Salmo 117: il capitolo più breve della Bibbia

Lodate HaShem, voi tutte nazioni;
Celebratelo, popoli tutti.


Poiché si accresce su di noi la sua bontà,
e la verità di HaShem è in perpetuo, Halleluyah (Salmi 117:1-2).

Il capitolo 117 del libro dei Tehillìm (Salmi) spicca in tutta la Bibbia ebraica per la sua brevità: è composto da soli due versi, e precisamente da sedici parole. Una concisione estrema che non ha pari tra gli altri salmi.

Proprio per questo motivo, in alcuni manoscritti ed edizioni a stampa della Bibbia, il salmo 117 è stato accorpato al capitolo precedente, come se fosse in realtà la conclusione del salmo 116.

Il fatto che questi due versi costituiscano invece un capitolo indipendente è attestato dai manoscritti più autorevoli del Testo Masoretico, ed è confermato da ragioni stilistiche e strutturali, come spiega Rav Elchanan Samet in un suo studio a riguardo.

Brevità, tuttavia, non equivale sempre a semplicità: la corrente letteraria novecentesca dell’ermetismo ci ha insegnato che anche in pochissime parole è possibile racchiudere una grande ricchezza di significati. Questo salmo, come vedremo, merita infatti di essere studiato con attenzione e apprezzato nella sua essenziale complessità.

La struttura e il significato

Il testo del salmo 117 è diviso in due parti: la prima (v. 1) rappresenta un invito gioioso a lodare Dio, mentre la seconda (v. 2) ci spiega il motivo alla base di questa lode.

In entrambi i versi, la stessa idea è presentata due volte attraverso espressioni analoghe: alle parole “Lodate HaShem, voi tutte nazioni” fa eco la frase “Celebratelo, popoli tutti”, che ha il medesimo significato.

Anche “la sua bontà” e “la verità di Hashem” coincidono. Il termine chesed, che significa “bontà” o “lealtà”, è posto in parallelo a emet (“verità”), che qui assume il senso di “fedeltà”. I due termini compaiono spesso insieme (vedi Isaia 16:5 e Salmi 57:11) in brani in cui si esalta la veracità delle promesse divine.

L’intento del salmista è dunque quello di esortare i popoli a celebrare HaShem (Y-H-V-H, il nome di Dio) per la sua generosa lealtà nell’adempiere la sua parola.

Ma a chi si riferisce il testo quando afferma che la bontà divina “si accresce su di noi“? Chi è il “noi” di cui si parla?

Considerando che l’autore del salmo è un israelita, e che quello della fedeltà di Dio alle sue promesse è un tema che ricorre spesso nella Bibbia in rapporto al Patto tra Dio e il pololo ebraico, è naturale pensare che il “noi” in questione sia proprio Israele.

Se ciò è corretto, la prima parte del salmo è quindi universalista: a essere chiamati a lodare Dio sono “tutte le nazioni” (kol goyim) e “tutti i popoli” (kol HaUmmìm); mentre la seconda è particolarista, in quanto si riferisce specificamente al popolo ebraico.

Da ciò sembrerebbe scaturire una dissonanza che ha creato perplessità in alcuni commentatori: perché le nazioni dovrebbero lodare Dio per il suo amore verso Israele?

Sarebbe ragionevole richiedere a qualsiasi essere umano di esaltare l’Altissimo per le meraviglie della creazione, per i doni che ha dato all’uomo o per la sua gloria. Ciò avviene effettivamente in altri salmi: “Lodate HaShem […] voi re della terra e popoli tutti, […] perché solo il suo nome è esaltato. La sua gloria è al di sopra della terra e dei cieli” (148:7-14); “Lodatelo per le sue meraviglie, lodatelo per la sua grandezza. […] Ogni cosa che respira lodi HaShem” (150:2-6).

Perché allora, nel nostro caso, gli abitanti della terra sono invitati a innalzare lodi a Dio per qualcosa che non riguarda l’intera umanità, ma soltanto un popolo? Non sarebbe invece più coerente esortare gli Israeliti stessi a rivolgere questa lode?

Alcuni hanno tentato di risolvere tale difficoltà percorrendo strade diverse, che ora prenderemo in considerazione per cercare di risalire al senso per nulla scontato di questo breve salmo.

La soluzione di Rabbi Yishmael

Nel Talmud (Pesachim 118b), un maestro del II secolo, Rabbi Yishmael, riporta un’interpretazione del salmo 117 volta a chiarire il nesso tra l’elemento universalista e quello particolarista:

“Qual è il significato del verso: ‘Lodate HaShem, voi tutte nazioni’? Cosa hanno a che fare le nazioni del mondo [con l’amore di Dio per Israele]? Questo è il senso: Lodate HaShem, voi tutte nazioni, per le opere grandiose che Egli ha compiuto per loro [cioè per le nazioni]; e ancor di più noi [Ebrei] dovremmo farlo, poiché è grande la sua bontà verso di noi”.

Secondo Rabbi Yishmael, il v. 2 non è da intendere come la spiegazione del motivo per cui i popoli devono lodare Dio. Le nazioni lodano il Creatore per i propri motivi, non esplicitati nel testo, mentre Israele, a maggior ragione, lo loda per la sua fedeltà alle promesse del Patto.

Per attribuire al verso un simile significato occorre però interpretare la parola ki (poiché) come l’abbreviazione di af ki (“tanto più”). Si tratta obiettivamente di una lettura forzata che purtroppo non soddisfa chi ricerca il senso immediato della Scrittura (pshutò shel Mikrà).

L’amore per tutti gli uomini

Un’interpretazione radicalmente diversa è quella proposta da Moshe Gikitila (XI secolo), secondo cui il “noi” nella frase “si accresce su di noi la sua bontà” non sarebbe da identificare con Israele, ma con l’intera umanità.

Da questa prospettiva, il salmo non menzionerebbe affatto l’amore di Dio per il popolo ebraico, ma solo l’amore universale verso tutti gli esseri umani, chiamati a lodare il Creatore che ha dato loro la vita.

Qualcosa di simile avviene nel salmo 100, dove si legge: “Sappiate che HaShem è Dio, Egli ci ha fatto, e noi siamo suoi”. In questo caso, dal momento che il tema del verso è la creazione, il “noi” deve necessariamente includere tutto il genere umano (creato da Dio).

Risulta tuttavia difficile accogliere l’interpretazione di Moshe Gikitila. Essa infatti renderebbe superflua l’espressione “su di noi” (aleinu), che è invece enfatizzata in modo particolare nel testo, essendo collocata al centro tra il verbo e il soggetto.

Come spiega Rav Samet, “questo salmo descrive una dimostrazione divina d’amore rivolta specificamente ‘verso di noi’, cioè verso un particolare gruppo di persone. Questa enfasi è appropriata solo se il riferimento è al popolo d’Israele, che si distingue dal resto dell’umanità”.

Un’esaltazione poetica

Nel commentario biblico Da’at Mikrà, lo studioso Amos Chakham sostiene che l’esortazione alla lode universale con cui si apre il salmo non sia altro che una semplice formula retorica da non intendere alla lettera.

Secondo questa ipotesi, il salmo era recitato, insieme ad altri canti poetici, dagli Israeliti che salivano al Tempio durante le festività di pellegrinaggio. In un clima tanto gioioso, ciascun adoratore era portato a innalzare la sua lode come a voler coinvolgere il mondo intero nel suo fervore.

Questi pellegrini, di fatto, non si rivolgevano realmente a “tutte le nazioni”, ma solo agli altri Israeliti presenti, i quali potevano dichiarare tutti insieme che “si accresce su di noi la sua bontà, e la verità di HaShem è in perpetuo”.

Un salmo sulla Redenzione

È certamente possibile che, nel corso dei millenni, per molti di coloro che hanno recitato o cantato questo salmo, le sue parole abbiano rappresentato solo pura retorica.

Eppure, a ben vedere, se letto alla luce di molti brani biblici in cui si descrivono l’era messianica e le speranze di redenzione del popolo ebraico, il salmo acquisisce un senso molto più concreto ed elevato.

Già nell’antichissimo Cantico di Ha’azinu (Deuteronomio 32), troviamo un legame diretto tra il mutamento delle sorti di Israele e la coscienza religiosa dell’umanità:

Esultate, o nazioni, [per] il suo popolo, perché HaShem vendica il sangue dei suoi servi, fa vendetta sopra i suoi avversari, ma perdonerà la sua terra [e] il suo popolo (Deut. 32:43).

In questo caso, le nazioni sono esortate a celebrare l’intervento divino in favore di Israele, che dopo aver subito molte sventure sarà alla fine riscattato.

Sviluppando lo stesso tema, i profeti preannunciano un’epoca ideale in cui le nazioni abbandoneranno i loro idoli per volgersi al Dio unico, e ciò avverrà, secondo gli stessi profeti, proprio quando gli Israeliti saranno salvati dai loro nemici e ricondotti nella loro patria dopo l’esilio.

Fra le profezie in questione ci sono dei versi di Geremia il cui linguaggio e le cui espressioni ci ricordano proprio il nostro salmo, e possono perciò fornirci un’importante chiave di lettura:

Poiché così dice HaShem: Innalzate canti di gioia per Giacobbe e mandate grida con i capi delle nazioni. Proclamate, cantate lodi e dite: HaShem, salva il tuo popolo, il residuo d'Israele. Ecco, li riconduco dal paese del nord e li raduno dalle estremità della terra.[...] O nazioni, ascoltate la parola di HaShem e annunziatela nelle isole lontane, e dite: Chi ha disperso Israele lo raduna e lo custodisce come un pastore con il suo gregge (Geremia 31:7-10).

Ecco dunque spiegata la gratitudine delle nazioni per la salvezza degli Israeliti: essa deriva dal fatto che questa redenzione costituisce l’evento storico che permette al mondo di riconoscere il vero Dio. Citando le parole di Isaia (52:9-10), possiamo dire che quando “HaShem consola il suo popolo e salva Gerusalemme, le estremità della terra vedranno la salvezza del nostro Dio”.

(Si deve a questo proposito ricordare che, secondo la Bibbia, è vero anche l’opposto: quando Israele subisce umiliazioni e cade in rovina, i popoli della terra profanano il nome di Dio. Di questo concetto ci siamo occupati in un episodio del nostro podcast “Percorsi della Torah“).

Nel già menzionato studio sul salmo 117, Rav Samet scrive:

“La redenzione d’Israele, così come è descritta nella Scrittura, non è un evento marginale nella storia umana, legato unicamente al rapporto speciale tra Dio e Israele. Il riscatto del popolo ebraico dal suo esilio tra le nazioni e il suo ritorno nella sua terra comportano una riorganizzazione mondiale, una svolta nel corso della storia e un cambiamento nella coscienza di molti popoli. L’ardua questione di quale sia il legame tra tutte le nazioni e il grande amore di Dio ‘per noi’ viene così risolta: questo amore, l’adempimento del Patto di Dio con Israele, che avverrà alla fine dei giorni, influenzerà tutti i popoli e sconvolgerà l’ordine che esisteva prima della redenzione, quando Israele viveva tra le nazioni durante il suo lungo e amaro esilio”.

Con i suoi due brevi versi, il salmo non fa altro che riassumere questa speranza profetica che coniuga universalismo e particolarismo.

Circa otto secoli fa, Radak (Rabbi David Kimchi) aveva già compreso tutto ciò, e commentando il nostro salmo egli scrisse infatti:

“Questo salmo, di soli due versi, si riferisce ai giorni del Messia. E il fatto che sia composto da due versi allude all’idea che tutte le nazioni saranno divise in due schiere: da un lato Israele con la sua Torah e dall’altro gli altri popoli […]. E tutti loderanno Dio, poiché in quel tempo tutti lo riconosceranno. […] Ed egli [il salmista] dice in riferimento a costoro: ‘Lodate HaShem, voi tutte nazioni, poiché si accresce su di noi la sua bontà’ – per questo dovete lodarlo, poiché la sua bontà verso di noi è così grande che Egli ci ha sottratto dalle vostre mani, cosa che voi non credevate potesse fare, a causa della lunghezza del nostro esilio. Ma ora, rendete grazie e dite, tutti voi: ‘La verità di HaShem è in perpetuo’, – perché la sua parola, la promessa che Egli ci ha fatto di liberarci dall’esilio, è vera”.

Quella che a prima vista sembrerebbe solo l’omelia ottimistica di un Ebreo che cerca consolazione nell’epoca buia della diaspora – precisamente nella Francia medievale che perseguitava ed espelleva gli Ebrei – si rivela essere invece una lettura coerente con il vero senso di questo canto poetico da cui, malgrado la brevità, scaturisce uno dei messaggi centrali della Bibbia ebraica.

3 commenti

  1. Caro Redattore, tu lo sai che ogni tanto ti faccio con molto piacere i complimenti. E mi ha fatto molto piacere per le domande che ti sei posto con riguardo a questo Salmo. E’ il salmo più piccolo, e siccome Dio sceglie sempre gli ultimi e i più piccoli, una volta mi è venuta da pensare che, in base ad una coerente esegetica biblica, deve essere questo il salmo più importante e più bello che ci sia. Il centro di tutto, in polarità e tensione fra il particolare e l’universale. Tutti i popoli devono lodare il Signore Dio, ma chi farà conoscere a tutte le genti il nome del Signore, la sua verità e la sua grazia? Dovrà essere Israele a far conoscere il nome del Signore a tutte le genti, sembra che dicono diversi rabbini, ed invece no, perché a leggere questo salmo, sarà il Signore stesso a far conoscere il suo nome a tutte le genti, attraverso il suo amore per Israele, conoscendo la sua misericordia, la sua grazia e fedeltà, la sua potenza e tutto il resto…. . In italiano, almeno nelle mia Bibbia, la traduzione è un pò diversa, e forse rende meglio lo spirito del salmo. ” Vengono a noi tutti i popoli e si inchinano al nostro Dio, perché forte è l’amore per noi”. Perché deve essere Israele a ricondurre il mondo a Dio, ma tutti i popoli si devono inchinare a Dio, non a Israele, come è sempre scritto nella Bibbia. Non so se ho esposto bene la sottile differenza, perché se fosse Israele a far conoscere il nome del Signore, i popoli si dovrebbero infine inchinare ad Israele, ma siccome il Signore fa sempre tutto da solo, si devono solo inchinare a Dio. Israele deve solo lasciarsi amare e guidare da Dio, come fecero quando furono liberati dall’egitto, dove nessun israelita alzò la propria mano contro un egiziano, e gli egiziani non avevano motivo di odiarli, perché l’unico ad essere sconfitto doveva essere il faraone. Ma sono cose che ti ho già accennato…
    un caro saluto

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