Riportiamo una sintetica ma accurata analisi della concezione dell’angelologia biblica tratta dal Commentario di Nahum Sarna al Libro della Genesi (JPS, 2001), da noi tradotta in italiano.
Colui che porta la parola divina è descritto nella Torah con l’espressione “angelo del Signore”. La parola ebraica mal’akh proviene dalla radice l-‘-k, che significa “inviare”, e che è utilizzata come verbo in lingua ugaritica, araba ed etiope. Mal’akh, come il greco angelos, da cui deriva il termine “angelo”, significa semplicemente “messaggero”. È un vocabolo impiegato per designare comuni esseri umani, come in Genesi 32:4, Giudici 9:31 e 1 Re 19:2, o per indicare esseri spirituali. Anche un profeta o un sacerdote può talvolta essere chiamato “angelo del Signore”, come avviene in Aggeo 1:13 e in Malachia 2:7.
Nella letteratura biblica precedente all’esilio in Babilonia, agli angeli non è attribuita particolare importanza. Le informazioni sulle credenze relative a questi personaggi e alla loro natura sono molto scarse. Gli angeli non hanno nomi; sono privi di ogni carattere mitologico; non godono di una personalità individuale o di libero arbitrio, e non esiste alcuna gerarchia angelica. La loro unica funzione è quella di essere emissari di Dio per compiere incarichi specifici.
Da alcuni testi emerge chiaramente che la linea di demarcazione che separa Dio dagli angeli risulta spesso sfumata. Un angelo si rivolge ad Hagar (Genesi 16:7-8,9,11), ma lei risponde parlando direttamente a Dio (v. 13). Lo stesso cambio di interlocutori avviene in Genesi 22:11-12, 15-18 e nel racconto del roveto ardente in Esodo 3:2, 4. Durante l’Esodo dall’Egitto, talvolta è Dio a guidare gli Israeliti con il loro accampamento (Esodo 13:21), talvolta invece è un angelo (14:9). Nella storia di Gedeone (Giudici 6:11-23), Dio e il Suo angelo si alternano nel prendere la parola.
D’altro canto, in molte occasioni gli angeli assumono forme umane in modo che gli individui a cui essi si manifestano non siano inizialmente consapevoli della loro natura angelica. È il caso, ad esempio, di ciò che è narrato in Genesi 18-19. Qui i tre personaggi che visitano Abramo sono descritti ora come “uomini” e ora come “angeli”, e di certo gli abitanti di Sodoma li percepiscono come semplici esseri umani (19:5, 9).
Nel caso della madre di Sansone (Giudici 13), colui che appare alla donna è un “angelo del Signore” (v. 3) che ella descrive come “un uomo di Dio” che “assomigliava a un angelo di Dio, molto spaventoso” (v. 6). Quando lo stesso angelo appare anche a suo marito Manoach, egli non lo riconosce come tale (v. 16), finché non lo vede dissolversi nelle fiamme sull’altare (vv. 20f).
Molte teorie sono state proposte per spiegare la presenza dell’angelologia in Israele. Alcuni ritengono che questo concetto sia stato preso in prestito dalla mitologia del Vicino Oriente, in cui le divinità erano circondate da ministri semidivini e semiumani. In lingua ugaritica, il messaggero degli dèi è chiamato ml’k. Si ipotizza quindi che gli Israeliti assunsero questa idea per rifinirla e renderla compatibile con il monoteismo.
Un’altra opinione vede gli angeli come estensioni personificate della volontà di Dio, o come una personificazione delle Sue stesse manifestazioni. Una terza teoria sostiene che gli angeli costituiscano un espediente concettuale per evitare gli antropomorfismi, fungendo quindi da mediatori tra il Dio trascendente e il Suo mondo concreto.
L’angelologia scomparve in gran parte con l’avvento della profezia classica (metà del VIII secolo a. e. v.), per poi ricomparire in epoca post-esilica in forma molto più sviluppata e complessa.
Grazie a te Antonio, ritengo sia necessario fare sempre una sintesi di tutti i commenti rabbinici. Se abbiamo commenti che negano l’autonomia ai mal’akhim e altri che parlano di trasformazione, con la sintesi ottengo che i mal’akhim sono umani che si trasformano, non viceversa. Quando essi sono pensieri o sogni hanno bisogno di un corpo umano per esistere. Hashem agisce per mezzo delle forze della natura e i mal’akhim sono anche i venti e le nuvole. Anche tutto ciò che succede per caso senza una volontà umana è un mal’akh. Nel linguaggio biblico abbiamo anche un niv: “min hashammaim” (dal cielo) che significa che quella cosa avvenne per caso, senza una volontà umana. Hashem non sta in cielo, non ha un luogo e dunque tutte le espressioni di mal’akhim che stanno davanti al Suo trono o che sono da Lui mandati per una missione, sono chiaramente dei simboli. Questo tipo di mal’akh, che rappresenta una forza naturale, a differenza del profeta, non può compiere due missioni. Ne compie una e poi svanisce nel nulla e Refael hamal’akh inviato per guarire Avraham dalla milàh ormai non esiste più perché compiendo la sua missione si esaurisce. Ecco che in questa ottica i nomi dei mal’akhim non hanno senso. Facendo una sintesi di tutto ciò che fu detto sui mal’akhim se ne deduce che essi non sono esseri spirituali. La concezione filosofica secondo cui non esiste essere spirituale all’infuori di Hashem ha dei problemi perché presuppone che Hashem sia un essere spirituale e questa è una definizione e quindi una limitazione.
Saluti.
ps. per l’amministrazione: ho spuntato la casella, ma non mi arrivano le notifiche via email.
Caro Bruno, comprendo molto bene quando dici “La concezione filosofica secondo cui non esiste essere spirituale all’infuori di Hashem ha dei problemi perché presuppone che Hashem sia un essere spirituale e questa è una definizione e quindi una limitazione”. Mi ci sono voluti molti anni di studio e molti sforzi per superare tutte le limitazioni imposte dalla mia cultura di provenienza, di matrice cattolica, per arrivare a maturare una “non-concezione” di Dio. Questo perché cercavo di capire cosa Dio è, invece di sforzarmi a capire cosa non è.
In riferimento alla natura degli angeli aggiungo quanto segue. Non essendo Dio in alcun luogo, l’espressione “messaggero del cielo” o “messaggero dal cielo” non è che da intendersi come “messaggero di Dio” o “da Dio”, in cui il termine “cielo” diventa un sostitutivo del Nome. In sostanza, il malak proviene “da” Dio e risiede “in” Dio, non da o in un luogo dove è Dio.