso gli uomiini litigano fra di loro sulla corretta interpretazione, purtroppo dimenticano che se la Bibbia ci parla dei peccati degli ebrei, la storia ci parla dei peccati della Chiesa, Ma nè la storia degli ebrei e nè la storia della Chiesa è una storia di soli peccati, perché attraverso la loro storia Dio realizza i suoi progetti. Giustamente mi dirai che sono questioni che esulano dalla scopo di questo sito, come il pensiero dei fondatori del cristianesimo, e bisogna rifuggire e stare molto attenti alle insedie dei sincretismi religiosi. Ma mi sono permesso di fare questo piccolo commento, non perché mi interessa un dialogo religioso, ma solo perché lo scopo di questo sito mi sembra che sia quello di far conoscere i valori universali dell’ebrasimo, ed i fondatori del cristianesimo erano tutti ebrei che avevano lo scopo di far conoscere al mondo intero la paroal del Signore, e difatti grazie a loro il mondo ha potuto conoscere i valori morali, etici e religiosi dell’ebrasmo. Che poi le cose vengono male interpretate ed attuate fa parte della storia e del pensiero umano, come del resto capita anche all’interno dell ebraismo, ma far conoscoscere la verità tutta intera è un compito che spetta sempre agli ebrei. E se i cristiani spesso vogliono insegnare agli ebrei la corretta interpetazione delle lro scritture, sarebbe interessante se un ebreo facesse il contrario con loro; Guarda che anche se io non ci credo, quello che è scritto significa questo e quello,,,, e non come lo interpreti e la pensi tu. Ma per far questo, oltre ad un apertura di cuore, ci vorrebbe completa libertà di animo e di spirito da parte di entrambi.

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