E le acque si innalzarono con grande forza sopra la terra, e tutte le alte montagne che erano sotto tutto il cielo furono coperte (Genesi 7:19).
L’immagine della terra senza abitanti, completamente sommersa dalle acque e dominata dal caos, compare nella Torah sia nel racconto della Creazione che in quello del Diluvio, due eventi che sembrano tanto differenti e immensamente distanti. Il primo è associato ai concetti di vita, di nascita e di benedizione; il secondo è legato invece alla distruzione, alla morte e al fallimento. Eppure, dal punto di vista tematico e letterario, le due storie bibliche presentano molte somiglianze e possono addirittura essere lette in parallelo.
Le varie fasi che si succedono nei sei giorni della Creazione (Genesi 1) saranno poi ripetute fedelmente nell’avvicendarsi degli eventi legati al Diluvio universale (Genesi 8), secondo lo stesso ordine cronologico, come si comprende da un confronto tra i due diversi capitoli:
La Creazione | Il Diluvio |
…E il vento (Ruach) di Dio si librava sopra le acque (1:2). | Dio fece passare un vento (Ruach) sulla terra e le acque si abbassarono (8:1). |
“Via sia un firmamento tra le acque e separi le acque dalle acque” (1:6). | Le fonti dell’abisso e le cateratte del cielo furono chiuse e fu trattenuta la pioggia dal cielo (8:2). |
“Le acque che sono sotto il cielo si riuniscano in un solo luogo e appaia l’asciutto” (1:9). | E le acque andarono diminuendo fino al decimo mese. Nel decimo mese, il primo giorno del mese, apparvero le vette dei monti (8:5). |
“Faccia la terra germogliare l’erba, le piante che producano seme e gli alberi da frutto” (1:11). | E la colomba tornò da lui (Noè) verso sera; ed ecco, essa aveva nel becco una foglia d’ulivo (8:11) |
“…E volino gli uccelli sopra la terra per l’ampio firmamento del cielo” (1:20). | Poi [Noè] mandò fuori la colomba; ma essa non ritornò più da lui (8:12). |
“Produca la terra esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e fiere della terra” […] E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine” (1:24-26). | “Esci dall’arca tu, tua moglie, i tuoi figli e le mogli dei tuoi figli con te. Fa’ uscire con te tutti gli animali con te, di ogni carne: uccelli, bestiame e tutti i rettili che strisciano sulla terra” (8:16) |
“Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e dominatela” (1:28). | “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e moltiplicatevi in essa” (9:7). |
Dopo la fine delle piogge del Diluvio, come si nota chiaramente dallo schema, le varie forme di vita riprendono il loro posto sulla terra nello stesso ordine in cui erano state create secondo il racconto di Genesi 1. Dalle corrispondenze sono logicamente esclusi gli astri e gli animali marini, poiché la loro esistenza non era stata compromessa dal terribile cataclisma.
Dunque il Diluvio universale, oltre a rappresentare il giudizio contro la corruzione della terra, è da considerarsi soprattutto come una sorta di ri-Creazione del mondo, che si differenzia dalla prima Creazione per il ruolo assunto dall’essere umano. Mentre all’inizio della Genesi l’artefice dell’ordine del cosmo è unicamente Dio, nel racconto successivo anche l’uomo svolge una parte attiva nella rinascita della terra, come mostrano le tante azioni compiute da Noach (Noè).
Ciò sembra causare un’alterazione dell’equilibrio dei rapporti tra la specie umana e gli animali. È probabilmente questo il motivo per cui, se in Genesi 1 Dio aveva stabilito che l’uomo fosse vegetariano (vedi Genesi 1:29), ora Noach e i suoi discendenti ricevono anche il permesso di cibarsi di carne, sebbene tale concessione sia sottoposta a una norma etica basilare (vedi “Ever MinHaChai“).
Prima del Diluvio, la Torah ci racconta che “Il Signore chiuse la porta dell’arca” (Genesi 7:16). Ma in seguito, nella nuova Creazione, leggiamo che “Noach aprì la copertura dell’arca” (Genesi 8;13). Il mondo di Dio ha lasciato il posto al mondo dell’uomo.
Il sistema di parallelismi di cui abbiamo parlato, già messo in luce da autori come Joshua Berman e Yitzchak Etshalom, pone una vera e propria sfida alle ipotesi formulate dalla critica biblica accademica negli ultimi duecento anni. La struttura letteraria dei due brani analizzati dimostra infatti che, al contrario di come sostengono molti studiosi, i racconti della Creazione e del Diluvio sono il frutto di un progetto coerente e unitario. Le varie corrispondenze che abbiamo elencato sono in contraddizione con la teoria secondo cui la Genesi sia stata composta dall’unione di testi differenti, scritti da autori in conflitto fra loro, con numerose aggiunte e manipolazioni successive.
Nella prima Creazione c’era però un componente fondamentale che non abbiamo ancora menzionato: lo Shabbat, il settimo giorno. Secondo Rabbi David Fohrman, anche quest’ultimo elemento ha un suo parallelo nel racconto del Diluvio: “l’arco fra le nubi” (Genesi 9:8-17).
Mentre lo Shabbat rappresenta la cessazione dell’opera divina della Creazione, l’arcobaleno segna invece la fine della ri-Creazione seguente al Diluvio, ma è anche il simbolo della promessa secondo cui: “Finché la terra durerà, semina e raccolta, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte non cesseranno“ (Genesi 8:22). In ebraico, il verbo cessare è qui espresso con la radice Sh-b-t, la stessa che forma la parola Shabbat e che appare due volte in Genesi 2:1-3.
Inoltre, è interessante notare che il passo relativo all’arcobaleno presenta molte somiglianze con la descrizione dello Shabbat riportata nel Libro dell’Esodo. Sia lo Shabbat che l’arcobaleno sono infatti definiti brit (patto), brit olam (patto perpetuo), ot brit (segno del patto), ledorot olam (per tutte le generazioni), beini ubeineichem (“fra me e voi”). Ciò conferma l’esistenza di un certo legame tra i due concetti, anche al di là della Genesi.
Shabbat | Arcobaleno |
I figli d’Israele perciò osserveranno il Sabato, celebrando il Sabato di generazione in generazione, come un patto perpetuo. Esso è un segno perpetuo fra me e i figli d’Israele, poiché in sei giorni il Signore fece i cieli e la terra, e il settimo giorno cessò (Esodo 31:16-17) | “Questo è il segno del patto che io faccio tra me e voi, e tutti gli esseri viventi che sono con voi, per tutte le generazioni future. […] E io mi ricorderò del mio patto fra me e voi ed ogni essere vivente di ogni carne, e le acque non diventeranno più un diluvio per distruggere ogni carne. L’arco dunque sarà nelle nuvole e io lo guarderò per ricordarmi del patto perpetuo fra Dio e ogni essere vivente di qualunque carne che è sulla terra”. E Dio disse a Noè: “Questo è il segno del patto che io ho stabilito fra me e ogni carne che è sulla terra” (Genesi 9:15-17). |
È doveroso a questo punto chiedersi se i parallelismi finiscano qui, con la corrispondenza tra il settimo giorno e l’arcobaleno, o se vadano addirittura oltre. La domanda assume un’importanza cruciale poiché, se davvero questa linea di continuità strutturale si estendesse fino a comprendere anche il racconto del Giardino dell’Eden (Genesi 2:4 – 3:24), ciò costituirebbe una clamorosa prova dell’unità e della coerenza del Libro della Genesi, in aperto contrasto con quanto affermato dalle teorie critiche più accreditate.
Uno dei capisaldi dell’ipotesi documentale è infatti l’assunto secondo cui il racconto dei sette giorni della Creazione e quello di Adamo ed Eva derivino da fonti diverse e riflettano idee contrastanti sull’origine dell’umanità. I due brani, secondo la stessa teoria, sarebbero stati raccolti in un unico testo dopo secoli dalla loro composizione originale. Similmente, si ritiene che anche il racconto del Diluvio, assieme a tante altre sezioni della Torah, abbia raggiunto la sua forma attuale attraverso l’unione di documenti diversi da parte di vari redattori. Le argomentazioni alla base di questa ipotesi critica meritano certamente di essere studiate a fondo e in modo dettagliato, ma ciò su cui ora intendiamo concentrarci sono le corrispondenze strutturali tra i vari capitoli della Genesi.
Dunque, fino a che punto arriva realmente lo schema dei parallelismi?
Dopo il passo relativo all’arcobaleno, la Bibbia ci presenta una vicenda alquanto strana che toglie al personaggio di Noach qualsiasi aura di eroismo:
E Noach, uomo della terra, cominciò e piantò una vigna e bevve del vino e si ubriacò, e si scoprì in mezzo alla sua tenda. E Cham, padre di Kenan, vide la nudità di suo padre e andò a dirlo ai suoi due fratelli di fuori. Ma Shem e Yefet presero un mantello, se lo misero sulle loro spalle e, camminando all’indietro, coprirono la nudità del loro padre; e, siccome avevano le loro facce rivolte dalla parte opposta, non videro la nudità del loro padre (Genesi 9:20-23)
Siamo davanti alla storia di un fallimento che segue immediatamente la ri-Creazione del mondo. È impossibile allora non pensare al fatto che anche la Creazione originaria era stata seguita da un fallimento: quello della prima coppia umana nel Giardino dell’Eden. Tra i due racconti, già legati concettualmente dai Maestri del Talmud (vedi Sanhedrin 70a-b), David Fohrman ha individuato le seguenti affinità linguistiche e tematiche:
- In Genesi 2:7 è scritto che l’uomo fu creato dalla polvere della terra, in ebraico: afar min-haadamah; In Genesi 9:20 Noach è chiamato ish haadamah (uomo della terra).
- Il verbo Vayita (“e piantò”), estremamente raro nella Torah, compare la prima volta in Genesi 2:8: “E piantò il Signore Dio un giardino in Eden”, e la seconda in Genesi 9:20: “E Noach […] piantò una vigna”.
- In entrambi i racconti, il fallimento avviene a causa di un frutto: quello dell’albero della conoscenza del bene e del male nella prima storia e quello della vite nella seconda.
- Entrambe le vicende sono accomunate dal tema della nudità (Genesi 2:25; 9:20) e della vergogna che deriva da essa (Genesi 3:7: 9:24).
- Dopo il peccato di Adamo, Dio maledice il serpente condannandolo ad essere il più infimo delle bestie (Genesi 3:14). Impiegando un linguaggio simile, Noach maledice Kenan dichiarando che egli sarà il “servo dei servi dei suoi fratelli” (9:25).
Anche in questo caso, le differenze tra i due racconti riguardano il ruolo dell’uomo nella nuova Creazione. Nel mondo di Dio, era il Sovrano dell’universo a piantare il giardino, a coprire la nudità degli esseri umani con delle tuniche e a pronunciare la maledizione. Nel mondo dell’uomo qualcosa è cambiato: Noach pianta la vigna, i suoi figli coprono la sua nudità, e Noach stesso maledice Kenan. L’umanità diviene protagonista e il paesaggio assume tratti più terreni e concreti.
Bisogna tuttavia osservare che, nonostante i parallelismi presenti nella storia della vigna, il brano risulta privo di alcuni fra gli elementi più importanti che caratterizzano la vicenda dell’Eden, come il concetto dell’espulsione dell’uomo. Sembrerebbe quindi che tali elementi siano rimasti senza una corrispondenza nel mondo della seconda Creazione, ma in realtà, come spiega Rabbi Fohrman, non è così. Esiste infatti un’altra storia nella Genesi che sembra anch’essa ricollegarsi al racconto dell’Eden, una storia che è separata da quella della vigna di Noach soltanto da un elenco di genealogie. Si tratta del racconto della Torre di Babele (Genesi 11:1-9).
In un articolo precedente, ci siamo già occupati del brano di Babele e dei suoi affascinanti significati. Eviteremo perciò di esprimere qualsiasi commento sull’interpretazione del racconto, ma ci limiteremo unicamente a far notare come in esso siano rintracciabili alcuni richiami tematici e linguistici alla vicenda di Adamo ed Eva.
- Genesi 2:8 ci narra che il Giardino dell’Eden fu piantato mikedem (“da oriente”). Secondo Genesi 11:2, gli uomini che edificarono la Torre erano giunti anch’essi mikedem.
- Prima di esiliare Adamo ed Eva dall’Eden, Dio dichiara: “Ecco, l’uomo è diventato unico come noi” (Genesi 3:22, traduzione basata su Targum Yonathan e Rashi). Prima di disperdere gli abitanti di Babele, Egli dichiara invece: “Ecco, essi sono un unico popolo e hanno tutti un’unica lingua” (11:6). La punizione deriva in entrambi i casi dall’essere unici (achad in ebraico).
- Adamo conferisce nomi agli animali (Genesi 2:19). I costruttori della Torre sono mossi dall’intento di “farsi un nome” (11:6).
- Il verbo utilizzato per descrivere la creazione della donna (Vayiven, letteralmente: “costruire”) è lo stesso utilizzato per la costruzione della Torre (Genesi 11:5).
- In entrambe le storie, Dio sembra esprimere un’insolita preoccupazione per gli intenti dell’uomo: “Ecco l’uomo è diventato unico come noi, per la conoscenza del bene e del male. E ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero della vita” (Genesi 3:22); “Ecco, essi sono un unico popolo e hanno tutti un’unica lingua; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. E ora scendiamo e confondiamo la loro lingua” (Genesi 11:6-7). Nel testo ebraico, i due discorsi di Dio presentano alcuni termini in comune: Hen (ecco), V’atah (e ora), Achad (uno), oltre all’uso del plurale d’eccellenza in riferimento alla Divinità.
- In entrambe le vicende, l’umanità è punita con l’esilio.
Per ragioni misteriose, la storia dell’Eden subisce una “rifrazione” nel mondo post-diluviano e si divide nei due racconti della vigna di Noach e della Torre di Babele, che tuttavia non hanno assolutamente nulla in comune tra loro.
Lungi dall’essere un testo nato dall’accorpamento disordinato di documenti diversi, la Torah appare dunque costruita secondo una struttura letteraria complessa, come un disegno che si sviluppa a poco a poco pagina dopo pagina. Ma su questa struttura, e sui significati che ad essa sono affidati, c’è sicuramente ancora molto da scoprire e da rivelare.
caro redattore, la torah si sviluppa a poco a poco , in modo logico razionale e coerente, ma non è complessa , è semplice, perché il Signore è una persona semplice. Bisognerebbe solo trovare una chiave di lettura che ci permetta di capire ogni cosa.
Piacerebbe tanto confrontarmi con te e spero che un giorno sia possibile
Caro anonimo, si possono dire tantissime cose sulla Torah, ma di certo non che sia semplice.
Certo. E’stata data per mezzo di Mosè e proprio lui disse a tutti di ricordare che non avevano una mente per comprendere, orecchie per ascoltare ed occhi per udire. L’uomo non può mai conoscere Dio se Dio non ri rivela all’uomo, e Mosè disse che il Signore avrebbe mandato qualcun altro che gli facesse comprendere ogni cosa , e solo a lui avrebbero dovuto dare ascolto. E’ superbia per l’uomo pretendere di poter conoscere Dio e diventare come lui, ma Dio si conosce quando scopriamo che è lui a conoscere noi. ( tu mi scruti e mi conosci diceva Davide…). Comunque ti dico un pò di cose alla rinfusa, in modo veloce, poi sarai tu se vorrai ad oridnarle.
Devi applicare l’extrema ratio se vuoi capire la torah, portare e sviluppare ogni cosa al limite secondo logica, perché Dio è infinito, e ragionare un pò per opposti perchè le vie del Signore non sono le nostre vie. trovare la giusta strada, perchè è tutto e solo halachà la torah, camminare sul sentiero della verità divina. Tralasciare la gisutizia, perché quella appartiene a Dio e scende dal cielo, ma guardare ogni cosa con gli occhi di DIo, perché lui è un tutt’uno con la torah. Se è complessa la torah è complesso Dio, di una complessa infinita se è infinito, e non potremmo capire mai nulla, ma se è semplice Dio tutto cambia, e dovrebbe essere semplice anche la torah. Siamo noi ad essere complessi e contradditori, mai Dio, lui è verace e senza malizia diceva Mosè, noi presuntosi ed i bambino che non conoscono il bene e il male passeranno a Corna, disse.
Comunque, Babele è l’incontrario di cuore (Levav) e presero la strada all’incontrario gli uomini che volevano salire in cielo. Riunirsi tutti nel nome dell’uomo e non nel nome del Signore, e voler stare vicino a Dio in alto, che invece con il cuore, non sapendo che Dio scende in terra con il proprio cuore, affinché l’uomo salga in cielo con il cuore. ( gli angeli sulla scala di Giacobbe) Confonde i superbi nei pensieri dei loro cuori, e disperde coloro che sono fuorviati nei loro pensieri da una misera illsione ( l’uomo che vuole diventare Dio, come Adamo). Da loro separò Abramo, il primo ebreo, coloro che avranno il compito di raccogliere tutti gli uomini dispersi ed unirli solo nel nome del Signore ( e non nel loro nome), colui che conosce i pensieri e i desideri del cuore di un uomo ( come con la preghiera di Anna.. ). Dio è infinito, non lo si può possedere, ma solo avere coscienza di un meraviglioso mistero, e la fede si fonda sul mistero di Dio, camminare con lui come Abramo, per andare sempre oltre, e con lo sguardo rivolto al cielo, confidando sempre in lui, perché le promesse sono leggi per lui, come le sue parole per noi. Adamo è il primo uomo, indica tutto il genere umano, e con il peccato di Adamo gli uomini sono divisi tra di loro, uno contro l’altro, mors tua vita mea, non più uniti a Dio, Dal peccato di Adamo, consegue un fraticidio, l’omicidio di Caino ed Abee, e con lo scontro tra fratelli prosegue la Bibbia, compreso i fratelli dei patriarchi. Ci narra la nascita del mondo la genesi, la nascita dell’uomo, delle nazioni e della storia umana, ed alla fine la nascita di Israele. Ma come termina la genesi? Leggi l’ultimo capitolo , e vedrai che termina con la riconcilazione tra fratelli, ma riconciliati nel nome del padre però, perché solo in Dio possono amarsi, perché l’amore umano da solo non regge mai. DIo è amore, e la torah ha due scopi per dir cosi, vincere la morte, ( perché ad Adamo fu detto che certamente sarebbe morto) ed insegnare l’amore fraterno. Il mondo tutto fu dato ad Adamo ( a tutto il genere umano ) e la torah a tutto il popolo. E come Israele deve essere unito a Dio come un solo uomo, cosi i figli di Adamo.
Leggi i miei commenti sparsi qua e là in questo sito, mettili insieme e va dove ti porta la logica mi verrebbe da dire, finché DIo non illumina i cuori. Solo dal Signore viene la salvezza, non dall’uomo, ed il Signore completerà per me l’opera delle sue mani, diceva Davide. Ma che cosa deve portare a compimento?
scusami se aggiungo qualcosa. Tutto è halachà, e l’astuto serpente indicò una strada all’incontrario ad Eva, perché non con la consocenza del bene e del male, si diventa come DIo. Ammesso e non concesso, al limite lo si potrebbe conoscere, ma solo con l’amore si diventa come Dio e si conosce DIo ( leggl il canto di Anna, dove per la prima volta viene citato il nome Ha Shabaot e El ha da’at). I figli di Adamo furono sterminati sotto il dluvio, perché si ritenevano già completi dopo aver mangiato di quell ‘albero. erano figli di DIo e le donne figlie dell’uomo, ma dentro al cuore, non avevano altro che male. I figli di Noè invece, volevano diventare come Dio, sentendosi disuniti ed incompleti, ma la torah è complessa come dici tu, e non riuscirono a trovare la giustra strada, ma come dicono i porfeti, solo il SIgnora apre vie anche nel deserto, una strada piana… ma non ricordo le loro parole, comunque una strada semplice da percorrere. Dio non mangia dell’albero del bene e del male, sviluppa con logica questa semplice affermazione e premessa, ed ipotizza che ogni qualvolta il peccato è associato al mangiare e al bere, di quell albero vorrebbero nutrirsi gli uomini, e viceversa nel caso contrario, dell’albero della vita. Un linguaggio simbolico la Bibbia, ma come con la matematica serviti solo della logica dei simboli prima. Stava sotto l’albero Abramo mentre loro tre mangiavano prima di andare oltre.
Ti ho detto parecchio, ma da solo non potrai fare nulla, perché l’intelligenza umana è un nonnulla di fronte all’intelligenza infinita dell’universo.
Caro anonimo, non capisco quale verità ti aspetti di trasmettermi con dei frammenti di interpretazioni formulati senza un ordine apparente. Perdonami, ma la tua stessa ammissione di non essere uno studioso e di non saper leggere l’ebraico non si concilia molto bene con la tua pretesa di insegnare la verità su ciò che la Torah afferma.
Frammenti sparsi invitando te a metterli in ordine secondo logica. Che posso dirti, un pò come le tavole fatte direttamente da DIo che Mosè ha frantumato ai piedi del monte. Tocca raccogliere i frammenti per ricostruire le tavole, e c’è chi dice che tocca all’uomo farlo e chi invece dice che Dio stesso ricostruirà le tavole che più nessuno potrà frantumare. Importante è tenere sempre distinto il mondo di DIo e il mondo degli uomini, come dice questo articolo, perché Dio ha fissato i confini di ogni cosa, e non gli piacciono gli ossimori e i sofismi. Non zoppicare da entrambi i piedi fra fede e ragione, ma seguire l’una o l’altra. Non sono uno studioso, ma lettore della Bibbia, ed ho invitato te a fare altrettanto, seguire solo le parole di DIo e non quelle degli uomini, metterle alla prova e legarle une con le altre, tutte iinsieme, per vedere se è vero che in DIo non può esservi mai nessuna contraddizioni. Per il resto cosa posso dirti. Ti ringrazio per aver risposto alle mie richieste, mi sono state molto utile per le conferme che mi servivano. Te ne farei altre così come confrontarmi su tante cose, ma rischierei di riempire solo di parole questo sito. Non avendo portato a compimento lo studio dell’ebraico mi servirò di buone traduzioni e dell’intuito. L’ha ricevuta da DIo la torah Mosè, non l’ha studiata alla corte del faraone, è stata un dono di Dio, non il frutto degli studiosi, perché dei sapienti se ne fa beffe il Signore. Nemmeno l’ebraico si sa dove ha studiato Mosè, salvo servirsi delle fantasie dei talmudisti per saperlo, così come seguono le propria fantasie in tante altre cose, anche per per sapere per quale motivo era impacciato di bocca e di lingua Mosè. Simpatico e birichino il Signore, sarà forse perché gli piace ridire, lui che ha creato il mondo con le parole, per far conoscere la sua parola agli uomini va a scegliersi proprio un uomo impacciato sia di bocca che di lingua, e non si parché solo con Dio riusciva sempre a parlare molto bene, sapendo sempre come prenderlo e facendosi capire in ogni cosa. Perdonami, non so se scirverò più su questo sito, perché servono a poco le parole frantumate ed i pensieri frammentati, anche se ti leggerò ogni tanto, resisterò alla tentazione di replicare, fino a quando riuscirò a finire ciò che devo. Tu se vuoi ascolta il mio consiglio, segui solo le parole di Dio, e fatti solo domande su domande, senza accontentarti mai delle risposte degli uomini, perché le risposte vengono da Dio, Io ti interrogo e tu mi risponderai disse alla fine Giobbe, che non si era accontato delle risposte degli uomini. Se Dio vorrà, alla fine ti condurrà da Gesù, e viceversa, Gesù ti condurrà a DIo, e se tu non vuoi e lo esciudi già in partenza, c’è scritto che farà tutto Dio, solo per amore del suo nome.
Cari saluti e buon viaggio
Qui nessuno parla direttamente con Dio, né io né tu. I nostri interlocutori sono dei testi scritti, filtrati da due millenni di interpretazioni e da traduzioni più o meno attendibili. “Non usare la razionalità, fatto guidare da Dio” di solito lo dicono quelli che vogliono imporre la loro dottrina e plasmare le menti dei fedeli a piacimento.
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