Uno dei più grandi scontri di potere mai esistiti nel mondo antico è senza dubbio quello che vide contrapposti l’Egitto e l’Impero ittita, due delle maggiori potenze che tremila anni fa dominavano il Vicino Oriente. La battaglia decisiva tra i due regni si svolse a Kadesh nel 1274 a.e.v., sulle rive del fiume Oronte, oggi in Siria.
Perché ne stiamo parlando? Cosa ha a che fare tutto questo con la Bibbia o con l’Ebraismo? Nulla, potremmo rispondere, dal momento che il testo biblico non menziona la battaglia di Kadesh né parla di alcun conflitto tra Egizi e Ittiti. Tuttavia, come stiamo per scoprire, approfondire la questione potrebbe farci cambiare idea.
Il poema di Pentaur e il Libro dell’Esodo
Per celebrare la battaglia di Kadesh, un autore egizio compose un testo epico noto come “poema di Pentaur” (o “poema di Kadesh”), in cui si esaltano grandemente le presunte imprese eroiche compiute dal Faraone in tale battaglia. Il poema ebbe subito un’ampissima diffusione e i suoi versi furono incisi in numerosi templi egizi.
Il testo racconta che gli Ittiti e i loro alleati colpirono gli Egizi con un attacco a sorpresa, seminando il panico tra le truppe del Faraone. Quest’ultimo, però, non si perse d’animo e si rivolse al dio Amun, che lo incoraggiò a combattere. Il re d’Egitto affrontò allora gli Ittiti da solo, facendo una grande strage e gettando molti nemici nel fiume. Il sovrano in questione era il celebre Ramses II, spesso identificato con il Faraone dell’epoca dell’Esodo. Ed è qui che la Bibbia sembra entrare in gioco.
A proposito dell’Esodo, come spiega Rabbi Joshua Berman, docente di Tanakh all’Università Bar-Ilan, è possibile notare alcune sorprendenti analogie tra il poema di Pentaur e il racconto biblico del “passaggio nel Mar Rosso” (Kriat Yam Suf). Ecco le più significative:
Poema di Pentaur | Esodo 14-15 |
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“[Gli Ittiti] giunsero dal sud di Kadesh e irruppero in mezzo all’esercito di Ra, mentre [gli Egizi] marciavano ignari e non erano pronti alla battaglia”. | “Quando il Faraone si avvicinò, i figli d’Israele alzarono gli occhi, ed ecco, gli Egizi marciavano dietro di loro, per cui ebbero grande paura” (14:10). |
“«[Il Faraone] da solo vince le centinaia di migliaia, senza che vi sia alcun esercito con lui né cavalleria!»”. | “E Moshè disse al popolo: […] «HaShem combatterà per voi, e voi ve ne starete fermi»” (14:13-14). |
“[Il dio Amun] gridò dietro di me: «Avanti, avanti! Io sono con te, io sono tuo padre, la mia mano è con te»”. | “E HaShem disse a Moshè: «Perché gridi a me? Di’ ai figli d’Israele di andare avanti»” (14:15). |
“«Li feci cadere nell’acqua come cadono i coccodrilli, caduti uno sull’altro»”. | “«Egli ha gettato in mare i carri del Faraone e il suo esercito, e i suoi migliori guerrieri sono stati sommersi nel Mar Rosso»” (15:4). |
“«Quando le mie truppe videro che ero come Montu, con il mio braccio potente, […] vennero per lodare il mio nome, alla vista di ciò che avevo fatto»”. | “Israele vide la grande mano che HaShem aveva mostrato contro gli Egizi […] E Moshè e i figli d’Israele cantarono questo cantico ad HaShem” (14:31 – 15:1). |
“«Tu sei il più grande guerriero, non c’è nessuno come te, un re che combatte per il suo esercito nel giorno della battaglia. Tu sei magnanimo, il primo della schiera»”. | “«Chi è come te fra i potenti, HaShem? […] Nella tua misericordia, hai guidato il popolo che hai riscattato»” (15:13). |
“«Ogni terra lontana vide la mia vittoria»”. | “I popoli odono e tremano. L’angoscia ha colto gli abitanti della Filistia” (15:14). |
“[Il Faraone,] grande signore di tutte le vittorie che ha compiuto con il suo braccio“. | “«Per la forza del tuo braccio [i nemici] diventeranno immobili come pietra»” (15:16). |
Nel suo libro Ani Maamin (Maggid, 2020), Joshua Berman riassume così i vari elementi che accomunano il poema egiziano alla narrazione della Torah:
- L’esercito protagonista rompe i ranghi alla vista dei carri nemici.
- Dopo una richiesta di aiuto divino, arriva un incoraggiamento ad andare avanti, con la vittoria assicurata.
- I carri nemici, riconoscendo la forza divina che li attacca, cercano di fuggire.
- Molti vanno incontro alla morte nell’acqua e non ci sono sopravvissuti.
- Le truppe del re tornano a ispezionare i cadaveri dei nemici. Stupiti da ciò che il re ha compiuto, le truppe cantano un inno di vittoria che include lodi del nome del re, riferimenti al suo “braccio potente” e un tributo a lui come fonte di forza e di salvezza.
- Il nemico è paragonato alla pula, mentre il re è considerato senza pari in battaglia.
- Il re conduce le sue truppe a casa pacificamente e intimidisce le terre straniere lungo la strada.
- Il re torna al suo palazzo, e qui gli viene concesso il dominio in eterno.
L’idea che la Bibbia possa aver costruito il suo racconto della vittoria miracolosa di Israele sugli Egizi basandosi su un poema epico precedente apparirà forse sconveniente o blasfema agli occhi di molti. Chi tuttavia è interessato a cogliere il messaggio originario delle Scritture, mettendo in primo piano il contesto storico, non potrà che accettare questi parallelismi apprezzandone l’insegnamento che da essi traspare. Berman afferma:
“Durante gran parte della sua storia, l’antico Israele ha vissuto all’ombra dell’Egitto. Per i popoli deboli e oppressi, una forma di resistenza culturale e spirituale consiste nell’appropriarsi dei simboli dell’oppressore e utilizzarli per scopi ideologici in contrasto con il potere”.
In altre parole, è come se il Dio della Torah sfidasse con successo il Faraone sul suo stesso campo, creando un “capovolgimento” della vittoria gloriosa di Ramses II sugli Ittiti. Al “braccio potente” del re d’Egitto si contrappone quello del Dio d’Israele, che umilia la figura tanto esaltata del sovrano eroico con una storia che sovverte i temi della propaganda imperiale egiziana.
Del resto, come abbiamo mostrato in una nostra lezione (vedi “Percorsi della Torah – Alla ricerca dell’Eden“), l’Egitto è talvolta presentato nella Bibbia come una versione perversa del Giardino dell’Eden, dove i valori divini sono stravolti e il posto di Dio è occupato dal Faraone. Uscire dall’Egitto significa allora abbandonare questo luogo florido ma corrotto e restituire al Creatore il ruolo che era stato usurpato da un oppressore umano.
La novità del racconto biblico
Come abbiamo visto in passato parlando della Creazione, del Diluvio e della Torre di Babele, quando la Torah rievoca un mito politeista nelle proprie narrazioni non lo fa mai per adottare un semplice “modello” a cui ispirarsi: al contrario, il testo biblico allude ai poemi epici precedenti allo scopo di far risaltare le differenze tra la fede di Israele e le concezioni idolatriche delle nazioni. In altri termini, ciò che la Torah vuole esprimere è una polemica, a volte quasi una satira, non un’imitazione.
Anche nel caso dell’Esodo che abbiamo appena esaminato, il messaggio del brano è racchiuso nelle differenze con il poema di Pentaur più che nelle analogie. Quali sono, dunque, queste differenze?
Nel poema di Pentaur, l’eroe che viene celebrato è chiaramente il Faraone. Il dio Amun, pur essendo menzionato più volte, è presentato solo in qualità di protettore metafisico di Ramses. Nel racconto dell’Esodo, al contrario, l’eroe non è un uomo, ma Dio. Il protagonista umano (Moshè) svolge solo il ruolo di servo e intermediario della Divinità, e il suo nome non compare neppure una volta nel cantico di lode degli Israeliti. La Torah non può infatti concepire l’idea di un essere umano innalzato al di sopra dei comuni mortali, e smonta l’orgoglio dei sovrani divinizzati esaltando esclusivamente Dio. Nel pensiero ebraico, il dominio e il potere supremo si trovano soltanto al di fuori di questo mondo.
Benché il testo egiziano menzioni il fatto che i nemici del re furono gettati nel fiume, l’acqua appare qui soltanto come un’immagine marginale. Nell’Esodo, invece, l’elemento centrale del racconto è rappresentato proprio dall’acqua: quella dello Yam Suf (“Mare delle canne”). La “divisione delle acque” non trova infatti alcuna corrispondenza nel poema egiziano.
Questo miracolo ci mostra la superiorità del Dio della Torah rispetto al Faraone e alle sue superbe pretese, poiché il Creatore del mondo è l’unico in grado di impiegare le forze naturali come armi e come strumenti di salvezza.