Inauguriamo oggi la nostra raccolta di commenti al Libro di Samuele. Nel corso dei prossimi mesi analizzeremo il testo in tutti i suoi capitoli, concentrandoci nel dettaglio su alcuni versi o riflettendo in modo più ampio su temi e i personaggi.
A guidarci nell’interpretazione saranno in particolare i commenti di Rav Amnon Bazak, autore del libro Shmuel alef – Melekh BeIsrael, le osservazioni dello studioso e traduttore biblico Robert Alter e le lezioni di Marjorie Salem all’interno del progetto online Tanach Study.
La storia di Channah: chi ci ricorda?
C’era un uomo di Ramataim-Tzofim, della regione montuosa di Efraim, che si chiamava Elkanah, […] Egli aveva due mogli: una si chiamava Channah, l’altra Peninah. Peninah aveva figli mentre Channah non ne aveva (1 Sam. 1:1-2).
Quello di Samuele (Shmuèl) è un libro di grandi personalità: al contrario dei libri di Giosuè e dei Giudici, maggiormente incentrati sulla storia collettiva di Israele, qui gli eventi storici sono più spesso narrati attraverso le vicende personali dei protagonisti.
Il libro si apre con la storia di Channàh (Anna), donna sterile e fedele, desiderosa di diventare madre; una storia che ci riporta con la mente al Libro della Genesi, e in particolare alla vicenda di Rachèl, moglie di Yaakov (Giacobbe). Tra i due racconti notiamo le seguenti analogie:
- In entrambi i casi leggiamo di un uomo sposato con due donne, di cui una è più amata dell’altra (Gen. 29:18; 1 Sam. 1:5).
- Proprio la moglie prediletta, in entrambi i racconti, si rivela essere sterile.
- Tra le due mogli c’è tensione: Rachel dichiara di aver affrontato aspre lotte contro Leah (Gen. 30:8), e Channah subisce angherie da parte di Peninah (1 Sam. 1:6).
- La figura del marito mostra in ambedue le storie una certa passività dinanzi al dramma della moglie sterile (Gen. 30:2; 1 Sam. 1:18).
- Alla fine, la donna sterile viene benedetta con un figlio. Si noti il parallelismo: “E Dio si ricordò di Rachel […] ed ella concepì e partorì un figlio” (Gen. 30:22-23); “E Dio si ricordò di lei […] e Channah concepì e partorì un figlio” (1 Sam. 19-20).
- Entrambe le protagoniste scelgono per i loro figli nomi che esprimono la loro ferma convinzione nell’intervento di Dio in loro favore (Gen. 30:23-24; 1 Sam. 1:20).
Cosa vuole dirci il testo biblico con queste analogie?
Come spiega Rav Amnon Bazak, “sembra che l’accostamento abbia il solo scopo di evidenziare le differenze tra i due personaggi principali, Rachel e Channah, soprattutto per quanto riguarda il modo in cui le due donne affrontarono la loro sterilità”.
Mentre Rachel mostra chiaramente gelosia nei confronti di sua sorella, Channah subisce l’umiliazione in silenzio. Inoltre, in modo alquanto significativo, Rachel non si rivolge subito a Dio, ma cerca di uscire dalla sua condizione attraverso vari metodi e stratagemmi (la richiesta insistente al marito, la “maternità surrogata” attraverso la sua serva Bilha, l’uso delle mandragole come rimedio all’infertilità). Channah, al contrario, “innalzò la preghiera ad HaShem” (1:10).
Infine, subito dopo essere stata benedetta, Rachel chiede di più: “Aggiunga per me HaShem un altro figlio” (Gen. 30:24); Channah, invece, cede a Dio il dono ricevuto, giurando che suo figlio sarà “offerto ad HaShem per tutti i giorni della sua vita” (1 Sam 1:11), cioè consacrato per il servizio nel Santuario.
“Attraverso la similarità letteraria con Rachel – spiega ancora Rav Bazak – , la Scrittura esalta la forza della personalità di Channah, sia nella sua grande fede in Dio che nelle sue relazioni con coloro che la circondano”.
Il cantico di Channah
E Channah pregò e disse: «Il mio cuore esulta in HaShem, la mia forza è innalzata in HaShem. La mia bocca si dilata contro i miei nemici, perché mi rallegro della tua salvezza» (1 Sam. 2:1).
Dopo essere stata benedetta con il figlio tanto desiderato, Channah aspetta il suo svezzamento e poi adempie il proprio voto conducendo il bambino al Tabernacolo di Shiloh. A questo punto, il testo riporta la sua preghiera, che è in realtà un cantico di lode.
Questo cantico è incentrato sul tema della potenza del Creatore che cambia le sorti degli uomini esaltando gli umili: “HaShem fa impoverire e fa arricchire, egli abbassa ma anche innalza. Egli solleva il misero dalla polvere e tira fuori il povero dal letame, per farli sedere con i principi e far loro ereditare un trono di gloria” (1:6-7).
La preghiera contiene però alcune affermazioni che non sembrano pertinenti alla vicenda di Channah, a cominciare dalla frase “La mia bocca si dilata contro i miei nemici”. Chi sono questi “nemici” menzionati nel testo? Rashi afferma che si tratta di Peninah, ma tale spiegazione non convince pienamente, poiché il verso parla di “nemici” al plurale, e inoltre una simile affermazione si addice ben poco al carattere gentile e pacifico di Channah.
Il cantico dichiara inoltre: “Gli avversari di HaShem saranno frantumati. Egli tuonerà dal cielo contro di essi. HaShem giudicherà i popoli fino alle estremità della terra, darà forza al suo re e innalzerà la potenza del suo unto” (2:10).
È evidente che queste parole non si riferiscono alla gioia di Channah per la nascita del figlio Shmuel, ma a un contesto ben più ampio di trionfo sui nemici e sulle avversità che colpiscono la nazione, preannunciando anche l’istituzione della monarchia. La storia personale di Channah si eleva dal piano puramente individuale per diventare la storia nazionale di Israele. Il riscatto di Channah diventa il riscatto del popolo ebraico, che dopo un periodo di degrado morale e di oppressione troverà la guida politica, militare e spirituale di cui ha bisogno.
La voce di chi?
La lampada di Dio non era ancora spenta e Shmuel era coricato nel Tabernacolo di HaShem, dove si trovava l’Arca di Dio. E HaShem chiamò Shmuel, ed egli rispose: «Eccomi!». E corse da Eli e disse: «Eccomi, poiché tu mi hai chiamato». Egli rispose: «Io non ti ho chiamato, torna a coricarti» (1 Sam. 3:3-5).
Se inteso alla lettera, questo brano afferma un’assurdità: è noto che a nessuno era concesso accedere al luogo santissimo dove era posta l’Arca; soltanto il Sommo Sacerdote poteva entrarvi in occasione di Yom Kippur per svolgere i riti di espiazione. Com’è possibile allora che Shmuel dormisse proprio in quel luogo?
I commentatori, fra cui Rashi e Ralbag, spiegano che il testo vuole in realtà farci intendere che il ragazzo dormiva in un locale in prossimità del Tabernacolo, ma non di certo all’interno del Tabernacolo stesso. Ciò è ragionevole, ma la formulazione equivoca del verso richiede comunque una chiarificazione.
Notando tale stranezza, Rav Bazak scrive: “Sembra che la Scrittura desideri creare l’impressione che Shmuel si coricasse nel Tempio come se questo fosse la sua casa, intensificando così il legame di Shmuel con Dio”.
Sorprende poi che la prima rivelazione di Dio a Shmuel avvenga attraverso una scena un po’ bizzara e quasi comica: per ben tre volte il ragazzo scambia la voce divina che lo chiama per la voce dell’anziano sacerdote Eli, e corre subito da quest’ultimo. Solo la quarta volta Shmuel comprende che Colui che gli parla è Dio, e riceve così una profezia sul terribile destino che colpirà proprio Eli e la sua famiglia (3:11-14).
Da questa narrazione possiamo tuttavia trarre un’idea profonda: è facile per molti, come per il giovane Shmuel, confondere erroneamente Dio con il proprio leader spirituale, la sacralità con le gerarchie umane, il Creatore con le creature. Il testo biblico ci esorta però a non farlo: Eli è una guida indegna, incapace di svolgere il suo ruolo, e Shmuel è chiamato a riconoscere la verità imparando a guardare oltre il proprio maestro.
Io vorrei chiedere tre cose :
1) Samuel apparteneva alla tribù di Efriam o di Levi?
2) Se Ali cohen era un incapace e una figura indegna, (infatti non fu in grado di allevare i suoi stessi figli, che ricordo erano Hafni e Pinchas, dato che approfittavano della loro posizione di sacerdoti e del loro ruolo, per rubare alla gente) come mai Channah decide di affidargli suo figlio per essere cresciuto nel Tabernacolo di Shiloh dove poi fu allevato e istruito?
3) Dopo un lungo periodo in cui il popolo di Israele non aveva una leadership, alla fine Samuel diventò profeta, giudice e capo militare ascoltato da tutto il popolo. Può essere che è per questo che era contrario alla nomina di un re? E perchè morì a solo 52 anni?
1) Apparteneva alla tribù di Levi. Il padre è chiamato “Efraimita” perché viveva sui monti di Efraim, e forse anche per enfatizzare il legame con la storia di Rachel, dato che Efraim in Genesi è nipote di quest’ultima.
2) Channah affida il figlio ad HaShem, non a Eli.
3) Sull’avversione di Shmuel alla monarchia rifletteremo nelle prossime settimane, ci sono vari elementi da considerare.
Sguardo a Sion vorrei porti altre domande:
1) E’ possibile che il profeta Samuel essendo levita fosse un lontano cugino di Moshè?
2) E’ scritto in 1 Samuel 3 v. 19 che Samuel divenne grande che HaShem era con lui e gli rivelava la sua parola.Ora, dopo aver descritto l’ascesa di Samuel, la bibbia fa una lunga pausa e descrive le guerre israeliane con i Filistei, fino alla caduta dell’Arca dell’Alleanza di Dio. Ma perché non c’è una sola parola da parte Samuel in nessuno di questi eventi?. Forse per via della presenza dell’arca? Ritenuta quasi come un portafortuna e un idolo?
3) Ho sempre notato l’indipendenza di David da Samuel, rispetto alla dipendenza di Shaul da quest’ultimo. Perché? Ma perchè si sottolinea maggiormente la prontezza e la naturalezza del regno di David?. Eppure Shaul, tutto sommato ebbe un ruolo molto importante nel Piano Divino, e aprì la strada al popolo per un futuro regno ideale…
1) In realtà era un discendente di Korach, che era un cugino di Moshè.
2) Shmuel scompare temporaneamente dalla narrazione e ricompare proprio per rimediare a ciò che il popolo aveva fatto nel lungo racconto in cui è assente.
3) Credo che ne parleremo abbondantemente in futuro.
Ma perché nel libro di Samuele non compare mai il nome di Mosé? Ne posso avere conferma?
Perché se è cosi ci si dovrebbe porre molte domande.
Se compare poi nel libro ( nn sono un meticoloso studioso) quasi certamente mi sembra che non compare nella storia di Davide
Il nome di Moshè compare 2 volte in 1 Samuele (12:6; 12:8).
Grazie, mi confermi allora che non compare mai nella storia di Davide.
Logica vuole che sia cosi…
Sguardo a Sion sul post di facebook ( che non riporti qui) sul capitolo 4 di Samuele scrivi:
Con un tocco di tragica ironia, il testo sottolinea che a condurre l’Arca sono Chofni e Pinchas, i figli di Eli: due criminali che avevano trasformato il sacerdozio in un racket, traendo vantaggio dalle offerte del popolo e abusando del loro potere (2:12-17). L’ipocrisia regna sovrana nel racconto e Israele non si rivela meritevole della protezione divina.
Aggiungi: “Appena quello menzionò l’Arca di Dio – prosegue il testo –, Eli cadde dalla sedia all’indietro a fianco della porta, si ruppe il collo e morì” (4:18). Proprio lui, che onorava i suoi figli più di Dio (2:13) e perciò non interveniva per frenare la loro corruzione, ora, nella sua esagerata venerazione dei simboli e dell’esteriorità del culto, percepisce la perdita dell’Arca come la notizia più grave e scioccante, persino più della morte dei figli.
Bisogna dire però, che il capitolo 8 di 1 Samuele riferisce: “Quando Samuele fu vecchio, (ma come? aveva solo 52 anni!) stabilì giudici d’Israele i suoi figli. Il primogenito si chiamava Gioele, il secondogenito Abia; erano giudici a Bersabea. I figli di lui però non camminavano sulle sue orme, perché deviavano dietro il guadagno, accettavano regali e stravolgevano il diritto e pronunciavano sentenze ingiuste.” (1Samuele 8,1-3). In sostanza si verificò, la stessa problematica simile a quella che s’era presentata con i figli di Eli; infatti, i figli di Samuele, stabiliti laggiù da Samuele stesso come giudici d’Israele, si comportavano da giudici iniqui non seguendo le sue orme. E’ per questo che il popolo mormorava e mandò una delegazione a casa di Samuele per chiedere un re che regnasse su di loro infatti si legge: “Si radunarono allora tutti gli anziani d’Israele e vennero da Samuele a Rama. Gli dissero: Tu ormai sei vecchio e i tuoi figli non camminano sulle tue orme. Stabilisci quindi per noi un re che sia nostro giudice, come avviene per tutti i popoli.” (1Samuele 8,4).
Domanda: come mai Samuel non intervenne per fermare la corruzione dei suoi stessi figli che avrebbero portato poi il popolo a chiedere giustamente (l’avrei fatto anche io) a questo punto poi un re?Come mai il profeta Samuel non è intervenuto nella sua stessa famiglia? Avendo visto quello che era successo ad Elì e ai suoi figli? Questa non è ipocrisia? Perchè dici che Israele non è meritevole della protezione divina, quando in primis sono gli stessi giudici con il loro comportamento a non fare nulla per evitare la rovina del popolo? Samuel è per questo che fu costretto a nominare un re? forse perchè si sentiva in colpa visto che aveva mancanto esattamente come Elì cohen?
Anche se c’è da dire che sia Elì che Samuel non furono mai avidi e corrotti di guadagni come i loro figli. Certo, il popolo usò le azioni dei figli del profeta Samuel come occasione per chiedere un re, invece di avere un Dio Onnipotente invisibile che combatteva le loro battaglie per loro E’ chiaro che volevano essere in grado di vantarsi di un re terreno “visibile” che poteva impugnare la spada e sottomettere i loro nemici e renderli un potere riconoscibile tra le nazioni con cui fare i conti. E una volta che Israele ebbe il loro re per giudicare le cose, i “servizi” dei giudici non furono più necessari . Malgrado ciò, però, Saul vide la necessità che Samuel rimanesse in servizio. Samuel fu l’ultimo giudice di Israele. In effetti, non si è mai ritirato. Invecchiato o no, Saul tenne vicino Samuele come giudice, e consigliere costante, affidabile e degno di fiducia, che poteva sempre rivelargli la volontà dell’unico vero Re d’Israele. La guida fornita da Samuel fu così preziosa che anche dopo la sua morte, Saul cercò il suo santo consiglio dalla tomba!
Ps: Che fine hanno fatto poi i figli di Samuel?
Sulla pagina Facebook stiamo analizzando un capitolo a settimana. Gradualmente gli articoli verranno postati tutti anche qui sul sito. Spero che nei prossimi “episodi” potrai trovare le risposte alle tue domande.
Ok.. non vedo l’ora. 😃
Molte donne di oggi, che devono affidarsi all’inseminazione artificiale pur di avere un figlio, credo siano felici, comunque, di poter essere madri senza che sottilizzino sul sesso del nascituro.
Anna, invece, la donna che partorì il profeta Samuele, essendo sterile e dileggiata dall’altra moglie di suo marito che era fertile, si rivolse a Dio perché esaudisse il suo desiderio di maternità.
Poiché la sua amarezza era talmente grande, non avrebbe dovuto importarle che il bambino che le fosse concesso dal Cielo fosse maschio o femmina. Per lei doveva contare unicamente di essere madre. Invece col suo voto fece la richiesta specifica di un MASCHIO, che poi avrebbe consacrato come nazireo. Il nazireato, va precisato, era esteso anche alle donne.
“Essa era afflitta e innalzò la preghiera al Signore, piangendo amaramente. Poi fece questo voto: «Signore degli eserciti, se vorrai considerare la miseria della tua schiava e ricordarti di me, se non dimenticherai la tua schiava e darai alla tua schiava un figlio MASCHIO, io lo offrirò al Signore per tutti i giorni della sua vita e il rasoio non passerà sul suo capo».” (1Samuele 1:10-11, CEI)
Per un verso è comprensibile l’abituale preferenza delle donne israelite riguardo alla nascita di figli maschi. Mettendo alla luce questi ultimi, le puerpere erano poi soggette a un periodo di quarantena di appena (si fa per dire) quaranta giorni. Quando invece nasceva una femmina il tempo della quarantena era di ottanta giorni:
“Il Signore aggiunse a Mosè: «Riferisci agli Israeliti: Quando una donna sarà rimasta incinta e darà alla luce un maschio, sarà immonda per sette giorni; sarà immonda come nel tempo delle sue regole. L’ottavo giorno si circonciderà il bambino. Poi essa resterà ancora trentatré giorni a purificarsi dal suo sangue; non toccherà alcuna cosa santa e non entrerà nel santuario, finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione. MA, se partorisce una FEMMINA sarà immonda due settimane come al tempo delle sue regole; resterà sessantasei giorni a purificarsi del suo sangue.” (Levitico 12:1-5, CEI)
Era un peso notevolmente più grande da sopportare, che certo non induceva le donne a desiderare di partorire e allevare delle figlie. La legge mosaica provocava fin dalla nascita un divario affettivo fra madri e figlie, ma accentuava nelle genitrici la preferenza per i maschi.
Nelle storie bibliche è trattato con molta frequenza l’evento della NASCITA e di quanto esso dipenda dalla volontà del dio unico. Sono tante, in questi racconti, le donne sterili che partoriscono solo quando Dio vuole, o quelle che, all’opposto, restano gravide non appena si accoppiano con un uomo, come Tamar, la nuora di Giuda, o le figlie di Lot. Non accennano mai, però, ai due flagelli che fino a tempi a noi vicini hanno sempre colpito la maternità: la mortalità delle partorienti e quella dei bambini sotto i cinque anni. L’unico bambino che muore prematuramente è il figlio della colpa di Davide con Betsabea, e soltanto come castigo divino per il loro adulterio.
La mancanza di figli è regolarmente attribuita alla sterilità delle mogli, MAI ai mariti. Sembra che agli scrittori biblici prema dimostrare che i loro personaggi di spicco nella storia del popolo eletto non fossero sterili o impotenti.
Inoltre, essi tengono a precisare che le loro mogli non avrebbero mai dato alla luce figli bastardi, frutto, se non d’adulterio, di abuso sessuale. In tal senso sono indicativi gli episodi di Sara e di Rebecca fatte passare per sorelle dai rispettivi mariti Abramo e Isacco e date in sposa a monarchi pagani. Fu poi l’intervento divino a salvare la situazione.
I FIGLI appaiono sempre come un dono del Cielo, sebbene i patriarchi antidiluviani divenissero padri generalmente non prima dei cent’anni. Noè addirittura ebbe i suoi tre figli dopo che ebbe compiuto i cinque secoli. I patriarchi e le matriarche da cui discesero gli ebrei non furono mai prolifici. Sara generò Isacco miracolosamente all’età di novant’anni; Rebecca, dopo vent’anni di matrimonio, diede alla luce solo due gemelli, Esaù e Giacobbe. La nascita dei dodici capostipiti d’Israele avvenne da ben due mogli e due concubine di Giacobbe.
Quei dodici non furono nemmeno loro prolifici, ma in seguito, in Egitto, il clan di Giacobbe, composto da settanta persone, proliferò prodigiosamente fino a raggiungere in quattro secoli il numero di tre milioni d’individui.
La nascita di bambini maschi primogeniti, esaltata dalle storie bibliche, avviene regolarmente fin dall’inizio della Storia umana. Adamo ed Eva generano prima di tutto Caino e Abele. Morto quest’ultimo, Eva mise al mondo Set.
Da Caino nacque Enoc. Noè, si è detto, ebbe tre figli maschi dai quali discese la nuova umanità postdiluviana; da Abramo ancora due maschi, Ismaele e Isacco; dal secondo di questi nacquero i gemelli Esaù e Giacobbe e da quest’ultimo dodici maschi e una sola femmina. Mosè ebbe due figli maschi, e suo fratello Aronne ne generò quattro, solo maschi.
Durante il periodo della cattività degli israeliti in Egitto, il faraone comandò l’uccisione di tutti i loro neonati maschi. Egli intendeva così contenere la prodigiosa proliferazione degli israeliti, ma a tal fine, invece, avrebbe dovuto eliminare (o sequestrare) le femmine. Nella narrazione biblica, la soppressione dei bambini maschi è tesa a procurare nei lettori un maggiore pathos.
NOTA: Il presente commento volevo inserirlo alla pagina Arayot (Moralità sessuale), ma il sito non mi ha permesso di pubblicarlo (mi piacerebbe capire perché). Essendo, comunque, in tema con la nascita del profeta Samuele e col voto di sua madre, tento la pubblicazione su quest’altra pagina.
Marco scrive: I patriarchi e le matriarche da cui discesero gli ebrei non furono mai prolifici.
Ti sbagli di grosso Marco! Almeno per quanto riguarda i Patriarchi furono prolifici eccome!!! Tant’è che ebbero un sacco di figli con le loro concubine che erano diventate come una sorta di “madri surrogate”…
Per quanto riguarda invece Anna ed Elcana avranno ancora tre figli e due figlie , e continueranno a recarsi ogni anno a Shilò a visitare il piccolo nazireo che sarà giudice, profeta e sacerdote. In questo modo, Anna risolve la propria sterilità usando una “modalità” diversa da quella di altre madri, dato che ha accesso diretto al santuario e al Dio che apre e chiude gli uteri delle donne (come apre e chiude le cateratte dei cieli).
Invece il lungo periodo di sterilità delle matriarche Sara, Rebecca e Rachele, tutte sradicate in un certo senso da una terra “impura”, è un modo per spiegare come sia indispensabile un tempo necessario perché si realizzi un reale distacco da quel mondo politeistico dove erano cresciute. E dato che nell’ottica biblica è sempre HaShem che concede la benedizione del “frutto del grembo” il senso della prolungata sterilità delle madri di figli “importanti” – è un modo anche e soprattutto, per enfatizzare l’eccezionalità dell’intervento divino . Questo perchè l’intento del redattore è anche quello di ridimensionare e depotenziare ogni tipo di “pratica magica idolatrica” e inglobarla in una concezione rigorosamente monoteistica.
Per quanto riguarda i figli maschi, invece, sono importanti perchè continuano il nome, e in un certo senso anche la vita del padre (anche se non è così per tutti). Questo perchè la società biblica era “una struttura d’autorità di tipo patriarcale, destinata principalmente alla perpetuazione del clan. Infatti ai maschi spettava la responsabilità, l’autorità e la presenza nella sfera pubblica, la legge, la politica, la guerra, il potere. Mentre alle donne apparteneva la riproduzione, l’educazione, e la cura della specie umana nell’ambito domestico.Tutto qui…
Non so perché il commento non sia stato pubblicato nell’altro articolo, il sistema dovrebbe essere lo stesso su qualsiasi pagina del sito.
In merito alla tua osservazione sulla frase di 1 Samuele 1, non mi convince la traduzione “figlio maschio”. Infatti in ebraico biblico “figlio maschio” si dice “ben zakhar”, mentre qui Channah dice “zera anashim”, che alla lettera significa “seme di uomini”, ed è la stessa espressione usata in Genesi 3 per alludere alla “discendenza della donna” (qui ovviamente c’è “donna” al posto di “uomini”). Probabilmente le parole di Channah significano semplicemente “Se vorrai concedermi una prole da un uomo (mio marito)”. Di sicuro non c’entra nulla in questo caso la purificazione richiesta per la nascita di una femmina, che non prevedeva alcuna “quarantena” intesa come periodo di isolamento dalla società. Nei giorni della purificazione alla donna era solo proibito accostarsi al Santuario.
Cara Antonella hai detto bene che il popolo volle un re visibile per dir cosi, come tutti gli altri popoli, invece di confidare nell’onnipotenza di un dio invisibile, la cui parola però invece regna sovrana in cielo e terra. Commisero un grande peccato come sta scritto, e Dio consolò Samuele dicendogli che non avevano ripudiato lui come giudice, ma hanno ripudiato me ( come loro Dio ed unico re come tu hai ben scritto). Ma nella sua misericordiosa dice che sarà lui a scegliere un re per il popolo secondo il suo cuore. Toccherà a Dio scegliere un re e non al popolo, ed il popolo dovrà essere tutt’uno con il suo re, ed il re tutt’uno con Dio, per ristabilire la perfetta unione ed unità. La storia biblica ci dice che i re sono stati la causa della caduta del primo tempio, ed i maestri della legge del secondo. Ma se a Mosè chiesero un intercessore fra loro e Dio , a Samuele chiesero un intercessore fra loro e gli altri popoli, perché senza intercessione sarebbero morti nel rapportarsi con Dio e con gli uomini. Tu dici che solo Dio è il re di Israele, e Gesù nazareno re dei Giudei è stato messo in croce perché riteneva di essere simile a Dio, una sola cosa con il padre suo, il suo figlio prediletto così come dovrebbe essere tutto il popolo di Israele, confidando nella potenza di un Dio invisibile le cui parole regnano sovrane in cielo ed in terra, dimenticando o non sapendo che la logica di Dio è il contrario della logica di questo mondo, e a cui piace rivoltare ogni cosa così come dice Anna nel suo canto di lode al Signore Dio degli eserciti. Perchè piangi per Saul disse il Signore a Samuele, ungi il corno e parti, e sarà Samuele ad ungere Davide, ubbidendo a Dio, nonostante sembra che sia sempre rimasto legato a Saul.
Ma sarà Davide a sconfiggere Golia andando a combattere solo nel nome del Signore, e sarà Davide a sconfiggere Amilek, il grande nemico eterno di Israele piuttosto che scendere a compromessi con lui, come fece Saul ed il popolo.
Nel raconto di Golia, sta scritto che Saul fece indossare la sua armatura da guerriero al ragazzo che aveva solo la legge di Dio nel suo cuore, ma Davide non riusciva nemmeno a camminare in quella armatura, così che se la tolse per andare a combattere solo nel nome del Signore con le sue armi da pastore. Capisci cosa vuol dire? Tutto è halachà nell’ebraismo, dal verbo Holech camminare, e Davide non riusciva nemmeno a camminare armato di spada e di corazza. Ma spoglio di tutto andò a combattere, incurante delle burla del gigante, perché il Signore avrebbe vinto per lui. Ma diventato Re, peccò il piccolo pastorello, e la storia un pò la sai anche se non tutta la puoi comprendere…
Ma tu non morirai gli disse Natan ( che significa donare…. un dono di Dio….) ed il Signore completerà per me l’opera delle sue mani salmeggiava Davide. Dice il Signore al mio Signore, siede alla mia destra fino a quando avrò messo tutti i tuoi nemici come sgabello dei tuoi piedi.
Ed una domanda fece Gesù ai maestri della legge. Come mai Davide chiama suo Signore colui che è suo figlio ( perché figlio di Davide dovrà essere il Messia e re di Israele)
Vero uomo e vero Dio
Capisci adesso? O speri ancora nei Re e nei Rabbini per costruire il terzo tempio dopo che hanno distrutto i primi due?
Il tempio serviva per custodire l’arca del Signore, e se vuoi capire molte cose, devi cercare di capire la storia e le vicende dell’arca del Signore raccontata nei libri di Samuele e delle cronache.
Pensa che anche Davide ebbe timore di portarla a casa sua, ma poi invece…….
Chissà se lo spiegherà Sguarda da Sion senza aver timore di Gesù…
Rido pensando a te mentre leggerai, ma anche al Signore piace ridere come sta scritto, quando nn lo fanno piangere per amore come ci raccontano i profeti.
Ti scongiuro anonimo, evitiamo supponenza e aria di superiorità verso gli altri utenti, e soprattutto evitiamo predicazioni. Qui stiamo parlando di 1 Samuele e non del Cristianesimo.
Anonimo, sei come le nuvole. Se ti levi di torno, esce una bella giornata.
Ma era una nuvola che accompagnava gli ebrei nel deserto, ed un giorno vedrete il figlio dell’uomo venire nelle nubi del cielo, diceva Gesù.
Ma io ho parlato di Samuele….
Le interpretazioni sono lecite nell’ebraismo, perché si dice che amano la libera discussione.
Tu mi scongiuri, ma anche il sommo sacerdote scongiurò Gesù in nome del Dio Vivente, di dirgli se era lui il Cristo, il figlio del Dio Vivente. Tu l’hai detto gli rispose Gesù, e lui l’accusò di Bestemmia dopo essersi stracciato le vesti di fronte a lui con le proprie stesse mani.
Ora tralasciando qualsiasi interpretazione ( e spergiuri o accuse di bestemmie o quant’altro), cosa ci dice la storia umana? L’hai più indossato le sue vesti il sommo sacerdote? E perché mai allora Geremia dice che non sarebbe mai cessato il sacerdozio di fronte a Dio? Non è un profeta Geremia o non è il Messia Gesù? E che diciamo di Pilato? Non fu lui a lavarsi le mani e rinunciare al suo potere di fronte a Dio? Di fronte al Re dei Giudei e al figlio del Dio Vivente, si burlò di loro il Signore, perché non sapendolo, sia il sommo sacerdote che pilato, rinunciarono a ciò che invece pensavano di voler e poter difendere. Ma se non esistono re nei confronti di Dio ( tranne uno), può mai esistere un Sommo sacerdote di fronte a lui? Chi mai può essere sommo, se è solo un uomo?. Una religione per poter essere tale, ha bisogno di un tempio e di un sacerdozio, e l’ebraismo rabbinico non avendo nè l uno e nè l’altro, non è religione ma solo pensiero umano, in cui Dio è solo un concetto. Tanto è vero che ami parlare con Marco..
Ma proprio l’ateismo ebraico che tanto ama studiare e parlare della Bibbia, conferma le parole di Gesù che chi non conosce lui non conosce il padre, e chi non conosce il padre nn conosce il figlio. Tutte le scritture parlano di me, e solo attraverso Gesù si possono conoscere le scritture, e se io le interpreto grazie a Gesù, dove è lo scandalo? In quali contraddizioni incorro? quale torto faccio alle scritture? ( alle scritture però, nn all’interpretazione rabbinica perché è questa interpretazione che fa torto alle scritture) Beato chi non trova scandalo in me diceva Gesù..
;Ma voi preferite Saul più che Davide, e difatti la storia ci dice che Davide fu costretto a rifugiarsi in terra straniera ( come Mosè e Giuseppe), ripudiato dal suo popolo e deriso dai suoi nemici. Ma era lui che piangeva per Saul…… cosi come poi piangeva per Assalonne.
E non fare come Saul e come Assalonne, altrimenti fai piangere Davide.
se ti ho scritto che logica vuole che nella storia di Davide non compare mai il nome di Mosè, è solo perché la legge di Dio lui ce l’aveva scritta nel suo cuore piuttosto che su tavole di pietre, cosi come dovrà essere un giorno per tutto il popolo di Israele, come predicavano i profeti.
Ma tu che sei uno studioso della legge e nn ti piacciono le mie prediche, se non ami Saul stai attento a non essere come Assalonne. In nome della legge conquistò tutto il popolo andando molto vicino all’usurpazione del trono, ma rimase sospeso fra cielo e terra ci dice il racconto, come ancora sospesi sono molti rabbini
La mia è logica biblica, ma tu chiamandole prediche preferisci discorrere di logica umana con Marco, ma nella storia di Assalonne solo per rispetto di Mosè non compare il suo nome, perché pur appellandosi alla sua legge lo profanava.
Figlio mio figlio mio, fossi morto io al posto tuo, e se non poteva morire Davide, morirà il suo Signore al posto del popolo.
Stammi bene e chissà se mi capirà Antonella o attenderà invece con ansia le tue spiegazioni.
Caro Anonimo, quello che ti capisce costa 70 euro l’ora. 😁
non ho capito chi è che costa 70 euro l’ora
Meglio affidarsi a Dio dove tutto è gratuito
Caro redattore, scrivi:
“In merito alla tua osservazione sulla frase di 1 Samuele 1, non mi convince la traduzione “figlio maschio”. Infatti in ebraico biblico “figlio maschio” si dice “ben zakhar”, mentre qui Channah dice “zera anashim”, che alla lettera significa “seme di uomini”, ed è la stessa espressione usata in Genesi 3 per alludere alla “discendenza della donna” (qui ovviamente c’è “donna” al posto di “uomini”). Probabilmente le parole di Channah significano semplicemente “Se vorrai concedermi una prole da un uomo (mio marito)”.
Tutte le Bibbie che ho consultato (CEI, Nuova Riveduta, Riveduta, Nuova Diodati, Diodati, TNM, Ed. Paoline, la Settanta) traducono allo stesso modo la preferenza di Anna per un figlio maschio. Cito come altro esempio la TNM: “Se […] darai alla tua schiava una progenie, un maschio, …”
Io non conosco l’ebraico, ma credo che i traduttori, almeno quando sono in accordo fra loro, si affidino al senso della frase.
La traduzione che tu proponi mi sembra non abbia molto senso: “Se vorrai concedermi una prole da un uomo (mio marito)”. Una donna maritata che chieda la grazia di una prole, da chi potrebbe averla se non da un uomo?
Scrivi:
“Di sicuro non c’entra nulla in questo caso la purificazione richiesta per la nascita di una femmina, che non prevedeva alcuna “quarantena” intesa come periodo di isolamento dalla società. Nei giorni della purificazione alla donna era solo proibito accostarsi al Santuario.”
L’isolamento della puerpera dalla società era comandato dalla Torah, proprio come al tempo del suo ciclo mestruale (Levitico 12:1-5). E durante le mestruazioni la donna era in uno stato di autentica quarantena identica a quella di chi era affetto da gonorrea (Levitico 15). La puerpera era quindi isolata dal mondo per sette giorni alla nascita di un maschio, ma quattordici quando nasceva una femmina. In aggiunta c’era l’allontanamento dal santuario, rispettivamente per 33 e 66 giorni.
Nulla di strano, quindi, che una madre israelita preferisse aver partorito un figlio maschio. Era dovuto al doppio peso che le era imposto a causa della neonata.
Antonella ha scritto:
“Ti sbagli di grosso Marco! Almeno per quanto riguarda i Patriarchi furono prolifici eccome!!! Tant’è che ebbero un sacco di figli con le loro concubine che erano diventate come una sorta di “madri surrogate”…
Abramo ebbe soltanto 1 figlio maschio da una concubina, poi 1 figlio maschio da Sara.
Isacco: 2 gemelli maschi
Esaù: 5 maschi, generati però da ben tre mogli.
Giacobbe 12 maschi e 1 femmina, in tutto 13 figli, ma li ebbe da 4 donne!
Una donna in salute è in grado di sostenere anche più di 13 gravidanze. Le cronache odierne e passate rivelano casi di mamme straordinariamente fertili che hanno messo al mondo molte decine di figli, e senza l’aiuto dello spirito divino. Una contadina russa, Valentina Vassilyeva, tra il 1725 e il 1765, partorì 69 figli, dei quali 67 raggiunsero l’età adulta. Ai nostri tempi la donna più prolifica è stata una cilena, Leontina Albina, che ha partorito 55 figli.
In quanto agli uomini, è noto che Gengis Khan ebbe, dalle sue molte mogli, centinaia di figli. Sembra che oggi 16 milioni di asiatici discendano da lui.
L’origine del popolo eletto comincia con l’incomprensibile rassegnazione di Abramo alla mancanza di eredi del suo stesso sangue. Udì la voce di Dio quando aveva 75 anni. Fino a quel momento, per via della sterilità di Sara, la sua UNICA consorte, non aveva ancora avuto figli. Essendo ricco sfondato, si sarebbe potuto permettere, non dico un harem, ma almeno qualche altra moglie che gli garantisse una discendenza e, comunque, un erede. Invece, i suoi immensi beni sarebbero stati ereditati… da uno dei suoi schiavi! L’istituto della poligamia, dopotutto, preservato e regolamentato in seguito anche dalla Torah, serviva appunto a ovviare all’assenza di eredi a causa della sterilità muliebre.
Si direbbe, pertanto, che Abramo non fosse per nulla interessato a perpetuare la propria stirpe. Ma, in tal caso, appare assurda la promessa che Dio gli fece per compensarlo della sua fedeltà: gli avrebbe dato una discendenza numerosa come le stelle del cielo!
Quando ebbe 86 anni, fu proprio Sara, esasperata per l’assenza di prole, a dargli una concubina!
La sua ricchezza e la legittimità del concubinato non smossero mai la sua strana apatia a non volersi riprodurre. Ciò si potrebbe spiegare come una licenza narrativa del redattore:
il primo ebreo doveva essere partorito, con certezza, per mezzo di un prodigio divino da una donna sterile e anziana; ma avrebbe stonato nella narrazione la circostanza (seppure logica) che il suo anziano marito fosse intanto ammogliato con altre donne e avesse già dei figli.
Divenuto vedovo e risposatosi con una certa Chetura, Abramo ebbe altri sei figli che, manco a dirlo, erano tutti maschi sebbene non da loro dovesse sorgere il popolo eletto.
Anche il suo erede Isacco si accontentò, per vent’anni, di avere accanto una moglie che non gli dava figli, e neanche lui pensò al concubinato come rimedio. Eppure anche Isacco aveva desiderio di una discendenza numerosa come la sabbia del mare (Genesi 26:1-6). Nacquero infine i due gemelli, Esaù e Giacobbe, e ciò gli bastò.
Esaù fu subito poligamo, ma le sue tre mogli gli diedero solo cinque figli, ovviamente tutti maschi. Giacobbe, invece, diventò poligamo senza che lo volesse; e, come già era accaduto a suo nonno, furono proprio le sue due mogli a procurargli delle concubine.
I dodici figli maschi di Giacobbe ebbero a loro volta un totale di 56 figli maschi e una sola femmina di nome Serac figlia di Asher (Genesi 46:8-27), con una media di poco più di 4 figli a testa. A innalzare la media fu Beniamino con i suoi 10 figli, mentre Dan ne ebbe appena 1.
Questi personaggi, eponimi delle tribù d’Israele, appartenevano a un clan molto ricco. Potevano quindi permettersi di mantenere diverse mogli e concubine quantomeno per incrementare quella prole che Dio non sempre elargiva a piene mani. Invece furono quasi tutti monogami, SI ACCONTENTAVANO di avere pochi figli sebbene fosse comune il desiderio tipicamente mediorientale di una discendenza numerosa. Giuda, per esempio, divenuto vedovo e avendo perso i primi due dei tre figli che aveva, non pensò a risposarsi, tuttavia placava la sua libido con le prostitute. Fu così che diventò nuovamente padre per l’intraprendenza di sua nuora Tamar che, per adescarlo, si travestì da meretrice.
Colpisce, soprattutto, l’assenza pressoché totale di prole femminile nella genealogia dei capostipiti, che si spiegherebbe come voluta da Dio. Oppure, per un altro verso, si può sospettare una forzatura del redattore biblico che ha evitato di affollare detta genealogia con l’inutile presenza di nomi di donna.
La moltiplicazione iperbolica del clan di Giacobbe avvenne solo in seguito durante la sua residenza in Egitto. I primi 70 israeliti, nonostante gli spietati tentativi di contenimento demografico attuato dai faraoni, raggiunsero il numero di circa 3 milioni in appena quattrocento anni.
I discendenti dei patriarchi, qualche secolo dopo, non furono per nulla contenuti nelle loro unioni matrimoniali. Davide ebbe almeno 7 mogli e un numero notevole di concubine scelte da lui stesso e non dalle sue consorti. Salomone addirittura 700 mogli e 300 concubine.
Marco se leggi bene la storia di Abramo, ebbe, oltre al primogenito Ismaele da Agar, e Isacco da Sarah, anche Zimran, Ioksan, Medan, Madian, Isbak e Suach dalla seconda moglie Keturà (Gen 21,1-2). In totale, dunque, ben otto figli, dei quali uno solo, però, secondo Genesi 18,10, è il figlio della promessa!
Ma la cosa più importante che devi capire, è che il redattore evidenzia, è che Abramo, è padre soprattutto di tutto il popolo ebreo secondo la carne. E’ infatti solo il popolo ebraico, che oggi può legittimamente rivendicare questa speciale discendenza. Anche se non si deve dimenticare che esiste un’altra dimensione della paternità di Abramo, che va oltre alla sua generatività fisica, infatti Abramo ha una doppia paternità: è padre per la fede – dei circoncisi e dei non circoncisi – dunque ha avuto una discendenza numerosa come le stelle…come promesso da HaShem.
Ma torniamo a 1Samuele….
In Levitico non si legge di alcuna quarantena a cui era sottoposto la donna in stato di Niddah (mestruazioni). L’isolamento lo aveva semmai il “lebbroso”, ma nel contesto del Levitico è bene ricordare che lì parliamo dell’isolamento dal machaneh, cioè l’accampamento reso santo dalla presenza del Tabernacolo. Già con l’ingresso nella terra promessa le regole cambiarono.
La preferenza per il figlio maschio precede il Sinai ed è dovuta semmai alle norme della società patriarcale. Il figlio maschio perpetuava la famiglia e il nome del padre, mentre la figlia femmina andava a far parte di un altro nucleo familiare.
Abramo è padre per la fede – dei circoncisi e dei non circoncisi –
Antonella ha letto San Paolo………. a quanto sembra, oppure è sulla buona strada non sapendolo
Quindi è la fede che salva, diceva San Paolo. non la legge, perché in base alla legge il Signore ha detto certamente che saremmo moriti, Ma proprio perché in Dio non può mai esserci morte, Abramo avendo fede in Dio fu disposto a donarglielo per vincere anche la morte.
D’altronde era un dono di Dio,e ciò che Dio ci dona non è un nostro possesso ma a lui dobbiamo essere disposti a ridonarglielo perché poi ce lo ridà di nuovo abbondando sempre, perchè essendo amore mai nulla trattiene per se. Prima apparteneva a Dio Isacco, solo dopo sarà figlio di Abramo, il figlio della promessa. Vuole che abbiamo fede fino al limite il Signore, anche oltre la morte, ma non volendo mai la morte degli uomini, sarà lui ad offrire il figlio suo per dar vita a tutti gli uomini, mantenendo le promesse fatte ad Abramo.
I psicologi non possono capire cara Antonella, perché amano soltanto i 70 euro all ora, come gli avvocato, ancora più esosi. Ma uno solo sarà l avvocato degli uomini dinanzi a Dio. Difatti non esistono avvocati nella torah data da Mosè………… e nemmeno psicologici ma solo la fede
Ho capito anonimo. Allora devi passare direttamente dall’esorcista….
Antonella ha scritto:
“Marco se leggi bene la storia di Abramo, ebbe, oltre al primogenito Ismaele da Agar, e Isacco da Sarah, anche Zimran, Ioksan, Medan, Madian, Isbak e Suach dalla seconda moglie Keturà (Gen 21,1-2). In totale, dunque, ben otto figli, dei quali uno solo, però, secondo Genesi 18,10, è il figlio della promessa!”
Veramente non ho taciuto, nel mio commento, la paternità di altri sei figli che Abramo ebbe dalla sua seconda moglie dopo che diventò vedovo. Cito me stesso:
“Divenuto vedovo e risposatosi con una certa Chetura, Abramo ebbe altri sei figli che, manco a dirlo, erano tutti maschi sebbene non da loro dovesse sorgere il popolo eletto.”
Caro redattore, scrivi:
“In Levitico non si legge di alcuna quarantena a cui era sottoposto la donna in stato di Niddah (mestruazioni). L’isolamento lo aveva semmai il “lebbroso”, ma nel contesto del Levitico è bene ricordare che lì parliamo dell’isolamento dal machaneh, cioè l’accampamento reso santo dalla presenza del Tabernacolo. Già con l’ingresso nella terra promessa le regole cambiarono.”
Le regole della Torah riguardanti le impurità non erano, come tu affermi, provvisorie e destinate a cambiare con l’ingresso nella terra promessa. Con riferimento agli ambienti abitativi, esse trattano pure di edifici in muratura nei paesi conquistati, contaminati dalla muffa MANDATA DA DIO “…qualora io mandi un’infezione di lebbra in una casa del paese di vostra proprietà…” (Levitico 14:34, CEI).
L’impurità (immaginaria) delle donne durante il loro ciclo mestruale e durante il puerperio è trattata, nella Torah, alla stessa stregua delle malattie contagiose:
gonorrea, tigna, lebbra, psoriasi, e anche muffa sugli oggetti e sulle pareti delle case (capitoli 11-15 del Levitico).
Solo i lebbrosi erano mandati fuori dalla comunità in una condizione di vera quarantena; tale termine sarebbe quindi inappropriato se usato riguardo alle donne mestruate e alle puerpere. Queste, però, secondo le normative in questione, rendevano immondo ogni utensile, sedie, letti e persone che toccavano, e chiunque toccasse quegli oggetti o persone contaminati lo diventava a sua volta. Al termine dei giorni stabiliti, la donna doveva recarsi al santuario per espiare il suo “peccato”, esattamente com’erano obbligati a farlo gli affetti da patologie contagiose dopo che erano guariti. Sì, perché lebbra, gonorrea, affezioni della pelle, vesciche purulente, mestruazioni e puerperio – con le loro manifestazioni che ricordano gli effetti della decomposizione cadaverica – erano intesi come rigetto del Dio vivente, dunque come castigo divino. La donna era “punita” a causa della maledizione caduta su Eva.
Il bambino maschio era circonciso non prima dell’ottavo giorno dalla sua nascita poiché nei primi sette, lui e sua madre avrebbero contaminato l’addetto alla circoncisione.
Se normalmente il ciclo mestruale è per ogni donna un fatto privato, per quella israelita sottomessa alla Torah tale evento naturale rappresentava invece uno stato di pubblica degradazione. La sua dignità era schiacciata da questi tabù che la rendevano una “intoccabile”, un “paria” per sette giorni ogni mese.
Riguardo al periodo post-parto, la sua impurità saliva al massimo livello per sette o quattordici giorni, come quando era mestruata. In seguito, fino a ottanta giorni, tale livello era ridotto: la madre e il neonato non “sporcavano” ciò che era profano ma solo quello che era sacro. Inoltre, il periodo d’intoccabilità raddoppiato con la nascita di una bambina, degradava la figura femminile fin dal momento della nascita.
C’è quindi da stupirsi se una donna sterile, qual era Anna, nell’invocare la grazia di una gravidanza, avesse specificato di volere un figlio maschio?
Bisogna riconoscere, comunque, che fino a non molto tempo fa, anche da noi si usava ancora dire agli sposi: “Auguri e figli maschi!”
L’emancipazione femminile, dopo millenni di discriminazione, è un fatto piuttosto recente.
Dal tuo commento emerge una visione non accurata del concetto biblico di impurità, che come spiegato e rispiegato altrove, non ha alcun nesso con l’idea di peccato o di maledizione. Si diventa impuri anche nel compimento di una mitzvà come seppellire un caro defunto o eseguire il rito della Parah Adumah, e persino grandi benedizioni divine come l’essere fecondi producono impurità. Non c’è inoltre alcun nesso con il “peccato di Eva” (non è mica il rito cattolico del battesimo!) né con il “castigo divino”. Le norme sulla purità sono espresse senza alcun giudizio etico.
Non ho detto che le regole sull’impurità furono abolite con l’ingresso nella terra di Kenaan, ma esse non si applicavano esattamente come nell’accampamento sacro nel deserto (che doveva essere preservato nella sua interezza dall’impurità). Inoltre, come spiega Maimonide, era di fatto quasi impossibile mantenersi puri, per cui la prassi prevedeva di purificarsi a prescindere prima di recarsi al Tempio. Ancora oggi, gli Ebrei osservanti che visitano il Monte del Tempio a Gerusalemme fanno prima inevitabilmente tappa al mikvè per purificarsi.
Ma tutto questo non ha nulla a che fare con il nostro brano di 1 Samuele, poiché Channah, ammesso che stia parlando davvero di un figlio maschio – cosa che dal punto di vista linguistico è tutt’altro che scontata – non fa alcun riferimento alle norme del Levitico, ma solo alla cultura universalmente diffusa nelle società patriarcali.
Marco, era anche per rispnderti sulla tua affermazione riguardo la fecondità dei patriarchi, dato che hai scritto che “i patriarchi e le matriarche da cui discesero gli ebrei non furono mai prolifici”. E questo non è vero!. Per quanto riguarda invece le figlie femmine, non è per una sorta “discriminazione” maschilista o di fallocrazia da parte del redattore biblico che non vengono mai registrate le nascite nelle storie bibliche (a parte il discorso sulle matriarche e altre). Ma per il semplice fatto che le donne non avevano peso, significato o spessore nella vita pubblica di quella società di tipo patriarcale di 6000 anni fà. Non era certo come le donne di oggi. Mi sembra che fai sempre dei paragoni inapproriati e non guardi mai ai principi positivi ed etici che lo scrittore biblico vuole trasmettere.
Ma come dice giustamente Sguardo a Sion torniamo a 1 Samuele.
Ps: Anche io, semmai dovessi avere un figlio preferirei un maschio. Soprattutto oggi.
Convengo che sia bene tornare al brano su 1 Samuele. Attendo, anzi, il proseguo della sua storia.
Vorrei però suggerire un articolo che tratti dell’impurità secondo la Bibbia. Bisogna riconoscere che mettere insieme nelle stesse normative gli eventi naturali della riproduzione umana con lebbra, scolo, tigna, malattie veneree, muffa ecc. è come cuocere nella stessa pentola buone verdure da mangiare e vecchi scarponi da lavare.
Sempreché Maimonide non abbia già illustrato quest’argomento nella sua “Guida dei perplessi”.
Caro redattore, nel tuo articolo, hai scritto:
“Il libro si apre con la storia di Channàh (Anna), una storia che ci riporta con la mente al Libro della Genesi, e in particolare alla vicenda di Rachèl, moglie di Yaakov (Giacobbe). Tra i due racconti notiamo le seguenti analogie:
• In entrambi i casi leggiamo di un uomo sposato con due donne, di cui una è più amata dell’altra (Gen. 29:18; 1 Sam. 1:5).
• Proprio la moglie prediletta, in entrambi i racconti, si rivela essere sterile.
• Tra le due mogli c’è tensione: Rachel dichiara di aver affrontato aspre lotte contro Leah (Gen. 30:8), e Channah subisce angherie da parte di Peninah (1 Sam. 1:6).
• La figura del marito mostra in ambedue le storie una certa passività dinanzi al dramma della moglie sterile (Gen. 30:2; 1 Sam. 1:18).
• Alla fine, la donna sterile viene benedetta con un figlio. Si noti il parallelismo: “E Dio si ricordò di Rachel […] ed ella concepì e partorì un figlio” (Gen. 30:22-23); “E Dio si ricordò di lei […] e Channah concepì e partorì un figlio” (1 Sam. 19-20).
• Entrambe le protagoniste scelgono per i loro figli nomi che esprimono la loro ferma convinzione nell’intervento di Dio in loro favore (Gen. 30:23-24; 1 Sam. 1:20).
“Cosa vuole dirci il testo biblico con queste analogie?
Come spiega Rav Amnon Bazak, “sembra che l’accostamento abbia il solo scopo di evidenziare le differenze tra i due personaggi principali, Rachel e Channah, soprattutto per quanto riguarda il modo in cui le due donne affrontarono la loro sterilità”.
Mentre Rachel mostra chiaramente gelosia nei confronti di sua sorella, Channah subisce l’umiliazione in silenzio. Inoltre, in modo alquanto significativo, Rachel non si rivolge subito a Dio, ma cerca di uscire dalla sua condizione attraverso vari metodi e stratagemmi (la richiesta insistente al marito, la “maternità surrogata” attraverso la sua serva Bilha, l’uso delle mandragole come rimedio all’infertilità). Channah, al contrario, “innalzò la preghiera ad HaShem” (1:10).”
RISPONDO:
L’accostamento tra le differenti situazioni di Rachele e di Anna mi sembra inappropriato:
sarebbe come voler comparare l’aereo del Barone Rosso con il caccia supersonico F16.
• RACHELE era nata e cresciuta nell’epoca patriarcale, in una Mesopotamia pagana, in una famiglia idolatra fin dal tempo degli antenati. Ed era coniugata con un uomo, Giacobbe, per il quale HaShem era soltanto un dio, non Dio. Per l’esattezza era il dio di suo padre e di suo nonno, che egli pure avrebbe venerato ma A CONDIZIONE che esaudisse determinate sue richieste:
“Giacobbe fece questo voto:
«SE Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà pane da mangiare e vesti per coprirmi, SE ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre, IL SIGNORE SARÀ IL MIO DIO.»” (Genesi 28:20-21, CEI)
Il concetto di Dio unico non era per nulla chiaro ai patriarchi. Quest’idea sarebbe stata palese solo in seguito alla rivelazione sul monte Sinai. E anche lì, l’espressione “Non avrai altri dèi di fronte a me, perché sono un dio geloso” suggerisce una concezione ancora monolatrica anziché rigorosamente monoteista: infatti, si può seriamente essere gelosi di… innocui feticci di legno?
• ANNA, all’opposto, nacque e fu educata in un ambiente ormai monoteista, dove la figura e le leggi di HaShem erano pienamente stabilite e consolidate con tanto di santuario e di sacerdoti. I culti alle divinità straniere, quando c’erano, costituivano una grave violazione che suscitava la collera e i castighi celesti.
• Rachele crebbe in una casa zeppa d’idoli, in un paese dove il politeismo era la normalità. Per lei, l’unico portavoce di Dio era suo marito, il quale, ripeto, poco sapeva dell’unicità di HaShem essendosi rivolto a lui come se promettesse a un negoziante di essere suo cliente in cambio di un favorevole trattamento commerciale.
• Anna pronunciò un voto secondo precise regole istituite dalla legge mosaica, ed era cresciuta vedendo la sua gente e i suoi parenti sciogliere abitualmente voti al Dio d’Israele.
• Rachele, donna pagana, al più era a conoscenza del patto stipulato da suo marito con il proprio Dio, un accordo che prevedeva determinati vantaggi economici che non si erano ancora attuati poiché Giacobbe, al momento, viveva in stato di servitù presso suo suocero.
Aggiungerei che l’unione fra Rachele e Giacobbe non fu un incontro di spiriti reciprocamente attratti da comuni ideali religiosi. Il fidanzamento in senso romantico non esisteva in quei tempi. Rachele era soltanto una ragazza venduta in moglie da suo padre a un lontano cugino che venerava una divinità diversa da quelle che loro conoscevano. Ricordiamo che, tempo dopo, Giacobbe e Labano sancirono un’alleanza fra loro chiamando a testimoni il dio dell’uno e il dio dell’altro.
Dal punto di vista di Rachele, HaShem era dunque una divinità fra tante. Lei aveva cominciato a dare credito al dio di Giacobbe soltanto dopo che la situazione economica di suo marito migliorò radicalmente col trucco delle pecore striate.
I parallelismi fra le due vicende sembrano più che altro un esercizio retorico ricorrente nella Scrittura. L’insegnamento biblico sulla nascita dei capostipiti potrebbe se mai riguardare l’aspetto matrimoniale.
Abramo e Isacco erano stati monogami per vocazione e avevano accettato di coniugarsi ciascuno con la donna SCELTA PER LORO dai rispettivi padri.
Diversamente, Giacobbe non dovette sottostare alle regole tradizionali del matrimonio combinato. Lui volle sposare una giovane donna di cui si era innamorato e la “comprò” col proprio lavoro.
La truffa che subì da suo suocero – di ritrovarsi cioè ammogliato suo malgrado anche con un’altra donna che NON gli piaceva – costituirebbe un bilanciamento del suo status coniugale. L’altra sposa impostagli, cioè Lia, rappresenterebbe la moglie “giusta” perché fertile; al contrario, la ragazza voluta per amore era quella “sbagliata”, rivelandosi sterile.
Secondo me, il narratore intendeva mostrare che la poligamia non era concessa per il trastullo sessuale dell’uomo ma aveva lo scopo precipuo della procreazione. Ogni buon marito doveva impegnarsi a fecondare la moglie fertile: NON la donna desiderata, bensì quella designata dalla valutazione “oculata” tra il padre e il suocero (nel caso di Giacobbe, solo dal suocero).
L’istituto matrimoniale biblico, insomma, non soltanto mette fuori gioco i sentimenti amorosi della donna (che è venduta in sposa), ma annulla pure il valore di quelli maschili. L’uomo e la donna, annuncia il libro di Genesi, diventeranno una sola carne, ma – si dovrebbe aggiungere – NON un solo cuore. E così, oltre a Giacobbe, molti altri personaggi sono penalizzati nelle storie bibliche dall’infatuazione per le donne. Alcuni esempi:
— Sansone s’innamorò di due filistee che lo tradirono;
— Davide desiderò la figlia del re, ma costei lo disprezzò quando lo vide danzare seminudo per la gioia di aver recuperato l’arca;
— Amnon s’invaghì della sorellastra Tamar e la violentò con la conseguenza di essere ucciso per vendetta;
— Salomone per amore delle sue mogli straniere diventò apostata.
Scrivi:
“Attraverso la similarità letteraria con Rachel – spiega ancora Rav Bazak – , la Scrittura esalta la forza della personalità di Channah, sia nella sua grande fede in Dio che nelle sue relazioni con coloro che la circondano”.
Qualsiasi donna sterile e credente, in ogni parte del mondo, ha sempre rivolto preghiere ai propri santi o numi protettori per ricevere la grazia di una maternità, e i malati di essere guariti.
Perciò nella fede e nella richiesta di una gravidanza da parte di ANNA non mi pare vi sia nulla di eccezionale. Inoltre, la circostanza che costei subisse in silenzio l’umiliazione dell’altra consorte era scontata poiché era normale che un uomo avesse più di una moglie: tanto peggio per quella che era sterile.
Ma per RACHELE fu diverso: per sette anni era stata la promessa sposa di Giacobbe; quando alla fine giunse il momento tanto atteso delle nozze, inaspettatamente, Lia la precedette negli sponsali, complice con suo padre nel raggiro ai danni suoi e di Giacobbe. Sua sorella era pertanto un’intrusa. Se non si fosse perpetrato quell’inganno, Rachele sarebbe stata la prima e forse l’unica moglie di Giacobbe. Lia non solo la obbligò a dividere con lei il marito, ma poi le sbatté in faccia la propria fecondità. Quale donna non sarebbe irritata e gelosa in una situazione simile?
Pensiamo a Sara e a come s’incattivì verso Agar quando questa si vantava di essere incinta:
Agar era soltanto la concubina, analogamente Lia era la moglie brutta e detestata, ma la loro rivincita nella maternità, l’una verso la padrona, l’altra verso la sorella, non poteva che esacerbare crudelmente in loro l’afflizione per essere sterili.
Tornando a quanto avevi detto:
“Attraverso la similarità letteraria con Rachel – spiega ancora Rav Bazak – , la Scrittura esalta la forza della personalità di Channah, sia nella sua grande fede in Dio che nelle sue relazioni con coloro che la circondano”.
Nel confronto, si direbbe piuttosto che sia Rachele a rivelare una forte personalità.
– Rachele, a differenza di Anna, non poteva confidare in un proprio dio;
– non apprezzava le divinità venerate dal padre Labano poiché egli si dimostrava un uomo viscido che sfruttava Giacobbe;
– non conosceva veramente, anzi non nutriva fede nel dio di suo marito perché quest’ultimo restava povero in canna;
– lei, come se non bastasse, era in lotta con sua sorella ed era sconfortata per la propria sterilità. Tutto le remava contro, eppure dimostrò forza di carattere.
Quando la sua famiglia fuggì dalla casa paterna, lei rubò i feticci di suo padre e agì all’insaputa di Giacobbe; la ragione del suo gesto non è spiegata, ma certo fu un atto di ostilità verso suo padre. Dopo che Labano raggiunse l’accampamento di Giacobbe esigendo infuriato la restituzione dei suoi idoli e si mise a frugare nelle tende, Rachele li nascose… sotto il proprio sedere.
In quel frangente, ella riuscì a volgere a proprio favore la regola discriminatoria che tacciava d’IMPURITÀ le donne mestruate e che poneva lo stigma della contaminazione sui giacigli sopra cui esse sedevano. Rubando quei feticci e – non senza spregiudicatezza – dissacrandoli sedendosi sopra, per di più durante uno stato vero o presunto d’impurità mestruale, Rachele ottenne la sua rivalsa: poté raggirare e danneggiare il suo genitore truffaldino, causa prima delle proprie sofferenze. (Genesi 19-35)
Scrivi:
“Infine, subito dopo essere stata benedetta, Rachel chiede di più: “Aggiunga per me HaShem un altro figlio” (Gen. 30:24); Channah, invece, cede a Dio il dono ricevuto, giurando che suo figlio sarà “offerto ad HaShem per tutti i giorni della sua vita” (1 Sam 1:11), cioè consacrato per il servizio nel Santuario.”
• Il voto di Anna è un “do ut des” e, come tale, è fondato sui “SE”:
«Signore degli eserciti, SE vorrai considerare la miseria della tua schiava e ricordarti di me, SE non dimenticherai la tua schiava e SE darai alla tua schiava un figlio maschio, io lo offrirò al Signore per tutti i giorni della sua vita e il rasoio non passerà sul suo capo». (1Samuele 1:11, CEI).
Da come scrivi, lasci intendere che Anna fosse libera da ogni obbligo verso Dio; e che, spontaneamente e per pura gratitudine, giurò di offrirgli suo figlio a vita. Invece, vedendo esaudito il suo voto, non poteva che contraccambiare il favore mantenendo fede alla sua promessa.
• Rachele, all’opposto, non aveva fatto alcun voto. Dopo che le nacque il primo figlio, cominciò a credere nella, sia pure tardiva, benedizione divina e auspicò soltanto che HaShem la facesse concepire almeno un’altra volta.
Solo dopo diversi anni, quando Giacobbe fece ritorno in Canaan, finalmente egli comandò a tutti i membri del proprio clan – mogli, concubine, figli ormai adulti, servi e serve – il divieto di professare culti pagani. Fino ad allora, gli dèi tradizionali erano coesistiti con il Dio “importato” da Giacobbe. Fu un passo importante tra i capostipiti verso la monolatria, vale a dire l’adorazione esclusiva di una divinità col rigetto di tutte le altre. Per quanto riguarda l’evoluzione verso il MONOTEISMO, ossia la dottrina che afferma l’inesistenza di altre potenze sovrannaturali oltre ad HaShem, sarebbero occorsi ancora dei secoli.
L’accostamento tra le due vicende, dal punto di vista letterario, è tanto evidente da poter essere considerato innegabile. Lo scopo dell’autore non sembra però essere quello di denigrare la figura atavica di Rachel, ma di esaltare Channah. Certo, i diversi contesti in cui vissero le due donne vanno considerati, tuttavia il testo non mira a fornirci un confronto psicologico tra Rachel e Channah – considerando i loro traumi e la loro cultura – bensì a mettere in contrasto due modelli di comportamento, con l’obiettivo di impartire insegnamenti al lettore. Inoltre, dobbiamo anche ricordare che Channah non visse affatto in una società monoteista e ideale: alla sua epoca l’idolatria fioriva, il culto era corrotto dai figli di Elì e persino alcuni Leviti costruivano altari a dèi stranieri. Confidare in HaShem in questo contesto era tutt’altro che scontato.
Detto ciò, trovo del tutto errato l’insegnamento che ritieni di aver tratto dal testo. Tu affermi che il racconto penalizzi e rimproveri Yaakov per aver scelto una donna in virtù dei propri sentimenti, invece che affidarsi a “valutazioni oculate”. La moglie “sbagliata” sarebbe perciò, a tuo parere, presentata come sterile e quindi inadeguata. L’idea è però inconciliabile con la Genesi, che ci mostra invece come tutte le matriarche (ad eccezione di Leah) fossero sterili. Ad Avraham, Dio assicura che la discendenza del Patto nascerà dalla sterile Sarah e non dalla fertile Hagar. Lo scopo della Torah è in questo caso mostrare l’origine di Israele come un fatto miracoloso che smentisce ogni aspettativa umana, esaltando il volere di Dio che, come è scritto nell’Hallel, “Fa abitare la sterile nella sua casa, come madre gioiosa di figli”.