
Dal Medio Oriente alla Grecia, all’India e fino al continente americano, molti popoli e molte culture diverse hanno conservato, nelle loro tradizioni mitiche, storie incentrate su un terribile cataclisma che avrebbe sommerso il mondo nelle acque in tempi remotissimi. La storia del Diluvio universale contenuta nella Torah, per i suoi temi e il suo sviluppo, presenta infatti numerose somiglianze con altri racconti più antichi, in particolare con quelli che troviamo nelle fonti mesopotamiche.
Ricordiamo tra questi l’Epopea di Gilgmesh, le cui prime versioni risalgono a ben 4500 ani fa, che include la storia di Utnapishtim, l’eroe babilonese salvato dal Diluvio grazie a una divinità benevola; ma anche il poema di Atrahasis, anch’esso di matrice babilonese, e il testo sumero noto come “La Genesi di Eridu”.
A rendere il racconto biblico simile alle versioni mesopotamiche non è soltanto la trama generale, ma anche alcuni dettagli che ricorrono nella varie storie: una tempesta devastante scatenata dalle divinità per distruggere la razza umana, un eroe messo in salvo su un’imbarcazione da lui costruita – assieme alla sua famiglia e ad alcuni animali -, l’offerta di sacrifici da parte dell’eroe al termine del Diluvio. L’Epopea di Gilgamesh descrive persino l’invio di una colomba e di altri uccelli fuori dalla nave, da parte di Utnapishtim, per verificare che le acque si fossero ritirate dal suolo, esattamente come la Bibbia ci narra a proposito di Noach (Noè).
Fin dagli ultimi anni dell’Ottocento, alcuni studiosi hanno preso in esame le molte affinità tra questi racconti per cercare di risalire a un possibile evento storico reale: un cataclisma di vasta portata che avrebbe ispirato le varie narrazioni leggendarie tra le diverse culture. Lo scopo di questo articolo, però, non è quello di indagare sulle origini dei miti del Diluvio dal punto di vista storico o scientifico; ci interessa invece comprendere la relazione che esiste tra la narrazione della Bibbia e i miti babilonesi e sumeri, con l’obiettivo di fare luce sul messaggio autentico della Torah. A questo proposito, il grande ebraista Umberto Cassuto ha scritto:
“In generale, possiamo affermare che i vari tentativi di collegare il racconto del Diluvio a un evento reale non rispecchiano la natura e lo scopo del racconto stesso. La storia del Diluvio ha un carattere poetico, ed il suo obiettivo è quello di spiegare come possiamo comprendere ed interpretare, in accordo con la concezione israelitica, le antiche tradizioni sul Diluvio, per ricavare degli insegnamenti dal testo. Perciò tutti i tentativi di razionalizzazione risultano inaccettabili” (U. Cassuto, A Commentary on the Book of Genesis, Volume II, p. 47).
Vediamo allora di scoprire come si colloca la versione della Genesi fra le altre storie del Diluvio e quali conclusioni si possano trarre da questo confronto.
Le motivazioni del Diluvio
Ad essere maggiormente significative, come vedremo, non sono le affinità tra la Bibbia e i miti pagani, ma le differenze. Su molti punti, infatti, la Genesi si pone in netto contrasto con i racconti dei popoli vicini, e da tale contrasto emergono i valori della Torah che separano la fede d’Israele dalle credenze politeiste delle altre nazioni.
Secondo le versioni mesopotamiche, le divinità decidono di scatenare il Diluvio senza alcuna ragione precisa, oppure, più spesso, per liberarsi dell’umanità, divenuta ormai troppo rumorosa. Nel poema di Atrahasis, ad esempio, leggiamo: “Enlil udì il loro frastuono e disse ai grandi dei: Il frastuono degli esseri umani è troppo forte per me; a causa del loro chiasso non riesco più a dormire”.
La Torah rivoluziona radicalmente la storia, introducendo una dimensione morale: la terra non viene distrutta per il capriccio della Divinità o per il baccano provocato dai suoi abitanti, ma a causa della malvagità degli uomini: E Dio guardò la terra ed ecco, essa era corrotta, perché ogni uomo aveva pervertito la sua condotta sulla terra (Genesi 6:12). In questo contesto, Noach viene messo in salvo in quanto ish tzaddik tamim (“uomo giusto e integro” – Genesi 6:9); mentre nel mito babilonese, l’eroe Utnapishtim viene scelto solo in quanto favorito dalla divinità Ea, non per la propria condotta morale.
La Torah si preoccupa quindi di trasmettere un insegnamento e un ideale di giustizia, un obiettivo del tutto assente nelle narrazioni dei popoli vicini.
Il ruolo delle divinità
Nell’Epopea di Gilgamesh e nel poema di Atrahasis, la decisione di distruggere la terra crea disaccordo fra gli dèi. In particolare, il dio Ea (chiamato Enki dai sumeri) agisce in segreto per mettere in salvo il suo favorito fra gli umani, suscitando poi le ire delle divinità più elevate.
Nulla di tutto ciò si avvicina al racconto biblico. Qui, al contrario, a dettare legge nel cosmo è un’unica volontà, i cui decreti sono assoluti: Dio decide il destino della Creazione, e nessuno può ostacolare la sua opera. Egli è al di sopra di tutto e si rivela come separato dalla natura. La concezione teologica sulla cui base si sviluppa la storia è dunque completamente diversa.
Dopo il Diluvio, come abbiamo detto, sia Noach che il suo omologo Utnapishtim offrono sacrifici di ringraziamento alle rispettive divinità. Nelle versioni pagane, però, gli dèi si gettano sulla carne sacrificata e la divorano, mostrandosi rozzi e affamati. Una scena simile non potrebbe mai comparire nella Bibbia, in cui leggiamo invece che Dio “odorò la soave fragranza dei sacrifici” (Genesi 8:21). Nel suo Commentario, Umberto Cassuto ci spiega questa differenza in maniera magistrale:
“In contrasto con l’immagine corporea e poco edificante del poema babilonese, che descrive gli dèi che volano ‘come mosche’ per godere dei sacrifici, e che litigano fra loro per decidere chi debba usufruire dell’offerta di Utnapishtim, viene qui menzionato soltanto il profumo dei sacrifici. L’espressione biblica può essere apprezzata solo se viene confrontata con i termini impiegati nella versione pagana a cui la Bibbia si oppone. Il Dio d’Israele non ha alcun bisogno di sacrifici: Mangio forse carne di tori, o bevo il sangue di capri? chiede il poeta biblico in nome di Dio (Salmi 50:13). I sacrifici di Noach sono olocausti, cioè offerte la cui carne viene completamente bruciata, e non mangiata. Solo il profumo, in quanto privo di sostanza, giunge al trono del Signore. Senza dubbio, il riferimento non è all’odore della carne bruciata, che di certo non è gradevole, ma a qualcosa di più importante. […] In ebraico, l’espressione ‘Egli odorò la fragranza’ aveva già perso il suo significato letterale originario per acquisire una connotazione figurativa, come a dire: ‘Egli accolse con favore’, ‘Egli considerò la disposizione interiore del sacrificio’. Nel Salmo 50, immediatamente dopo il verso appena citato, leggiamo: Offri a Dio un sacrificio di lode, che significa: non pensare, come fanno le nazioni, che Dio tragga un godimento materiale da ciò che tu offri a Lui, o che Egli mangi la carne dei tori e beva il sangue dei capri; piuttosto, offri a Dio un sacrificio che sia gradito al Suo cospetto, cioè un’offerta che esprima il tuo ringraziamento e che rappresenti il tuo sentimento di gratitudine che è nel tuo cuore. Proprio così fu l’offerta di Noach, e per questo essa fu gradita al Signore” (U. Cassuto, A Commentary on the Book of Genesis, Volume II, pp. 118-119).
Infine, non si può fare a meno di notare che, mentre nei racconti mesopotamici le divinità agiscono per capriccio e con l’unico scopo di annientare l’umanità, il Dio della Torah ha invece un progetto preciso, che si realizza anche attraverso un Patto stipulato con Noach e con i suoi discendenti (Genesi 9). Il Diluvio, nella Bibbia, non è un trionfo del caos o una disgregazione dell’ordine del mondo provocata da uno scatto di ira divina. Il testo biblico ci presenta invece il Diluvio come una sorta di “ri-creazione“, attraverso chiari parallelismi con il primo capitolo di Genesi, come abbiamo già spiegato nell’articolo intitolato Il mondo di Dio e il mondo dell’uomo.
Il destino dell’eroe
Non meno importante è il grande divario che separa Noach dagli eroi Utnapishtim e Ziusudra. Questi ultimi, nelle versioni mesopotamiche, sono presentati come sovrani regnanti all’epoca del Diluvio; essi compiono azioni di loro iniziativa, e le loro emozioni traspaiono dal testo. Noach, all’opposto, non è un re, ma un comune individuo; egli si limita ad eseguire gli ordini di Dio e possiede un carattere molto passivo se confrontato con quello dei suoi omologhi.
La differenza principale riguarda però le sorti di questi personaggi umani: mentre Utnapishtim e Ziusudra, al termine del Diluvio, vengono resi immortali ed elevati al rango delle divinità, Noach va incontro a un destino molto diverso. L’eroe biblico riceve benedizioni di fecondità e promesse da parte di Dio (Genesi 9:1), ma rimane comunque un semplice mortale (Genesi 9:29). Invece di descriverci la sua elevazione gloriosa o divinizzazione, la Torah ci parla del degrado subito da Noach, il quale, dopo aver piantato la prima vigna del mondo post-diluviano, si ubriaca, si denuda e diviene oggetto di disprezzo da parte di uno dei suoi figli (Genesi 9:20-23): l’esatto opposto di quanto avviene ai protagonisti dei poemi mesopotamici.
Non è solo la concezione della divinità a distinguere la fede d’Israele da quella delle nazioni idolatre: anche la concezione dell’uomo cambia profondamente. Nei testi pagani, la linea di confine tra gli dèi e gli esseri umani non è netta: un mortale può diventare un dio, e le divinità, dal loro canto, compiono spesso azioni tipiche dei mortali. Il Creatore del mondo, secondo la Torah, non può essere paragonato a nulla di ciò che esiste, e nessun essere umano può essere divinizzato o ricevere gli onori che spettano a un’entità superiore.
Sono dunque i contrasti e le divergenze a dover guidare il confronto tra le storie della Bibbia e i miti degli altri popoli. Nella Guida dei Perplessi (III, 29), Maimonide afferma che lo scopo primario della Torah è quello di sradicare le credenze idolatriche. Egli dichiara ciò a proposito dei precetti e del loro significato, ma la stessa affermazione può essere estesa anche alle parti narrative.
Nel raccontare la storia del Diluvio, la Torah ha preso un mito già noto ai popoli dell’antichità e lo ha purificato da tutti gli elementi idolatrici e immorali, per trasformarlo così in una fonte di insegnamenti etici e religiosi. Ciò non esclude, tuttavia, che al di là del messaggio teologico, la Bibbia faccia riferimento alla fine di una fase storica del genere umano, o al fallimento di un prototipo reale di società, senza però ricorrere a una terminologia scientifica o a strumenti storiografici.
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“La Torah rivoluziona radicalmente la storia, introducendo una dimensione morale: la terra non viene distrutta per il capriccio della Divinità o per il baccano provocato dai suoi abitanti, ma a causa della malvagità degli uomini.” […..]
“La Torah si preoccupa quindi di trasmettere un insegnamento e un ideale di giustizia, un obiettivo del tutto assente nelle narrazioni dei popoli vicini.” […..]
“Nel raccontare la storia del Diluvio, la Torah ha preso un mito già noto ai popoli dell’antichità e lo ha purificato da tutti gli elementi idolatrici e immorali, per trasformarlo così in una fonte di insegnamenti etici e religiosi. Ciò non esclude, tuttavia, che al di là del messaggio teologico, la Bibbia faccia riferimento alla fine di una fase storica del genere umano, o al fallimento di un prototipo reale di società, senza però ricorrere a una terminologia scientifica o a strumenti storiografici.”
Anche l’omologo mito greco di Deucalione e Pirra, anch’esso posteriore a quello mesopotamico di Gilgamesh, narra che il Diluvio fu causato da Zeus per la corruzione del genere umano.
Zeus, nell’età del bronzo, epoca nella quale gli uomini erano crudeli e sanguinari e trascorrevano la loro vita a uccidere ogni essere vivente che incontravano, disgustato dalla natura stessa dell’uomo, decise di cancellare l’umanità allagando tutta la terra con un diluvio universale.
L’idea del castigo divino come causa dei peccati degli uomini è tutt’altro che rivoluzionaria – infatti, appartiene a molte culture – e non riguarda solo il mito del Diluvio poiché in passato spiegava qualunque catastrofe naturale.
Si tratta, comunque, di una concezione della morale molto arcaica considerando il modo in cui la divinità ripulisce il mondo dalla cattiveria umana: spazzando via gli uomini!
Nella redazione biblica, Dio, a fronte di un’intera umanità, apprezzò unicamente NOÈ. In seguito avrebbe risparmiato solo LOT dalla distruzione delle “cinque città della pianura”. Poi fu sul punto di annientare, ad eccezione di MOSÈ, tutti gli israeliti che stavano adorando il vitello d’oro.
Appare di stampo manicheo tale contrapposizione fra un uomo (quasi) giusto e una collettività monolitica di depravati, neonati compresi, che la giustizia divina elimina in blocco ritenendola irrecuperabile.
La realtà è assai diversa. Un esempio storico di cambiamento radicale di una pluralità d’individui “malvagi” è la Germania guerrafondaia e razzista della prima metà del ventesimo secolo. A questa ha fatto seguito dal secondo dopoguerra una diversa Germania oltremodo pacifista e tollerante. In questa nazione è mutato il tipo di cultura, e non perché i tedeschi “cattivi” sono tutti morti per essere sostituiti da altri. Lo stesso fenomeno è accaduto in Giappone.
Mandando il Diluvio, Dio intendeva rigenerare il mondo con una nuova umanità discendente dai pochi superstiti dell’arca. Però ha fallito clamorosamente. Questo perché ha soppresso gli uomini anziché la loro cultura.
Dio decise allora di rigenerare l’umanità per mezzo di una nazione santa e di sacerdoti. La maniera incredibilmente violenta, però, con cui ha tentato di realizzare tale progetto, avrebbe fatto impallidire gli uomini antidiluviani.
Cominciò col moltiplicare all’inverosimile il suo futuro popolo di sacerdoti mentre questo era ospite in Egitto così da incutere un tale terrore negli egiziani da costringerli a misure estreme, ossia a schiavizzare gli israeliti. Egli, poi, liberò il suo popolo con dieci flagelli che torturarono, affamarono e decimarono TUTTI gli egiziani, di ogni età e condizione. Infine accasò gli israeliti in una regione già abitata; per di più, era una terra dove lui stesso vi aveva già fatto risiedere sette nazioni. Anche i residenti di queste erano TUTTI malvagi (secondo le parole del testo biblico) oppure lo era la loro cultura (secondo l’interpretazione degli esegeti). Ad ogni modo, Dio volle ripulire anche quella regione dall’empietà come già aveva fatto con tutta la Terra al tempo di Noè. Ma questa volta non mandò un diluvio o quel fuoco celeste che distrusse Sodoma. Come “ammaestramento all’amore e alla pace”, inviò invece i suoi allievi sacerdoti a sgozzare con le proprie mani i “malvagi” cananei dal primo all’ultimo lattante.
A proposito di “dimensione morale” farei questa osservazione:
Dio è anche definito PADRE. Ma i figli vengono al mondo senza che abbiano potuto chiedere di nascere. È per questa ragione che ogni padre ha molti doveri verso chi ha generato. Se un figlio percorre una cattiva strada, un buon genitore s’impegna a comprenderne i motivi e tenta di ricondurlo sulla retta via. Il Dio di Genesi, invece, guardò inerte la corruzione in cui erano caduti i suoi figli terreni. L’unica soluzione che seppe trovare fu di spazzarli via in massa quando avrebbe dovuto AIUTARLI a cambiare in meglio.
Alcuni secoli dopo la redazione della Torah, sorsero nel mondo concezioni più avanzate sul tema della rigenerazione morale. Erano idee che si svilupparono principalmente nell’Estremo e nel Medio Oriente, e che si affermarono pure in Palestina presso alcune sette, fra le quali quella dei proto-cristiani. Il rabbi fondatore della setta insegnò l’amore universale, il perdono incondizionato, la tolleranza verso qualsiasi appartenenza sociale. Volle poi che i suoi insegnamenti fossero predicati individualmente a ciascun essere umano. Cristo ha voluto rigenerare moralmente il mondo NON distruggendo gli uomini ma contrastando la loro cattiva mentalità. Anzi, si sarebbe fatto crocifiggere pur di non opporsi con la forza ai suoi persecutori.
Detto questo, non intendo fare l’apologia del cristianesimo. Dico anzi che il pensiero di quel rabbi ha cominciato a essere già travisato dai suoi stessi discepoli per essere in seguito distorto dalla Chiesa. Vorrei solo dimostrare che le concezioni etiche si evolvono attraverso i secoli. L’etica vigente al tempo del poema di Gilgamesh era piuttosto embrionale: è per questo che il suo racconto del Diluvio è così infantile. Più di mille anni dopo è stata redatta la narrazione del medesimo evento nel libro di Genesi. Ormai i concetti etici si erano leggermente evoluti, il che ha conferito maggiore serietà alla versione biblica, ravvisabile solo attraverso il confronto col mito mesopotamico.