La logica dietro la mucca rossa

Il rituale biblico della mucca rossa (Parah Adumah) è prescritto dalla Torah per la purificazione di colui che è entrato in contatto con un corpo morto, come è spiegato dettagliatamente nel Libro di Bemidbar (Numeri, capitolo 19). Questo antico rito, in apparenza del tutto irrazionale, è considerato tanto misterioso che persino il saggio Re Salomone, secondo i Maestri, non riuscì a comprendere il suo significato. Si tratta di un perfetto esempio di norma religiosa estranea alla logica, in contrapposizione a quelle leggi di natura etica, morale e sociale il cui scopo risulta invece evidente.

Ma prima di addentrarci in qualsiasi riflessione, vediamo innanzitutto in cosa consiste il rituale della mucca rossa secondo le parole della Bibbia:

Questo è lo statuto della legge che il Signore ha comandato, dicendo: «Di’ ai figli d’Israele che ti portino una giovenca completamente rossa, senza difetti, e su cui non è mai stato posto alcun giogo. La darete al sacerdote Eleazar, che la condurrà fuori dell’accampamento e la farà scannare in sua presenza. Il sacerdote Eleazar prenderà col dito un po’ del suo sangue e lo spruzzerà sette volte sul davanti della tenda di convegno; poi si brucerà la giovenca sotto i suoi occhi. […] Il sacerdote prenderà quindi del legno di cedro, dell’issopo, del panno scarlatto, e li getterà in mezzo al fuoco che consuma la giovenca. […] Un uomo puro raccoglierà le ceneri della giovenca e le depositerà fuori dell’accampamento in luogo puro, dove saranno conservate per l’assemblea dei figli d’Israele per l’acqua di aspersione allo scopo di purificazione. […] Chi tocca il corpo morto di qualsiasi persona sarà impuro per sette giorni. Egli si purificherà con quell’acqua il terzo e il settimo giorno, e sarà puro; ma se non si purificherà il terzo e il settimo giorno, non sarà puro» (Numeri 19:2-11).

Agli occhi di chi appartiene alla società moderna, questi precetti appaiono immensamente strani e persino macabri; ma anche per gli antichi, come abbiamo anticipato, tale cerimonia era fonte di non poca perplessità. Tutto ciò non deve però impedirci di ricercare un senso nel rito, con l’aiuto delle interpretazioni esposte dai commentatori rabbinici e dagli studiosi, e con il sostegno del principio di Maimonide secondo cui tutte le leggi della Torah possiedono uno scopo e un significato che attende solo di essere compreso. Indaghiamo allora su cosa sia l’impurità che le ceneri della mucca rossa sono in grado di allontanare, per poi concentrarci sui vari elementi coinvolti nella cerimonia.

Vita, morte e impurità

Rabbi Jonathan Sacks, in un suo commento alle leggi del Levitico, chiarisce il motivo per cui la Torah consideri “impuro” chiunque entri in contatto con un cadavere:

“Il primo principio essenziale per comprendere le leggi di purità rituale è l’affermazione secondo cui Dio è vita. L’Ebraismo proclama un rifiuto assoluto dei culti, sia antichi che moderni, che glorificano la morte. Le grandi piramidi d’Egitto erano maestosi monumenti funebri. Arthur Koestler scriveva che senza la morte ‘le cattedrali crollano e le piramidi si dissolvono nella sabbia’”.

Bisogna ricordare che, nella concezione ebraica e biblica, “impuro” (tameh) non significa sporco, maledetto e neppure peccaminoso. L’impurità propriamente detta è infatti una condizione temporanea che non consente alla persona di accostarsi al Santuario e di compiere i riti religiosi. Tutto ciò che ha a che fare con la morte (cadaveri, carcasse animali, malattie che rendono il corpo simile a un cadavere) o con la dipartita della capacità di generare vita (mestruazioni, emissione seminale, parto) provoca impurità.

La Torah pone quindi una rigida separazione tra qualsiasi manifestazione della morte e il mondo del sacro (cioè il Tempio). Secondo Ibn Caspi e Chizkuni, ciò ha lo scopo di tenere l’essere umano lontano dal culto dei morti per fargli comprendere che la santità risiede nella vita. Il salmista dichiara: “Che profitto darà il mio sangue, se scendo giù nella fossa? Può forse la polvere celebrarti, o proclamare la tua verità?” (Salmi 30:9).

Mentre le culture idolatriche che circondavano Israele esaltavano il valore religioso della morte (con la venerazione dei sepolcri e l’evocazione delle anime trapassate), la Torah comanda invece di prendere le distanze da tutto ciò, e proibisce di recarsi al Santuario dopo aver toccato un defunto o essere entrati nella tenda in cui giace una salma. Ai sacerdoti, secondo la Bibbia, non è neppure lecito accedere ai cimiteri, in netta contrapposizione alle usanze pagane.

L’uomo che sceglie di essere fedele alla Torah deve dunque comprendere il valore supremo della vita, focalizzarsi sugli obblighi morali da adempiere qui, in questo mondo, l’unico mondo in cui Dio ci chiama ad agire.

Il significato simbolico del rito

Nessuno dei componenti inclusi nel rituale della mucca rossa è stato scelto in maniera casuale. Il termine parah (mucca, giovenca), in ebraico ha la stessa radice della parola “fertilità”. La mucca richiama i concetti di fecondità e abbondanza. Il colore rosso (adom), da cui deriva la parola adamah, cioè “terra”, quella da cui ha preso vita l’essere umano (chiamato per questo Adam), è il colore del sangue, e la Bibbia afferma che “la vita della carne è nel sangue” (Levitico 17:11).

Il prerequisito per cui la giovenca debba essere “senza difetto” simboleggia la completezza e la mancanza di contaminazione, mentre il fatto che su di essa non è mai stato posto alcun giogo significa che all’animale non è mai stata sottratta forza vitale. Possiamo dunque dedurre che la mucca rossa sia un’immagine della vita nel suo senso più totale. Essa rappresenta l’assenza di qualsiasi forma di debolezza e di decadenza, un emblema di vita pura e rigogliosa.

Eppure, la Torah comanda di uccidere la giovenca e di bruciare tutto il suo corpo fino a ridurlo in cenere. L’emblema della vita si trasforma così in un’immagine di morte. Nel fuoco vengono gettati anche un legno di cedro e un panno scarlatto. Se si considera che il legno di cedro ha anch’esso un colorito rossiccio, si comprende che il rosso, il colore del sangue, e quindi della vita, giochi un ruolo fondamentale anche nell’aggiunta di questi oggetti. L’issopo, anch’esso bruciato, è una pianta capace di vivere nelle condizioni più aride e inospitali. Esso era inoltre usato come rimedio contro problemi respiratori e circolatori. È dunque possibile intendere anche questa pianta come un simbolo di vita.

Per ottenere la purificazione dal contatto con un morto, è necessario essere aspersi con dell’acqua che contenga le ceneri della mucca rossa: dunque la cenere, l’immagine della morte, viene unita all’acqua, un altro grande simbolo di vita. In questo modo il ciclo si chiude: la vita, dopo essere stata annientata nel fuoco, torna a rinascere in una nuova forma. Si tratta, in fondo, della rappresentazione del medesimo processo di rinnovamento compiuto da chi ritorna alla condizione di purità rituale dopo essere entrato in contatto con la drammatica realtà della morte. Il rito della Parah Adumah insegna a non rivolgere lo sguardo verso la morte, ma a concentrarsi sulla vita che va avanti, che scorre come l’acqua di un fiume.

Non è una coincidenza che, subito dopo il brano relativo alla mucca rossa, il Libro dei Numeri narri la morte di Miriam, e che nei versi successivi si parli della grande crisi della leadership del popolo ebraico, con la condanna inflitta a Mosè e Aronne a morire nel deserto. Sarà infatti la nuova generazione a portare avanti la missione d’Israele e ad entrare nella Terra promessa. Anche in questo caso, la vita continua il suo corso, e la morte non cancella ogni cosa.

Secondo Rabbi Oury Cherki, è proprio la natura di questo misterioso legame tra vita e morte ciò che realmente sfuggiva alla comprensione di Salomone, e a quella di tutti noi.

“Il morto non rende impuro”

A proposito della mucca rossa, il Midrash Bemidar Rabbà (19, 8) racconta che un pagano, incuriosito dalla complessità di questo rito di purificazione, disse al grande maestro Rabban Yochanan Ben Zakkai: “Queste azioni che voi fate sembrano delle magie!”. Il maestro gli rispose che il rituale era simile agli esorcismi, nei quali uno spirito maligno viene scacciato tramite acqua e radici. Il pagano, che credeva negli esorcismi, andò via soddisfatto. I discepoli di Yochanan Ben Zakkai, invece, chiesero dei chiarimenti:

Dopo che l’idolatra se ne andò, i suoi allievi gli dissero: «Di quello ti sei liberato respingendolo con una pagliuzza, ma a noi che cosa dici?» Rispose loro: «Giuro sulla vostra vita che non è il morto che rende impuro, non è l’acqua che purifica, ma il Santo Benedetto Egli sia che ha detto: una norma ho sancito, un decreto ho stabilito, non ti è permesso trasgredire il mio decreto».

Al contrario di quanto si potrebbe dedurre dalla risposta data al pagano, Rabban Yochanan dichiara che la purità e l’impurità non sono due condizioni esistenti in natura: l’acqua non ha in sé stessa un potere purificatore, né i corpi privi di vita possono contaminare spiritualmente. In altre parole, la cerimonia prescritta dalla Torah non ha un potere magico e non agisce su forze soprannaturali realmente esistenti; essa è valida solo poiché è stata ordinata dal Sovrano dell’universo, e in quanto tale deve essere osservata.

Per approfondire: Chukkat: il mistero del rosso – articolo di Rav Scialom Bahbout

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