Caino e Abele: figli dell’Eden

Kayin

La Torah si apre con il Libro di Bereshit (“In Principio”), la Genesi, il testo che narra l’inizio del mondo, dell’umanità, delle nazioni, ma anche della ribellione, della violenza e del dolore. L’universo ideale e ordinato descritto nel racconto della Creazione ha una vita piuttosto breve: nel giro di pochissimi capitoli tutto decade, e l’ombra del peccato si allarga sempre di più fra le pagine della Bibbia.

Per comprendere come quest’ombra oscura si manifesti nella Torah, è utile leggere il famoso racconto dell’omicidio di Abele (Hevel) ad opera di Caino (Kayin), considerando le molte ed interessanti analogie che collegano questo brano a quello che lo precede: la vicenda del peccato di Adamo ed Eva nel Giardino dell’Eden. Tra le due storie possiamo rintracciare infatti i seguenti parallelismi:

  • In entrambi i racconti, Dio si rivolge a colui che ha peccato con una domanda retorica. Ad Adamo Egli chiede: “Dove sei?” (Genesi 3:9); e a Caino: “Dov’è tuo fratello Abele?” (4:9). Il termine ebraico utilizzato (ey\ayeka, cioè “dove”) indica un interrogativo morale ed esistenziale piuttosto che una semplice richiesta di localizzazione geografica.
  • La reazione dei peccatori è anch’essa simile nei due casi: sia Adamo che Caino rispondono a Dio cercando di celare la loro colpa (3:10; 4:9), ed entrambi usano il pronome anochì (“io”), forma più arcaica ed enfatica del più comune anì.
  • I colpevoli negano le loro responsabilità: Adamo incolpa Eva, Caino dichiara “Sono forse il custode di mio fratello?” (4:9).
  • Nel rimproverare i peccatori, Dio dice sia ad Eva che a Caino: “Cos’hai fatto?” (3:13; 4:10).
  • In entrambe le vicende, la punizione inflitta agli uomini riguarda il lavoro della terra. Nel caso di Adamo: “Maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita” (3:17); e in quello di Caino:  “Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti” (4:12).
  • L’esilio è la conseguenza di entrambi i peccati: Adamo ed Eva vengono banditi dal Giardino dell’Eden, mentre Caino diviene “ramingo e fuggiasco sulla terra” (4:12).
  • Subito dopo il peccato di Adamo e la sua punizione, il testo ci dice “E Adamo conobbe sua moglie Eva, ed ella concepì e partorì Caino” (4:1); allo stesso modo, nel secondo racconto leggiamo, subito dopo l’esilio dell’assassino: “E Caino conobbe sua moglie, che concepì e partorì Enoch” (4:17).

Per quale motivo la Torah traccia questi chiari parallelismi tra le due vicende?
Secondo Rav Yonatan Grossman della Yeshivat HarEtzion, la domanda può avere due risposte su livelli differenti.

Il peccato di Adamo è stato interpretato in modo molto diverso dai vari commentatori e studiosi nel corso dei secoli. Il racconto presenta infatti elementi misteriosi, mistici e metaforici: l’albero della vita, l’albero della conoscenza del bene e del male, il serpente tentatore, e altri componenti della storia rendono il brano piuttosto enigmatico agli occhi dei commentatori (leggi il nostro articolo sull’argomento per approfondire). Ciò che tuttavia appare chiaro e indiscutibile è il fatto che il peccato derivi da un divieto esplicito da parte del Creatore, e che esso comporti la messa in discussione dell’autorità divina. Possiamo dire che si tratta dell’archetipo di quella categoria di peccati definiti ben adam laMakom, cioè “fra l’uomo e l’Onnipresente”: i peccati compiuti nei confronti di Dio.

Di natura molto meno criptica e sibillina è invece il peccato di Caino. L’assassinio, per il quale, in questi primi capitoli della Genesi, non si trova ancora una proibizione esplicita pronunciata da Dio, è un atto che ogni uomo, indipendentemente dai suoi valori, dovrebbe percepire istintivamente come aberrante e immorale. Non occorre un comandamento religioso o un ordinamento giuridico per comprendere che privare il proprio fratello della vita sia un crimine gravissimo. Siamo dunque di fronte a un altro archetipo, quello dei peccati ben adam lechaverò, “tra l’uomo e il suo simile”, cioè i peccati commessi contro altri esseri umani.

Collegando le due storie attraverso i parallelismi, spiega Rav Grossman, la Torah intende stabilire un legame tra le colpe di natura etica e quelle di natura esclusivamente religiosa, un legame che tra le altre culture antiche non esisteva. Secondo la Torah, a compromettere la relazione tra l’uomo e il suo Creatore non sono soltanto i peccati contro la Divinità, ma anche quelli che l’uomo compie contro i suoi simili. Dio è il garante della legge morale oltre che delle norme religiose, e chi nuoce al proprio prossimo commette un atto di dissacrazione.

L’altra prospettiva che possiamo seguire per comprendere i collegamenti tra i due racconti parte del presupposto che il peccato di Caino sia da porre non solo in parallelo, ma anche in continuità con quello di Adamo: i due eventi rappresentano due fasi di un processo di decadenza morale dell’essere umano. Proprio come i suoi genitori, Caino agisce seguendo i suoi desideri, ignorando l’esortazione di Dio ad agire bene (Genesi 4:6-7), ed è così che il secondo peccato peggiora ulteriormente la situazione creata dal primo. Mentre Adamo ed Eva erano stati espulsi dal Giardino, ma non dall’intera regione di Eden, in cui esso si trovava (vedi Genesi 2:8), Caino si allontana ancora di più dal luogo dell’innocenza originaria: “Caino uscì dalla presenza del Signore e abitò nel paese di Nod, ad oriente di Eden” (4:16). L’esilio e l’aumento della distanza geografica stanno a simboleggiare la crescente separazione tra l’uomo e Dio, una separazione che diventerà massima nel momento in cui il testo dichiarerà che  “…tutta la terra era corrotta, perché ogni uomo aveva pervertito la sua condotta sulla terra” (6:12).

2 commenti

  1. Ciò che mi colpisce è il motivo del peccato di Caino: fu la gelosia verso il fratello Abele le cui offerte erano gradite a Dio assai più delle sue. Caino era agricoltore, e offriva quindi ciò che coltivava e di cui si nutriva, vale a dire frutti e cereali. Abele faceva l’allevatore e poiché in quel tempo gli uomini erano vegetariani, lui si nutriva di latte, formaggi e uova, non di carne. Tuttavia le sue offerte a Dio consistevano negli animali che lui uccideva e poi bruciava, poiché l’odore della carne arrostita era gradito a Dio. In quel tempo non esisteva ancora la catena alimentare, non c’erano predatori e prede, per cui la morte degli animali era dovuta alla vecchiaia non all’uccisione; pertanto i soli animali che perivano di morte violenta erano quelli sgozzati da Abele per offrirli a Dio che, in un certo senso, appare quasi come il primo carnivoro del Creato.

    Oggigiorno molti individui sono vegetariani o addirittura vegani perché non sopportano l’idea che animali siano uccisi per essere mangiati. Ai tempi dell’Eden l’avversione verso l’uccisione doveva essere insita naturalmente in ogni creatura vivente: Abele, vegetariano per natura e non per scelta, tuttavia uccideva altre creature per donarne i cadaveri a Dio e forse fu il primo uomo a togliere la vita a esseri viventi, seppure a scopo di adorazione.
    Caino fu soltanto il primo a uccidere un suo simile.

    1. Dopo la cacciata dal giardino dell’Eden, i Progenitori e i loro figli dovettero adattarsi a vivere allevando animali e coltivando la terra.
      In quel tempo, in assenza della catena alimentare, vale a dire di animali predatori, l’allevamento di pecore e capre doveva essere un lavoro facile, che non procurava grattacapi al pastore Abele: egli poteva ricavare latte ogni giorno e produrre latticini.
      Il lavoro del contadino, invece, che era quello di Caino, è molto più faticoso e non produce frutti immediati. Forse Caino era in astio verso suo fratello già per questa ragione.
      Perché Caino offrì frutti della sua fatica a Dio?
      Non è riferito che suo padre Adamo già offrisse sacrifici a Dio.
      Sembrerebbe un’iniziativa di Caino, imitata da Abele. Tuttavia ciò fu causa di altri motivi di rancore poiché i doni del fratello erano graditi a Dio e i suoi no. Dalle parole che il Signore rivolse a Caino, sembrerebbe che le sue offerte, a differenza di quelle di Abele, non esprimessero vera devozione:

      “Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. Il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dòminalo».” (Genesi 4:3-7, CEI)

      Come avvenne l’omicidio? Alcune versioni, come la CEI, suggeriscono la premeditazione introducendo la frase “Caino disse al fratello Abele: «Andiamo in campagna!»”.
      Queste parole sono però assenti nel testo masoretico. La maggior parte delle traduzioni propende invece per l’uccisione avvenuta durante un diverbio fra i due fratelli mentre si trovavano in campagna, il che appare più verosimile:

      “Caino disse (ciò) ad Abele suo fratello. Indi mentre erano in campagna, Caino, alzatosi contro Abele suo fratello, l’uccise.” (Genesi 4:8, Luzzatto)

      La narrazione biblica è comunque troppo stringata per una corretta valutazione degli eventi, ma di sicuro l’acredine che Caino nutriva verso suo fratello fu esasperata dal diverso atteggiamento di Dio verso le loro offerte.
      Il racconto non vuole narrare soltanto il primo assassinio della storia umana ma afferma che l’uomo è tenuto a dominare il proprio istinto al male. Ciò che non insegna, però, è che tale istinto non dovrebbe essere ISTIGATO da terzi, cosa che, in effetti, fece il Signore.
      Un padre e un docente che premiano sperticatamente chi un figlio chi un allievo ma disprezzano ostentatamente l’altro figlio o l’altro allievo, innescano situazioni d’instabilità. Certo, il figlio o lo studente deprezzati potrebbero controllare i propri sentimenti negativi, ma un atteggiamento di fiducia o d’incoraggiamento nei loro riguardi, QUESTO SÌ li aiuterebbe a superarli.

      Ci vuole poco per incattivire il cuore delle persone inducendole a compiere atti malevoli. Occorre invece molta sensibilità per pacificare gli animi e così creare concordia fra gli uomini.
      Ben lo sapeva un famigerato statista dell’Ottocento, il cancelliere prussiano Bismarck, il quale intendeva creare un casus belli per invadere militarmente la Francia. Costui comunicò alla stampa internazionale un messaggio del suo kaiser all’imperatore francese; si trattava di un dispaccio amichevole, ma alcune piccole modifiche solo formali al testo apportate dal cancelliere lo fecero apparire arrogante.
      Quando i francesi lessero sui giornali il messaggio in questione, ma alterato in quella particolare maniera, si sentirono feriti nell’amor proprio, e s’indignarono talmente da esigere che l’imperatore dichiarasse guerra alla Prussia. E guerra fu.

      La Bibbia marchia Caino rendendolo l’emblema della malvagità irreversibile.
      La punizione che gli fu inflitta non aveva lo scopo di redimerlo ma di farlo soffrire finché vivesse: lavorando duramente la terra, questa però gli avrebbe negato i suoi frutti (Genesi 4:12).
      Ciò anticipa l’idea dei patimenti eterni all’inferno.

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