Il centro della Torah

I cinque libri che costituiscono la Torah (Pentateuco) sono composti e ordinati secondo una struttura precisa che viene alla luce grazie agli innumerevoli parallelismi, simmetrie, contrapposizioni, riferimenti incrociati e altri espedienti letterari. Se volessimo tracciare uno schema o un disegno che rappresenti il percorso geometrico della Torah, il risultato sarebbe una sorta di struttura chiastica che converge verso il centro, cioè verso il Libro del Levitico.

struttura

La Torah si apre con Genesi (Bereshit), il Libro delle origini, che funge da prologo e da introduzione all’intera storia di Israele, e si chiude con il Deuteronomio (Devarim), che segna invece l’epilogo e il resoconto di tutto ciò di cui i libri precedenti hanno trattato.

Mentre Genesi si occupa del passato, con i racconti delle origini del mondo e soprattutto del popolo ebraico, Deuteronomio guarda invece al futuro, con i discorsi di Mosè in preparazione all’entrata nella Terra santa, e con le promesse dettagliate che riguardano il lontano avvenire di Israele. Entrambi i libri, inoltre, nelle loro rispettive sezioni conclusive, contengono un elenco delle benedizioni impartite a ciascuna delle dodici tribù.

Il Libro dell’Esodo (Shemot) appare diviso in due metà: la prima (capitoli 1-20) prevalentemente narrativa, che racconta la liberazione degli Israeliti dalla schiavitù in Egitto; la seconda (capitoli 21-40) riporta invece le leggi e gli ordinamenti trasmessi da Dio a Mosè, in particolare quelli relativi alla costruzione del Tabernacolo (Mishkan).

Allo stesso modo, il Libro dei Numeri (Bamidbar) è formato da due parti: una dedicata quasi interamente alle leggi del Tabernacolo e del culto divino, l’altra (a partire dal capitolo 10), che riprende il racconto degli Israeliti nel deserto, narrando del viaggio verso la Terra di Canaan. Sia Esodo che Numeri si aprono con la lista dei nomi degli Israeliti e delle loro famiglie. Anche questi due libri sono quindi collegati da uno schema speculare ben individuabile.

Il Libro del Levitico (Vayikrà), per la sua posizione intermedia e centrale, può dunque essere considerato il vero e proprio punto focale della Torah. In esso troviamo le leggi di santità e purificazione, la descrizione dei rituali che regolano la relazione del popolo con Dio, i doveri dei sacerdoti e l’imperativo costante affinché Israele segua la via della giustizia e della consacrazione, in contrapposizione all’esempio negativo delle nazioni vicine.

Molti commentatori antichi e moderni hanno fatto notare che il Levitico ha a sua volta una struttura interna con un centro che ne rappresenta il nucleo tematico: il capitolo 19, un brano che contiene ciò che alcuni studiosi hanno denominato “codice di santità”. Che questo capitolo costituisca la sezione centrale del Levitico è evidenziato dal fatto che i capitoli immediatamente precedenti e quelli successivi risultino anch’essi ordinati secondo uno schema speculare:

Capitoli 16-17: norme di purità rituale per i sacerdoti

Capitolo 18: condanna delle abitudini religiose e sessuali di Egiziani e Cananei

Capitolo 19: “Codice di santità”

Capitolo 20: condanna delle abitudini religiose e sessuali di Egiziani e Cananei

Capitoli 21-22: altre norme di purità rituale per i sacerdoti

“Sarete santi, perché Io, HaShem (Y-H-V-H), il vostro Dio, sono Santo” (Levitico 19:2). Con questa solenne esortazione ha inizio il brano che rappresenta l’apice e il cuore della Torah. I versi successivi contengono leggi di natura etica che riguardano le relazioni tra gli esseri umani, assieme a norme di tipo religioso e rituale. Il testo non pone alcuna separazione tra queste due categorie diverse di leggi, ma le unisce in un solo codice morale, realizzando una connessione fra la sfera del Divino e dell’umano che non ha precedenti in altre culture antiche.

Fra i precetti inclusi nel capitolo 19 troviamo il rispetto per i genitori, l’osservanza dello Shabbat, la proibizione dell’idolatria e delle superstizioni, l’obbligo di aiutare i poveri, la condanna del furto, dei falsi giuramenti, dei giudizi corrotti e della vendetta, ma anche il rispetto per gli stranieri e per i disabili.

Non maledirai il sordo e non metterai alcun inciampo davanti al cieco, ma temerai il tuo Dio. Io sono HaShem (Levitico 19:14).

Non odierai il tuo fratello nel tuo cuore. Riprendi pure il tuo prossimo, ma non tirarti addosso alcun peccato per causa sua. Non farai vendetta e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono HaShem (Levitico 19:18).

Alzati davanti a chi ha i capelli bianchi, onora la persona anziana e temi il tuo Dio. Io sono HaShem. Quando uno straniero risiede con voi nel vostro paese, non lo maltratterete. Lo straniero che risiede fra voi, lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto. Io sono HaShem, il vostro Dio (Levitico 19:32-34) .

L’espressione Io sono HaShem compare ben diciassette volte nel corso dell’intero brano, che è costituito da trentasette versi. A dominare il nucleo centrale del Levitico e della Torah è quindi il Nome Divino (o Tetragramma sacro). Nella prospettiva biblica, non esiste una moralità più assoluta di quella che deriva direttamente da Dio, e che di conseguenza è estranea ad ogni parzialità ed imperfezione.

Se gli uomini devono perseguire la giustizia, secondo la Torah, non è solo per timore delle autorità terrene e delle punizioni; ma neppure per obbedire ai sacerdoti e ai giudici, o unicamente in virtù di un semplice (seppur lodevole) bisogno di rispettare i propri simili. L’etica e la giustizia hanno una radice e una motivazione più profonda: esse si fondano sulla colonna che sorregge l’intera esistenza, cioè sulla Divinità.

Anì HaShem Elohechem (“Io sono HaShem, il vostro Dio”), l’affermazione che accompagna i precetti di questo capitolo, è la più inviolabile garanzia della validità dei valori morali di una Legge che non può essere annullata.

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