La Pasqua in Egitto e la fratellanza perduta

...E avverrà che i vostri figli vi chiederanno: «Che cosa significa questo culto?» E voi direte loro: «È l'offerta della Pasqua per HaShem, che passò oltre le case dei figli d'Israele in Egitto, quando colpì l'Egitto e salvò le nostre case» (Esodo 12:26-27).

In base a quale logica sacrificare un agnello, spalmare il suo sangue sulle porte e mangiare la sua carne con pane azzimo, come prevede il Libro dell’Esodo (12:3-14), potrebbe mettere in salvo gli Israeliti da una piaga letale e renderli meritevoli della liberazione?

Ce lo siamo già chiesti nel nostro articolo “Il significato del sacrificio pasquale nella Bibbia“, e nella nostra recente lezione sul capitolo 12 dell’Esodo, parlando del celebre rituale biblico della Pasqua (Pesàch) e dei suoi dettagli misteriosi.

Riassumendo quanto abbiamo spiegato in queste occasioni, il sacrificio e la cena pasquale racchiudono insieme due significati differenti:

1. Rottura con l’Egitto

I precetti di Pesach costituiscono innanzitutto una presa di posizione contro la cultura dell’antico Egitto, che aborriva i pastori e i loro sacrifici di bestiame (Genesi 46:34; Esodo 8:26). Da questo punto di vista, l’osservanza di Pesach è un atto sovversivo che segna la rottura con l’Egitto e con l’idolatria.

Questo significato quasi politico del rito si accorda anche con l’obbligo, durante la festività, di astenersi del tutto dal lievito, che era un emblema della società egiziana e dell’orgoglio umano.

2. Il trionfo della vita sulla morte

Quello della Pasqua è inoltre un rito che vuole rappresentare la rinascita, o meglio la “resurrezione nazionale” del popolo ebraico, che risorge dal buio dell’esilio e della schiavitù nella notte della decima piaga.

Questo secondo significato emerge già dal fatto che la festa di Pesach cade all’inizio della primavera (il tempo della rinascita della natura); ma anche dalla simbologia del sangue spalmato sulle porte, dell’issopo e di altri elementi che fanno parte del precetto.

Tali elementi richiamano infatti alcuni rituali biblici che avevano lo scopo di purificare una persona che era entrata in contatto con una manifestazione della morte, in modo da permetterle di riaccostarsi al regno supremo della vita (il Santuario).

È tuttavia possibile ricostruire anche un terzo significato connesso al sacrificio pasquale, come suggeriscono alcuni commentatori (Chikrei Lev, Rabbenu Bachya e, tra gli autori contemporanei, Rabbi David Fohrman).

Oggi vogliamo occuparci proprio di questa ulteriore dimensione del rito, una dimensione che ha più a che fare con i rapporti interpersonali e con il tema della fratellanza piuttosto che con la vita religiosa e il culto.

Il dramma della discesa in Egitto

Prima di stabilirsi in Egitto, secondo il racconto della Genesi, gli antenati della nazione ebraica risiedevano nella terra di Kenaan, il luogo assegnatogli da Dio in eredità.

La loro migrazione verso la terra del Nilo avviene in circostanze dolorose: Yosèf (Giuseppe), odiato e tradito dai suoi fratelli, viene venduto come schiavo e giunge perciò per primo in Egitto.

Uno straordinario rovesciamento della sorte fa sì che Yosef ottenga la libertà e diventi persino un ministro del Faraone, riuscendo a salvare il paese da una carestia. Proprio tale carestia spinge poi il resto della famiglia a trasferirsi in Egitto.

Yosef stesso, riconciliatosi con i fratelli, in punto di morte preannuncia che, in futuro, Dio ricondurrà la loro stirpe nella terra promessa (Genesi 50:25).

Se dunque la drammatica vicenda di Yosef rappresenta il primo passo della “discesa” di Israele in Egitto, il principio dell’esilio e il presagio dell’asservimento al Faraone, la logica poetica della Bibbia ci spinge a pensare che la salvezza da questo abisso debba avvenire tramite una “riparazione” della colpa originaria (la “vendita” di Yosef).

Ciò ha condotto vari commentatori a interpretare il sacrificio di Pesach (il principio della Redenzione) come un atto con la funzione di sanare la frattura morale che aveva messo in moto l’intero dramma.

Per confermare una simile teoria, dovremmo allora trovare nel rituale della Pasqua qualche elemento che rievochi la vicenda di Yosef e che renda questa misteriosa cerimonia una sorta di antidoto alla dissacrazione della fratellanza di cui si era macchiata la stirpe d’Israele. È davvero possibile?

Il passato che ritorna

Nel trasmettere le istruzioni divine sull’osservanza della Pasqua, in Esodo 12:21 Moshè comanda agli Israeliti: “Procuratevi e prendete un capo del gregge per ogni vostra famiglia”.

Il verbo tradotto con “procuratevi” (mishkhù), in realtà, significa alla lettera “tirare” o “estendere”. L’uso di questo termine è dunque alquanto insolito nel contesto, oltre a risultare superfluo all’interno della frase.

Lo stesso verbo, prima che nel verso appena citato, era già comparso solo in un’altra occasione nella Torah: in Genesi 37:28, quando Yosef viene appunto “tirato” dalla fossa in cui i suoi fratelli lo avevano gettato, per essere venduto come schiavo.

Rabbenu Bachya nota a questo proposito che il precetto di “procurarsi” un animale per il rito si contrappone all’atto di “tirare” Yosef dalla fossa: un atto negativo si tramuta così in un comandamento divino.

Questo è tuttavia solo uno fra molti suggestivi parallelismi che legano i due episodi in apparenza tanto diversi.

Dopo aver gettato Yosef nella fossa, i fratelli si siedono per “mangiare pane” (Genesi 37:25). La scena è ripugnante: la famiglia si riunisce per consumare un pasto mentre uno dei suoi membri, brutalmente isolato, pare destinato a una morte crudele.

La cena di Pesach sembra allora voler porre rimedio a questo tragico evento: i discendenti della stessa famiglia, i figli d’Israele, si riuniscono nuovamente per consumare pane, ma questa volta lo fanno in armonia e in concordia poiché, riguardo alla Pasqua, è scritto che “tutta la comunità d’Israele la celebrerà” (Esodo 12:47).

In Esodo 12:5 il testo precisa che l’animale da immolare per la Pasqua può anche essere un capro. In Genesi 37:31, i fratelli uccidono proprio un capro e poi intingono la tunica di Yosef nel suo sangue, in modo da far credere al padre che egli sia stato sbranato da una bestia.

A proposito di “intingere”, in ebraico taval, questo verbo compare anche nella storia dell’Esodo. Agli Ebrei è comandato infatti di intingere un fascio d’issopo nel sangue del sacrificio (12:22), un atto che richiama la tunica di Yosef macchiata del sangue dello stesso animale.

Nel primo caso, però, il sangue rappresentava un inganno, una menzogna; mentre nel secondo è un segno palese di identità, una testimonianza che non vuole celare, bensì manifestare la verità.

Ad accomunare le due storie è anche il tema della Bekhorah, cioè la primogenitura. L’odio dei fratelli nei confronti di Yosef nasce dal fatto che Yaakov, il loro padre, considerava di fatto Yosef il suo primogenito, a discapito dei figli più anziani (Genesi 37:3-4).

La primogenitura diviene un filo conduttore nel racconto dell’Esodo, dove il popolo d’Israele è collettivamente definito da Dio “mio figlio primogenito” (4:22), e l’offerta della Pasqua comporta la consacrazione di tutti i primogeniti israeliti (13:2).

Ricapitoliamo dunque tramite uno schema i parallelismi finora individuati:

Vicenda di YosefPesach in Egitto
Yosef “tirato” fuori dalla fossa per essere venduto in schiavitùPrecetto di “tirare” un capo del gregge per ottenere la libertà
I figli d’Israele si riuniscono per mangiare pane mentre Yosef soffreI figli d’Israele riuniti per un pasto festivo
I fratelli di Yosef uccidono un caproPrecetto di sacrificare un capro
I fratelli intingono la tunica di Yosef nel sangue del capro Precetto di intingere un fascio d’issopo nel sangue del capro
I figli d’Israele si contendono la primogenituraIsraele diviene il primogenito di Dio

L’eco della storia di Yosef

Tra il dramma di Yosef e l’uscita dall’Egitto si possono notare altre possibili analogie lessicali e tematiche:

  • La Torah vieta di bollire l’agnello (o capretto) in acqua (Esodo 12:9); Yosef viene gettato in una fossa “in cui non c’era acqua” (Genesi 37:24).
  • La parola “fossa” (bor) compare in entrambi i racconti (Genesi 37:22; Esodo 12:29).
  • Il sacrificio pasquale deve essere consumato “con erbe amare” (maror); Yaakov, parlando delle sciagure inflitte a Yosef dai fratelli, dice: “Essi l’hanno amareggiato (vayMararuhu )” (Genesi 49:23).
  • È vietato spezzare qualsiasi osso dell’agnello di Pesach (Esodo 12:46); pima di morire, Yosef dispone che le sue ossa siano preservate per essere sepolte in patria (Genesi 37:25).

A proposito di quest’ultimo punto, in seguito alla decima piaga, quando gli Israeliti partono dall’Egitto, il testo ha cura di informarci del fatto che Moshè porta con sé le ossa di Yosef (13:19).

Tale dettaglio assume ora un significato nuovo: la figura di Yosef apre e chiude il cerchio dell’esilio in Egitto, e il suo nome segna il primo e l’ultimo atto della tragedia della schiavitù.

La Redenzione e il ritorno in patria non possono quindi avvenire senza un richiamo a quell’esperienza passata la cui memoria ottiene ora l‘atteso riscatto.

Possiamo inoltre notare che, secondo la Torah, oltre al momento cruciale dell’uscita dall’Egitto, anche il ritorno nella terra promessa deve avvenire attraverso una rievocazione della vicenda di Yosef.

In Deuteronomio 27, Moshè ordina infatti che, una volta raggiunto il confine della terra di Kenaan, le dodici tribù (discendenti dei dodici figli di Yaakov) dovranno radunarsi a Shekhèm, lo stesso luogo in cui Yosef era andato a cercare i suoi fratelli nel giorno del loro crimine (Genesi 37:14), per svolgere una solenne cerimonia.

E in questo caso, a guidare gli Israeliti sarà Yehoshùa (Giosuè), proprio un discendente di Yosef, protagonista ora dell’unità nazionale, non più della disgregazione familiare che aveva condotto all’esilio.

16 commenti

  1. E quanti parallelismi si possono fare tra la storia di Giuseppe e di Gesù?

    Mi dirai che questo è un sito di ebraismo e non di cristianesimo. Ma il cristianesimo è peculiarmente ebraismo, ed anche le due Pasque possono essere esaminate in modo parallelo

    Buona Pasqua

    1. Le storie dei Vangeli sono piene di parallelismi con il Tanakh, è chiaro. I parallelismi però non dimostrano la veridicità di un’idea o di una fede, ma servono a farci comprendere il messaggio dell’autore attraverso l’intertestualità (anche io potrei scrivere un libro con 20 parallelismi con l’Esodo).

      Che la Pasqua cristiana voglia richiamare quella ebraica è palese. Il problema è che ha preteso di sostituirla, e questo rende il Cristianesimo non più Ebraismo, proprio come l’Islam non è Cristianesimo. Ma ti pregherei di non iniziare il solito dibattito interreligioso.

  2. Il parallelismo tra i due racconti:

    1. Esilio e riscatto – Giuseppe viene venduto e mandato in Egitto come schiavo, così come gli Israeliti finiranno schiavi in Egitto generazioni dopo. In entrambi i casi, la permanenza in Egitto porta a una futura redenzione.
    2. Sofferenza e salvezza – Giuseppe soffre ingiustamente prima di essere elevato al potere e usato da Dio per salvare molti. Gli Israeliti soffrono sotto il giogo egiziano prima della loro liberazione.
    3. Intervento divino – Dio guida Giuseppe attraverso le difficoltà per farlo diventare strumento di salvezza. Allo stesso modo, Dio interviene nella storia di Israele liberandolo dall’oppressione.
    4. Il tema del perdono e della riconciliazione – Giuseppe perdona i suoi fratelli e permette loro di vivere in Egitto. La Pasqua segna la fine della schiavitù e la possibilità di una nuova vita per Israele.

    Alcuni studiosi vedono nella figura di Giuseppe un’anticipazione della storia di Israele e persino un simbolo di redenzione che prefigura eventi futuri nella storia biblica. È un bellissimo intreccio di temi che mostrano come Dio agisca attraverso le circostanze per portare salvezza e rinnovamento.

  3. La Pasqua ebraica, o Pesach, è una delle festività più importanti del giudaismo e celebra la liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù in Egitto. Il nome “Pesach” significa “passare oltre” e fa riferimento alla decima piaga dell’Egitto, in cui Dio colpì i primogeniti egiziani, ma risparmiò le case degli Israeliti che avevano segnato le loro porte con il sangue dell’agnello.Il significato profondo della Pasqua ebraica:

    Liberazione – È il ricordo della salvezza del popolo ebraico, guidato da Mosè, che lascia l’Egitto dopo anni di oppressione.

    Fedeltà di Dio – Simboleggia l’alleanza tra Dio e il suo popolo, dimostrando la sua protezione e fedeltà.

    Memoria e identità – Pesach è una festività che rafforza l’identità ebraica e la continuità della tradizione.

    Rinnovo e gratitudine – Durante il Seder pasquale si racconta la storia dell’Esodo e si esprimono gratitudine e speranza per il futuro.

    La celebrazione include il Seder, un pasto rituale con cibi simbolici come le erbe amare (che ricordano la durezza della schiavitù) e la matzà, il pane azzimo, perché gli Israeliti dovettero partire in fretta senza avere il tempo di far lievitare il pane.

    Questa festa ha anche un significato universale di libertà e speranza. È affascinante vedere come questi temi siano ancora attuali.

  4. Il parallelismo tra i due racconti:

    Esilio e riscatto – Giuseppe viene venduto e mandato in Egitto come schiavo, così come gli Israeliti finiranno schiavi in Egitto generazioni dopo. In entrambi i casi, la permanenza in Egitto porta a una futura redenzione.
    Sofferenza e salvezza – Giuseppe soffre ingiustamente prima di essere elevato al potere e usato da Dio per salvare molti. Gli Israeliti soffrono sotto il giogo egiziano prima della loro liberazione.

    Intervento divino – Dio guida Giuseppe attraverso le difficoltà per farlo diventare strumento di salvezza. Allo stesso modo, Dio interviene nella storia di Israele liberandolo dall’oppressione.

    Il tema del perdono e della riconciliazione – Giuseppe perdona i suoi fratelli e permette loro di vivere in Egitto. La Pasqua segna la fine della schiavitù e la possibilità di una nuova vita per Israele.

  5. Vorrei aggiungere che la vera pasqua è solo quella Ebraica e non ha nulla che fare con la festività pagana e blasfema del cristianesimo. 😁

  6. Di blasfemo non c’è proprio nulla perché tutto è compimento, e sono i cristiani che mangiano l’agnello.

    Buona Pasqua

      1. Vi prego di non insultare nessuno nei commenti altrimenti dovrò cancellare i vostri messaggi. A che può mai giovare una discussione simile?

      2. Hai ragione Luigi. 😞Però anonimo oltre ad essere un analfabeta funzionale con seri problemi mentali, continua a provocare ed insultare con i suoi insulsi, beceri, idioti commenti contro l’ebraismo. Non si può stare sempre zitti e ignorare un imbecille decerebrato 🤡 del genere….che porti rispetto per te, per i tuoi studi, per cio che insegni e per tutti coloro che sono di fede Ebraica. Sto parassita cattolico romano è indecente! Non lo reggo più…😮‍💨

      3. E quando mai ho fatto commenti contro l’ebraismo. Ma solo contro la torah orale, l’ebraismo rabbinico quando si discosta dalla Bibbia.

        Ci sono tanti ebraismi e solo il cristianesimo considerano eretico, mentre invece anche umanamente ed esegeticamente parlando potrebbero imparare molto. Leggilo il nuovo testamento, perché è tutta una storia ebraica

  7. Sempre! Non perdi mai occasione per criticare il redattore di questo sito con i tuoi stravaganti e fuori luogo commenti cristiani che nulla hanno a che fare con gli articoli. Sei qui solo per fare apologia e accoliti della tua stupida religione superstiziosa. Tutto questo va avanti ormai da parecchi anni. E hai proprio stufato ormai! I testamenti li ho letti è sono solo favole per bambini così come il tuo stravagante e supposto salvatore. Porta piuttosto rispetto per i rabbini, per la Torah, per gli studiosi e per tutti coloro che sono di fede ebraica. Mi sono spiegata? O ti devo fare il disegnino?

  8. La critica è costruttiva, anche perché contano le domande nell’ebraismo, e ci sono tante domande a cui non sono state date risposte.

    Il rispetto poi si porta per Dio e per le scritture , e per questo anche per gli uomini.

    Chi si vanta, si vanta del Signore sta scritto nella Bibbia, mentre te ti vanti di te stessa , e parli di fede ebraica senza specificare verso chi hai fede. Ma in questi giorni pasquali ci credi alla favoletta dell’uscita dell’Egitto? Ci credi in Dio salvatore? Ma non ho voglia di fare lunghi discorsi e di raccogliere solo polemiche

  9. Ho trovato il suo articolo sulla Pasqua ebraica estremamente interessante, specialmente per l’attenzione dedicata ai parallelismi con la vicenda di Yosef. La sua analisi di come entrambi i racconti illustrino la provvidenza divina e la capacità di trasformare le avversità in bene è stata molto toccante. Grazie per avermi offerto una nuova e più profonda comprensione di questa importante celebrazione.

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