La Parashah che leggiamo questa settimana (Numeri 22:2-25:9) ci pone davanti a qualcosa di a dir poco insolito e sorprendente: un asino che parla. Ma procediamo con ordine e cerchiamo innanzitutto di ricostruire gli avvenimenti principali narrati in questi capitoli.
Balak, il re di Moav, preoccupato per l’arrivo degli Israeliti nei suoi confini, decide di ricorrere a un’arma soprannaturale prima di passare ad uno scontro militare vero e proprio. Manda perciò alcuni ambasciatori a chiamare Bilam, un famoso mago noto per il suo potere di pronunciare benedizioni e maledizioni, nell’intento di convincerlo a maledire Israele in cambio di denaro.
Pur avendo inizialmente rifiutato, in seguito Bilam accetta e parte per il paese di Moav. Lungo la strada, un angelo di Dio si pone davanti a lui per ostacolarlo, ma la sua asinella lo evita per tre volte. Il mago, che non riesce a vedere l’angelo, inizia a bastonare l’asina lamentandosi per i suoi movimenti apparentemente inconsulti.
A questo punto leggiamo che “Il Signore aprì la bocca dell’asina” (Numeri 22:28). L’animale dice al suo padrone: “Che ti ho fatto per percuotermi in questo modo ben tre volte?”. Bilam non si scompone e risponde all’asina rimproverandola bruscamente, finché l’angelo appare anche a lui e lo esorta a riprendere il viaggio, ma gli ordina di proferire solo le parole che Dio gli rivelerà.
Giunto poi a destinazione, Bilam pronuncia tre profezie di benedizione rivolte a Israele, suscitando l’ira del re di Moav, che cerca invano di ricorrere a riti propiziatori illudendosi di poter modificare la Volontà Divina.
Nel corso dei secoli, molti commentatori rabbinici si sono confrontati con l’idea bizzarra che un somaro possa ricevere il dono della parola. L’interpretazione più comune sostiene che tale singolare avvenimento sia stato causato da un miracolo, ma ciò significherebbe che, nel caso dell’asina di Bilam, la Torah parli di un vero sconvolgimento temporaneo delle leggi della natura, un concetto che molti non sono favorevoli ad accettare.
Già gli antichi Maestri, nel Pirkè Avot, tramandano un insegnamento secondo cui la bocca dell’asina di Bilaam, assieme ad altri prodigi narrati dalla Bibbia, fosse stata già preparata al tempo della Creazione del mondo. Con questa espressione si intende affermare che anche i miracoli facciano in qualche modo parte della natura e che non rappresentino una violazione dell’ordine del cosmo già prestabilito al principio del tempo.
Maimonide, seguendo il suo consueto approccio razionalista, ritiene che l’asina di Bilam non abbia mai parlato, e che l’intero racconto del viaggio sia da intendere come una visione avvenuta nella mente dello stregone.
Tale interpretazione ha il vantaggio di giustificare la completa mancanza di stupore da parte di Bilam, il quale assiste al prodigio senza mostrare sconcerto, proprio come avverrebbe in un sogno. Secondo Samuel David Luzzatto, invece, l’asina in realtà non fece altro che ragliare, ma Bilam, con le sue arti esoteriche, interpretò i versi dell’animale traducendoli in espressioni umane.
Riflessioni di questo tipo, per quanto interessanti, ci allontanano però dalla comprensione del messaggio che la Torah intende trasmettere attraverso questa narrazione, che non è certamente quello di descrivere un fatto puramente storico, né tanto meno di impartire una lezione filosofica sui fenomeni soprannaturali.
L’ironia presente nel brano è evidente, ma lungi dall’essere una semplice fiaba popolare o una satira volta a ridicolizzare i nemici di Israele, la storia dell’asina di Bilam ha invece un significato più profondo che si può cogliere solo rintracciando i parallelismi tra questo racconto e l’intera vicenda di Balak e Bilam.
Come abbiamo visto, l’asinella devia dal percorso impostogli dal suo padrone per tre volte. Allo stesso modo, Balak ordina per tre volte a Bilam di maledire gli Ebrei, e per tre volte questo proposito fallisce. In entrambe le situazioni, il brusco cambio di rotta è causato dall’intervento diretto di Dio.
Inoltre, al duro rimprovero che Bilam rivolge all’asina, corrisponde quello che a sua volta il mago riceverà in seguito dal re Balak: “Che mi hai fatto? Ti ho preso per maledire i miei nemici, invece tu li hai grandemente benedetti!” (Numeri 23:11).
I due racconti appaiono quindi molto simili, e la vicenda dell’asina rappresenta una sorta di parabola che anticipa gli eventi successivi attraverso una prefigurazione.
L’asina ricopre il ruolo che in seguito spetterà a Bilam, cioè quello di essere dirottato in tre occasioni dai suoi propositi iniziali per volere di Dio; Bilam, invece, nella prima storia, si comporta esattamente come farà poi Balak nei suoi confronti.
Tutto ciò serve ad insegnare che “Il cuore dell’uomo programma la sua via, ma è il Signore che dirige i suoi passi” (Proverbi 16:9), ovvero, in altre parole, che contro i decreti di Dio non esistono decisioni umane, maledizioni e sotterfugi che possano prevalere.
Dopo aver imparato la lezione attraverso la sua asinella, Bilam dice infatti al cospetto del re di Moav: “Come posso maledire colui che Dio non ha maledetto? Come posso accusare colui che il Signore non ha accusato?” (Numeri 23:8), e ancora: “Non c’è sortilegio contro Giacobbe, non c’è divinazione contro Israele“ (23:23).
Parole che, udite dalla bocca di un nemico di Israele, suonano sorprendenti almeno quanto quelle di un animale parlante.
Sul tema delle benedizioni e del loro valore nel contesto biblico vedi l’articolo Toledot: Il potere delle benedizioni