L’espressione “nel luogo che Dio sceglierà” è ripetuta in questa parashah per ben diciotto volte. Attraverso tale enfasi, Moshè intende stabilire un centro di gravità rituale per la nuova nazione nella sua terra.

L’espressione “nel luogo che Dio sceglierà” è ripetuta in questa parashah per ben diciotto volte. Attraverso tale enfasi, Moshè intende stabilire un centro di gravità rituale per la nuova nazione nella sua terra.
Cosa c’è di più innaturale, terribile e mostruoso di un genitore che uccide il proprio figlio? Un tale crimine appare inconcepibile ed estraneo a qualsiasi etica, forse ancor più quando viene compiuto per motivi religiosi o ideologici.
La storia del re Saul trova in questo capitolo la sua drammatica conclusione. Come era stato predetto dallo spirito del profeta Samuele, le sorti della guerra si volgono contro Israele, e i figli di Saul cadono uccisi sul campo di battaglia.
Desideroso di ricevere un supporto spirituale alla vigilia della grande battaglia contro i Filistei, il re Saul compie il suo ultimo errore: quello di recarsi nella località di En-dor per consultare una negromante.
La narrazione dell’incontro tra il re e l’evocatrice di spiriti ha generato non pochi interrogativi e perplessità tra gli studiosi e i commentatori.
Frustrato e scoraggiato per il protrarsi della sua vita da ricercato in Israele, Davìd decide in questo capitolo di rifugiarsi nel paese dei nemici. Egli si presenta ai Filistei come un traditore della patria, conquistando così il favore del re Akhish, che gli consente di stabilirsi nella città di Tziklàg.
“E gli Zifei vennero da Shaul a Ghivah e gli dissero: «Non è forse David nascosto sulla collina di Chakilah ai margini del deserto?». E Shaul si levò e scese verso il deserto di Zif, avendo con sé tremila uomini scelti d’Israele, per cercare David nel deserto di Zif” (1 Samuele 26:1-2).