“Il Messia perfezionerà il mondo intero affinché tutti servano Dio insieme, come è detto: ‘E io darò ai popoli un linguaggio puro perché tutti invochino il nome di HaShem e lo servano di comune accordo'” (Hilkhot Melakhim, 11, 4).
Questa affermazione di Maimonide, che cita il profeta Sofonia (3:9), esprime quello che è da sempre un elemento importante della speranza ebraica nella Redenzione: la portata globale della venuta del Messia e il suo impatto sull’intera umanità. Da sempre, infatti, il concetto di era messianica non è legato solo alle sorti del popolo ebraico, ma a quelle del mondo nel suo complesso.
Quale funzione può essere allora attribuita alle nazioni non ebraiche nel contesto della Redenzione? Che tipo di futuro attende il genere umano secondo la fede ebraica? Il modo migliore di rispondere a queste domande sta nel ricercare ed esaminare le fonti bibliche da cui ogni riflessione su questo tema ha avuto origine.
I Goyim saranno servi degli Ebrei?
Quando si parla del ruolo dei popoli del mondo nell’era messianica dal punto di vista dell’Ebraismo, spesso si pensa a un’umanità subordinata a Israele all’interno di un regno teocratico universale. Da questa idea prende forza anche uno dei maggiori cavalli di battaglia dell’antisemitismo: la convinzione secondo cui il popolo ebraico intenda dominare il mondo e rendere tutti i Goyim (cioè i non-Ebrei) schiavi della “nazione eletta”.
Tale concetto, in effetti, sembra avere le sue radici all’interno dei Neviim (Profeti). Tuttavia, proprio risalendo alle sue fonti bibliche originarie è possibile scoprire che l’idea della sottomissione dei popoli ha in realtà ben poco a che fare con un sogno di supremazia di stampo razzista e discriminatorio. Prendiamo ad esempio un brano di Isaia che si esprime in modo eloquente in proposito:
Poiché HaShem avrà pietà di Giacobbe, sceglierà ancora Israele e li ristabilirà sulla loro terra. Gli stranieri si uniranno a loro e si stringeranno alla casa di Giacobbe. I popoli li prenderanno e li ricondurranno nel loro paese e la casa d’Israele li possederà nel paese di HaShem come servi e serve; faranno prigionieri quelli che li avevano fatti prigionieri e regneranno sui loro oppressori (Isaia 14:1-2).
Il tema è ulteriormente sviluppato in altri capitoli del libro di Isaia in cui il profeta, parlando a Israele, annuncia che “i figli dello straniero saranno i vostri agricoltori e i vostri vignaiuoli” (61:5) e che i re di nazioni potenti “si prostreranno davanti a te con la faccia a terra e leccheranno la polvere dei tuoi piedi” (49:23).
La chiave per comprendere queste profezie è fornita proprio dal v. 2 del capitolo 14 che abbiamo appena citato: “[gli Israeliti] faranno prigionieri quelli che li avevano fatti prigionieri e regneranno sui loro oppressori”. In altre parole, ciò che la Bibbia preannuncia è un rovesciamento delle sorti: Israele, nazione prima perseguitata e sottomessa, sperimenterà un riscatto e trionferà sui suoi nemici. I “prigionieri” e i “servi” di cui parla Isaia sono coloro che avevano oppresso gli Israeliti, non l’umanità nella sua interezza. Non vi è in questi versi alcuna traccia di razzismo; il tema non è la superiorità della stirpe ebraica, ma la rivalsa degli Israeliti sui loro avversari.
Non si tratta in ogni caso di un’innovazione introdotta dai Profeti, ma di uno sviluppo di quanto è già espresso nel Deuteronomio:
Un popolo, che tu non hai conosciuto, mangerà il frutto della tua terra e di tutte le tue fatiche, e sarai certamente oppresso e schiacciato di continuo. Lo straniero che è in mezzo a te si eleverà sempre più in alto sopra di te, e tu scenderai sempre più in basso. Egli presterà a te, ma tu non presterai a lui; egli sarà la testa e tu la coda (Deut 28:33-44).
In questi versi, la Torah dichiara che il popolo ebraico, qualora si allontani dalla giustizia, sarà oppresso dal giogo di altre nazioni. Nel caso contrario, quando cioè Israele si conforma alla volontà divina, la situazione è rovesciata:
E tu presterai a molte nazioni, ma non prenderai nulla in prestito. HaShem ti farà essere la testa e non la coda, e sarai sempre in alto e mai in basso, se ascolterai i comandamenti di HaShem, il tuo Dio, che oggi ti prescrivo perché li osservi e li metta in pratica (Deut. 28:12-13).
Fin dal principio, dunque, non troviamo alcuna visione di un dominio universale, ma solo un meccanismo di elevazione-degradazione che dipende dalla condotta del popolo del Patto.
“Poiché da Sion uscirà la Torah”
Quella dei nemici di Israele sottomessi nell’era messianica non è di certo l’unica immagine che Isaia ci fornisce parlando del ruolo dei popoli stranieri nella Redenzione. Un quadro più armonioso e pacifico emerge in particolare dalla visione del capitolo 2, la stessa in cui troviamo il celebre annuncio della pace universale e della fine di tutte le guerre (v. 4). Isaia scrive:
Negli ultimi giorni avverrà che il monte della casa di HaShem sarà stabilito in cima ai monti e si ergerà al di sopra dei colli, e ad esso affluiranno tutte le nazioni. Molti popoli verranno e diranno: «Venite, saliamo al monte di HaShem, alla casa del Dio di Giacobbe; Egli ci insegnerà le sue vie e noi cammineremo nei suoi sentieri». Poiché da Sion uscirà l’insegnamento e da Gerusalemme la parola di HaShem (Isaia 2:2-3).
Anche in questo caso, come in molti altri, il libro di Isaia richiama alla memoria dei lettori un brano della Torah. La descrizione dei popoli che si recano a Gerusalemme ci ricorda infatti ciò che è scritto in Deuteronomio 17:8-9:
Se sorge un caso che è troppo difficile per te da giudicare, […] ti leverai e salirai al luogo che HaShem, il tuo Dio, ha scelto, e andrai dai sacerdoti leviti e dal giudice in carica a quel tempo e li consulterai: essi allora pronunceranno la parola del giudizio.
Mentre però la Torah si rivolge qui esclusivamente agli Israeliti nella loro terra, Isaia applica le stesse parole ai popoli stranieri. Nel futuro ideale presentato dal profeta, come nota Rav Yoel Bin-Nun nel suo libro Isaiah: Prophet of Righteousness and Justice (Maggid, 2020), l’immagine del monte di Dio alla fine dei tempi diviene “una gloriosa estensione del tribunale nazionale di Israele descritto in Deuteronomio”.
In futuro, ci comunica quindi il testo, saranno le nazioni ad adempiere (in maniera libera e volontaria) l’antico precetto della Torah “salendo” verso “il luogo che Dio ha scelto” per essere guidate nell’applicazione della legge divina. Un mirabile esempio di universalismo all’interno delle Scritture ebraiche.
Slanci ecumenici dei Profeti
Benché molto spesso la Bibbia ebraica si concentri marcatamente sulla storia e sui doveri morali del popolo d’Israele, vi sono dei casi in cui l’orizzonte dei profeti diviene tanto ampio e inclusivo da dare luogo ad affermazioni innegabilmente rivoluzionarie.
È il caso di Ezechiele, che al termine del suo libro, descrivendo una visione su un glorioso futuro messianico, ridisegna la divisione territoriale della terra promessa preannunciando che tutte le tribù d’Israele saranno redente dall’esilio e riceveranno una porzione di eredità nella loro patria come al tempo di Yehoshua (Giosuè). Al contrario di come era avvenuto a quell’epoca, tuttavia, il piano di spartizione di Ezechiele prevede una notevole innovazione:
Dividerete così questa terra tra di voi, in base alle tribù d’Israele. La dividerete a sorte in eredità tra voi e gli stranieri che risiedono fra di voi e hanno generato figli in mezzo a voi. Questi saranno per voi come i nativi nel paese tra i figli d’Israele, avranno in sorte un’eredità in mezzo alle tribù d’Israele. Nella tribù in cui lo straniero risiede, là gli darete la sua parte, dice il Signore, HaShem (Ezechiele 47:21-23).
Per la prima volta, gli stranieri ottengono il possesso di un suolo nella Terra di Israele per diritto divino (!), esattamente come gli Israeliti, diventando di fatto non più forestieri. Non stupisce che Rashi e molti altri commentatori tradizionali abbiano ridimensionato la portata di questa novità interpretando il termine gherìm, che nella Bibbia indica i residenti stranieri non ebrei (cfr. Nachmanide su Esodo 20:10), nel senso che questa parola ha assunto nel linguaggio rabbinico, ossia “convertiti all’Ebraismo”.
Un’innovazione persino più sbalorditiva si trova però ancora una volta nel libro di Isaia, nella profezia conclusiva sulla Redenzione di Israele. Secondo questo brano, in futuro molti popoli “vedranno la gloria di Dio” e si impegneranno per riportare gli Ebrei dispersi tra i luoghi più remoti nella terra santa:
Ed essi ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutte le nazioni come un’offerta ad HaShem, su cavalli, su carri, su portantine, su muli e su dromedari, al mio santo monte di Gerusalemme, dice HaShem, come i figli d’Israele portano un’offerta in un vaso puro nella casa di HaShem (Isaia 66:20-21).
Ed è a questo punto, nel verso successivo, che il testo ci colpisce con un’audace affermazione: “E prenderò pure alcuni di essi come sacerdoti e Leviti, dice HaShem” (66:22).
Cosa significa questa frase? Il profeta sta forse dicendo che alcuni membri di questi popoli stranieri diventeranno sacerdoti nel Tempio di Gerusalemme? L’idea appare davvero sorprendente se consideriamo che, secondo la Torah, il sacerdozio appartiene unicamente ai discendenti di Aharon, e che neppure agli Ebrei di stirpe non sacerdotale è mai stato concesso di acquisire tale ruolo.
Anche in questo caso, i commentatori corrono subito ai ripari e interpretano il verso seguendo una sintassi differente: ad essere eletti come sacerdoti e Leviti non saranno gli stranieri, bensì alcuni degli Ebrei ricondotti in patria i quali, ignari delle loro origini familiari a causa del lungo esilio, scopriranno così di appartenere alla stirpe sacerdotale.
A proporre una lettura diversa è Rabbi Yosef Kimchi (padre del grande commentatore medievale David Kimchi), che ammette che la frase si riferisca proprio agli stranieri e non agli Ebrei tornati in patria, ma ritiene che essi diventeranno semplicemente “servitori dei sacerdoti e dei Leviti”.
Il senso più immediato del verso resta però comprensibile pur nella sua anomalia: dopo aver condotto gli Israeliti a Gerusalemme “come un’offerta in un vaso puro nella casa di HaShem” (cioè come un tributo a Dio paragonato a un sacrificio nel Santuario), per il merito di questa offerta metaforica alcuni membri delle nazioni riceveranno l’onore di diventare letteralmente sacerdoti nel Tempio ricostruito.
Per approfondire: