Moshè radunò tutta la comunità degli Israeliti e disse loro: Queste sono le cose che il Signore ha comandato di fare (Esodo 35:1).
Nel brano che introduce l’ultima sezione del Libro dell’Esodo, la Torah elenca una serie di importanti istruzioni trasmesse da Moshè davanti a tutto il popolo. La prima di esse è il riposo dello Shabbat: “Queste sono le cose che il Signore ha comandato di fare: Per sei giorni si farà il lavoro, ma il settimo sarà per voi un giorno santo, uno Shabbat di riposo, sacro al Signore” (Esodo 35:2).
Quali sono le azioni che è proibito compiere durante lo Shabbat? La Bibbia non lo dice in maniera esplicita, nonostante alcune indicazioni disseminate in vari luoghi delle Scritture. Il termine spesso tradotto con “lavoro”, in ebraico è melakhah, cioè “opera”, parola alquanto generica che necessita di essere chiarita se si vuole comprendere la vera natura del riposo sabbatico.
Subito dopo il precetto relativo allo Shabbat, Moshè ordina al popolo la raccolta delle offerte per la costruzione del Tabernacolo (Mishkan) e comunica l’esortazione affinché tutti gli oggetti e gli arredi del Santuario vengano realizzati (Esodo 35:4-20). Dopo aver ascoltato queste istruzioni, il popolo scioglie l’assemblea e può finalmente mettersi al lavoro.
La misteriosa relazione tra lo Shabbat e il Tabernacolo era già stata suggerita al capitolo 31 dell’Esodo: anche lì, come nel nostro brano, il testo unisce la descrizione degli arredi sacri al precetto del riposo sabbatico. Inoltre, i lavori che riguardano il Tabernacolo sono anch’essi chiamati con il termine melakhah. Da questa interessante giustapposizione, i Maestri del Talmud fanno derivare un insegnamento di enorme importanza: tutte le attività creative necessarie all’edificazione del Tabernacolo sono proibite durante lo Shabbat. Seguendo questo principio si ricava quindi l’elenco delle trentanove categorie di lavori proibiti di Shabbat, tra cui costruire, demolire, disegnare, tingere, cucire e trasportare oggetti al di fuori di una proprietà.
Sul piano del significato semplice del testo biblico, la Torah vuole insegnare che i lavori che riguardano il Tabernacolo, benché sacri e fondamentali, non devono annullare la solennità del settimo giorno. Perciò, in due occasioni diverse, Moshè ricorda al popolo l’osservanza dello Shabbat proprio nello stesso momento in cui vengono presentate le disposizioni relative al Santuario. Se dunque le azioni necessarie a rendere possibile il servizio Divino non devono essere compiute da Israele durante il giorno di riposo, sarebbe assurdo pensare che le stesse attività siano invece concesse se motivate da scopi ordinari diversi dalla costruzione del Tabernacolo. Il principio normativo espresso dai Maestri rispecchia dunque ciò che la Torah stessa intende affermare.
Tra il Santuario e lo Shabbat esiste però anche una relazione più profonda. Al termine dei lavori per il Mishkan e i suoi arredi, la Bibbia dichiara infatti:
“E Moshè vide tutta l’opera (melakhah); ed ecco, essi l’avevano eseguita come il Signore aveva ordinato: essi l’avevano compiuta così. E Moshè li benedisse“ (Esodo 39:43).
Leggendo questo versetto risulta impossibile non pensare alla conclusione del racconto dei sette giorni della Creazione, espresso nella Genesi con una terminologia molto simile:
“E Dio vide tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto buono. […] E il settimo giorno, Dio terminò l’opera (melakhah) che aveva fatto, e nel settimo giorno cessò da tutta l’opera che aveva fatto. E Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò” (Genesi 1:31 – 2:3).
L’opera Divina della Creazione del mondo è messa chiaramente in parallelo all’opera umana dell’edificazione del Tabernacolo nel deserto. Come Dio ha dato forma ad un luogo per la vita delle Sue creature, così l’essere umano, creato ad immagine di Dio, ha il compito di costruire un luogo dedicato al Sovrano dell’universo: “Essi mi faranno un Santuario, e io abiterò in mezzo a loro” (Esodo 25:8). Forse non è un caso che il nome dell’artista che coordinò la costruzione del Santuario sia Betzalel (Esodo 31:1-3), che in ebraico, come nota Rabbi David Fohrman, si può leggere come l’acronimo di Be-Tzelem Elohim, cioè: “A immagine di Dio”. Il Tabernacolo sembra essere il completamento della Creazione originaria, oltre che il modello per la consacrazione dello spazio (in quanto luogo fisico) e del tempo (per il suo legame con lo Shabbat).
Così, mentre si ritiene generalmente che lo scopo delle religioni sia quello di fornire all’uomo una via per giungere in cielo e vivere con la Divinità al di fuori di questo mondo, il vero scopo dell’Ebraismo è invece espresso da una frase della liturgia, perfettamente coerente con ciò che la Torah insegna sul parallelismo tra il Tabernacolo e l’universo: Letaken HaOlam beMalchut Shaddai, aggiustare il mondo per renderlo il Regno dell’Onnipotente.