Fra i principali arredi sacri che la Torah comanda di costruire per la realizzazione del Santuario, oltre all’Arca del Patto, alla Menorah (candelabro a sette bracci), e all’altare dei sacrifici, troviamo anche un oggetto la cui funzione appare meno chiara. Si tratta della Tavola (Shulchàn) su cui era posto il “pane della Presenza” (Lèchem Panìm).
Farai anche una tavola di legno di acacia, lunga due cubiti, larga un cubito e alta un cubito e mezzo. […] Farai pure i suoi piatti, le sue coppe, i suoi calici e le sue tazze con cui si fanno le libazioni; li farai d’oro puro. E metterai sulla tavola il pane della Presenza, che starà sempre dinanzi a me (Esodo 25: 23-30).
Nella Guida dei Perplessi, Maimonide ammette di non conoscere il vero senso di questo comando, che egli considera quindi un mistero:
“Lo scopo dell’altare per l’incenso e dell’altare per le offerte, e dei loro rispettivi utensili, appare ovvio; tuttavia non conosco l’utilità della Tavola e del pane posto su di essa continuamente, e fino ad oggi non sono riuscito ad attribuire alcuno scopo a questo precetto”.
La difficoltà nasce dal fatto che, nell’intera Bibbia, in nessun luogo troviamo scritto che il Creatore dell’universo abbia bisogno di cibo, né che Egli si serva di un nutrimento materiale di qualsiasi tipo. Il salmista, parlando in nome di Dio, afferma esplicitamente: “Se avessi fame, non te lo direi; perché il mondo e quanto esso contiene è mio. Mangio forse carne di tori, o bevo sangue di capri? Offri a Dio sacrifici di lode e adempi i tuoi voti fatti all’Altissimo” (Salmi 50:12-24). Perciò la funzione della Tavola del Santuario, pur essendo stata interpretata in modi diversi dai vari commentatori, non è mai stata intesa nelle fonti ebraiche come quella di una “mensa della Divinità” nel senso letterale del termine.
Secondo il Midrash Aggadah, la costruzione del Tabernacolo e dei suoi arredi non deriva da una necessità di Dio, ma dal bisogno dell’uomo di relazionarsi con la Divinità attraverso strumenti e metodi simili a quelli impiegati per onorare un sovrano umano. Di conseguenza, la Torah comanda di costruire il Santuario utilizzando gli elementi tipici di un palazzo reale.
A questo proposito, Rabbi Yosef Bekhor Shor osserva che ogni area del Tabernacolo corrisponde a una stanza della residenza di un re: l’altare di bronzo, dove le offerte sacrificali venivano bruciate, rappresentava la cucina, e si trovava infatti in un luogo esterno alla residenza vera e propria. Il Luogo Santo (Kodesh), dove erano posti la Tavola, la Menorah e l’altare per l’incenso, era simile a un salone, poiché in esso si trovava cibo, luce e fragranze aromatiche. Infine, il Luogo Santissimo (Kodesh Hakodashim), con l’Arca nel suo centro, simboleggiava la dimora privata del re e la sala del trono, il cui accesso era un privilegio riservato a pochissimi.
Abravanel, nel suo Commentario, spiega che ogni elemento del Santuario rappresenta una diversa categoria di benedizione donata da Dio in virtù della Sua Legge, la Torah, simboleggiata dall’Arca del Patto, che conteneva le tavole dei Dieci Comandamenti. La Menorah con la sua luce, e la Tavola con i suoi pani, posti una di fianco all’altra, starebbero quindi a rappresentare rispettivamente le benedizioni astratte e spirituali e il sostentamento materiale con cui Dio nutre le sue creature.
Molto interessante è poi l’interpretazione proposta da Rabbi Hovav Yechieli, secondo cui la Tavola sarebbe da intendere come un segno del Patto perpetuo tra Dio e il Suo popolo. Nella Bibbia, infatti, la stipulazione di un’alleanza viene spesso accompagnata da un banchetto, come nel caso di Isacco e Avimelech in Genesi 26:28-31 e di Giacobbe e Labano in Genesi 31:44-54. La Tavola nel Santuario appare dunque come una mensa simbolica in cui i sacerdoti, in quanto rappresentanti della nazione, consumano i pani dinanzi alla Presenza di Dio per attestare il continuo rinnovamento del Patto di cui l’Arca rende testimonianza.
Tavole imbandite e offerte di cibi nei templi si trovavano, come attestano le fonti mesopotamiche ed egiziane, anche tra i culti politeisti del Medio Oriente antico. Umberto Cassuto, notando le differenze tra queste usanze pagane e i riti prescritti nella Torah, spiega a questo proposito:
“L’uso rituale della tavola fu assunto anche dagli Israeliti, ma non senza innovazioni e cambiamenti adeguati alle peculiarità della fede ebraica. Nella visione degli Israeliti sarebbe stato inconcepibile associare alla Divinità le azioni di mangiare e bere, nel senso materiale dei termini, fino al punto che persino a riguardo di esseri umani come Mosè, quando egli si avvicinò alla sfera del Divino, è riportato che “egli non mangiò pane e non bevve acqua” (Esodo 34:28; Deuteronomio 9:9, 18). Perciò, la funzione della Tavola nel Santuario degli Israeliti non è simile a quella che tale strumento aveva nei templi idolatrici. Le porzioni dei sacrifici che erano riservate a Dio non erano fatte bollire, né arrostite, e non erano poste all’interno di piatti o vassoi sopra la Tavola. Esse erano invece bruciate sull’altare, nel cortile del Santuario, come se l’unico modo per avvicinarle alla Divinità fosse quello di trasformarle in vapori e odori, materie estremamente sottili prive di sostanza, che venivano disperse nell’aria e che ascendevano verso il cielo. I piatti sulla Tavola, menzionati al verso 29, restavano vuoti, proprio come il trono di Dio sulla kapporet (la copertura d’oro sopra l’Arca del Patto), appariva vuoto”. […] La Tavola, tuttavia, non era completamente vuota. Dopo aver parlato dei vari recipienti d’oro (che restavano vuoti), la Torah prosegue: ‘E metterai sulla Tavola il pane della Presenza, che starà sempre dinanzi a me’. […] Secondo il significato semplice del testo, il significato dell’espressione lechem panim (‘pane della Presenza’), si spiega tramite il termine lefanay (‘dinanzi a me’), usato subito dopo: si tratta, cioè, di pane che veniva posto dinanzi a Dio, un pane la cui funzione rituale primaria era quella di essere continuamente presente dinanzi alla Divinità, nell’ambito del Santuario, come un simbolo. Esso era sostituito periodicamente da pane fresco e consumato dai sacerdoti (Levitico 24:5-9)”.