Un uomo che ha intrapreso un lungo viaggio incontra la sua futura sposa presso un pozzo, in terra straniera. La ragazza corre ad annunciare l’arrivo del viaggiatore in casa sua, dove l’uomo viene poi accolto. Infine, un banchetto sancisce il fidanzamento della giovane con il nuovo arrivato.
La situazione appena descritta suonerà senza dubbio familiare a qualsiasi lettore della Bibbia. Si tratta infatti di un episodio che ricorre più volte nelle Scritture e che si verifica, seppure con alcune notevoli variazioni, nella vita di vari personaggi.
Quello del fatidico incontro al pozzo non è di certo un caso unico: nelle narrazioni bibliche troviamo infatti molti tipi di racconti che si ripetono, che appaiono come la replica o la rielaborazione di altri eventi, e che fanno ricorso a temi, immagini ed espressioni tratte da un repertorio fisso. Una bella donna, presentata dal marito come sua sorella, viene rapita da un sovrano lussurioso; una moglie sterile riceve da Dio la benedizione di una gravidanza; un emissario divino preannuncia la nascita di un personaggio che cambierà le sorti del suo popolo: questi sono solo gli esempi più famosi di ciò che il grande critico letterario Robert Alter ha definito “scene-tipo” della Bibbia.
Nel suo libro L’arte della narrativa biblica, proprio in riferimento al cosiddetto “episodio del pozzo”, Alter afferma che questa tipologia di racconti, attraverso una serie di elementi convenzionali e stereotipati (il viaggio, l’incontro, il banchetto, il fidanzamento), creava agli occhi del pubblico originario una scena familiare in cui ogni differenza o variazione rispetto al modello tipico poteva essere subito notata. Proprio a tali variazioni è affidata la chiave di lettura che ci permette di comprendere al meglio il messaggio del testo biblico e di conoscere in profondità i suoi personaggi.
L’idea proposta da Alter ha rappresentato una novità per il mondo della critica biblica accademica, ma non per quello dell’esegesi tradizionale ebraica: nel Talmud e nei Midrashim, gli antichi Maestri evidenziano spesso le analogie tra le vicende narrate nella Torah, mettendo in luce anche le differenze e traendo da esse conclusioni interpretative sorprendenti.
Analizziamo dunque i vari “episodi del pozzo” provando a soffermarci sulle differenze che rendono unico ogni esempio di questa scena-tipo, e che ci permettono di soffermarci sulle qualità caratteristiche di ciascuno dei personaggi coinvolti.
La ricerca di una sposa per Yitzchak
Il primo caso di “episodio del pozzo”, narrato in Genesi 24, è già piuttosto insolito se confrontato con quelli che seguiranno: qui l’incontro, infatti, non è tra un uomo e la sua futura moglie, ma tra il servo inviato da Avraham (Abramo) e la giovane Rivkah (Rebecca), che sarà poi scelta come sposa per Yitzchak (Isacco). Gli altri elementi tipici sono invece puntualmente presenti: l’uomo lascia la sua casa per recarsi in una terra lontana, la Mesopotamia (24:10); la fanciulla appare mentre si reca al pozzo con l’anfora in spalla (24:15), dialoga con lo sconosciuto e poi corre a informare la sua famiglia dell’accaduto (24:28). L’uomo riceve ospitalità e riesce infine a stringere un accordo di matrimonio (24:31-59).
A essere posto in evidenza è dunque il fatto che Yitzchak non sia presente al proprio fidanzamento. Quando Rivkah viene condotta da lui per diventare la sua sposa, egli si trova nei campi, ignaro di ciò che sta per avvenire (24:63). È il vecchio Avraham a inviare il suo servo in Mesopotamia alla ricerca di una moglie per suo figlio, mentre quest’ultimo svolge soltanto un ruolo passivo nella vicenda.
Tutto questo ci dice molto sulla figura di Yitzchak, un personaggio che non introduce di fatto nulla di nuovo nella storia biblica, ma vive all’ombra di suo padre per consolidare l’opera da egli iniziata. Se Avraham era un pioniere, Yitzchak è un continuatore.
La prima parola pronunciata da Yitzchak che la Genesi ci riporti è avì, cioè “padre mio” (22:7), mentre l’ultima, non a caso, è “Avraham” (28:4). Persino in uno dei pochi episodi della sua vita che lo vedono come protagonista principale, egli non fa altro che ristabilire ciò che il padre aveva compiuto:
Yitzchak tornò a scavare i pozzi d’acqua che erano stati scavati dai servi di suo padre Avraham, e che i Filistei avevano otturato dopo la morte di Avraham, e li chiamò come li aveva chiamati suo padre (26:18).
Un’indole del tutto diversa è invece quella di Rivkah. La ragazza si reca da sola al pozzo, versa dell’acqua per il servo di Avraham e corre avanti e indietro per far abbeverare i suoi cammelli (24:17-21). Più tardi, ella esprime anche la sua ferma volontà di recarsi al più presto da Yitzchak per sposarlo (24:58). Fin dalla sua prima apparizione, Rivkah è presentata dunque come una fanciulla piena di dinamismo e spirito di iniziativa. Il contrasto tra il suo carattere e quello del marito si riflette poi nel racconto della “benedizione sottratta“, quando Yitzchak, cieco e inerte, viene ingannato con uno stratagemma organizzato proprio da sua moglie. Le due tipologie opposte di personalità possiedono dunque sia aspetti positivi che negativi: riuscire a distinguerli è il compito del lettore.
Yaakov e Rachel
Quando Yaakov vide Rachel, figlia di Lavan, fratello di sua madre, […] avanzò, fece rotolare la pietra dalla bocca del pozzo e fece abbeverare le pecore di Lavan, fratello di sua madre. Poi Yaakov baciò Rachel e pianse ad alta voce (Genesi 29:10-11).
Il secondo “episodio del pozzo” è radicalmente diverso dal primo. Il viaggio di Yaakòv (Giacobbe) non è motivato dalla ricerca di una moglie, ma da circostanze ben più gravi: il futuro padre delle dodici tribù d’Israele è infatti in fuga dal suo gemello Esav, che vuole ucciderlo.
Al contrario di suo padre Yitzchak, del tutto assente dalla scena, Yaakov svolge invece un ruolo molto attivo: egli interroga i pastori radunati al pozzo, rimuove la grossa pietra mostrando la sua forza e fa dissetare il gregge condotto da Rachèl. L’episodio assume tratti drammatici, avventurosi e romantici. Yaakov vive un’esperienza dura e faticosa, raggiungendo il suo obiettivo e superando le difficoltà: tale esperienza potrebbe essere un riassunto metaforico della sua intera vita, segnata dall’asprezza e da imprese ardue. Yaakov è colui che usa delle pietre come scomodo giaciglio per dormire (28:11), e proprio con le stesse pietre costruisce un’altare (28:22); è colui che lotta contro il fratello Esav fin dal ventre materno, che affronta il suocero Lavàn con tutti i suoi intrighi, e che “combatte contro Dio e contro gli uomini” (32:28), risultando infine vincitore.
Con fatica, Yaakov rimuove la pietra dal pozzo per Rachel, e con fatica dovrà poi lavorare a lungo per la stessa donna. Lavan non gli offre alcun banchetto, e gli concede di sposare sua figlia solo dopo molti anni di inganni e sotterfugi. Yaakov non ottiene nulla con facilità: la sua scena del pozzo è una perfetta prefigurazione di tutto ciò che gli accadrà in seguito.
Moshè e “le sette figlie di Reuel”
Prima di diventare il più grande profeta di tutti i tempi, anche Moshè ha vestito i panni del viaggiatore solitario il cui destino cambia dopo un singolare incontro avvenuto presso un pozzo:
Il sacerdote di Midian aveva sette figlie. Esse andarono al pozzo ad attingere acqua per riempire gli abbeveratoi e abbeverare il gregge di loro padre. Ma sopraggiunsero i pastori e le scacciarono. Allora Moshè si alzò, prese la loro difesa e abbeverò il loro gregge. Quando esse giunsero da Reuel, loro padre, questi disse: «Come mai siete tornate così presto oggi?» Esse risposero: «Un uomo egiziano ci ha liberate dalle mani dei pastori, per di più ci ha attinto l’acqua e ha abbeverato il gregge». Egli disse alle figlie: «Dov’è? Perché avete lasciato là quell’uomo? Chiamatelo, perché venga a prendere del cibo». Mosè accettò di abitare da quell’uomo. Egli diede a Moshè [in sposa] sua figlia Tzipporah (Esodo 2:16-21).
La scena convenzionale si ripete per la terza volta, in maniera più sintetica, ma con nuovi elementi che distinguono questa versione dalle precedenti. Moshè è più simile a Yaakov che a Yitzchak: anche lui è in fuga dalla sua patria e agisce mostrando forza fisica e spirito di iniziativa. Tuttavia, le azioni di Moshè non sono motivate dall’affetto o dall’attrazione verso una donna: al posto del sentimento che aveva spinto Yaakov a far rotolare la pietra, a baciare Rachel e a commuoversi, troviamo qui una forte sensibilità verso la giustizia, un elemento del tutto nuovo.
Moshè non tollera gli abusi e le angherie: egli non esita ad affrontare i pastori ostili per difendere le sette figlie del sacerdote di Midian, così come, precedentemente, aveva difeso un Israelita dalla violenza di un Egiziano (Esodo 2:11). Per il futuro condottiero e liberatore del popolo d’Israele non c’è alcuna differenza tra un’ingiustizia perpetrata contro un suo fratello ebreo e una commessa contro donne straniere: ogni sopruso va condannato e contrastato, chiunque sia la vittima. Mostrando la sua aderenza a questi valori etici, Moshè si rivela la personalità ideale a svolgere la missione che Dio gli assegnerà molto tempo dopo, presso il roveto ardente.
Un altro elemento che merita attenzione risiede nel fatto che, in questo terzo “episodio del pozzo”, nessuna figura femminile emerge in maniera evidente. Moshè non si innamora e non interagisce in modo diretto con la sua futura moglie. Tzipporah è menzionata solo alla fine del racconto, apparendo fino ad allora solo come una delle sette figlie di Reuel. Questa vicenda non è quindi incentrata sul matrimonio di Moshè, ma sul suo senso di giustizia e sul suo ingresso nella famiglia di Reuel, chiamato altrove Yitrò. Il poco spazio narrativo concesso al personaggio di Tzipporah può essere interpretato come una prefigurazione del fatto che, in effetti, il matrimonio di Moshè non avrà molta rilevanza in seguito. Nonostante il suo ruolo nella misteriosa vicenda della locanda, Tzipporah sparisce ben presto dalla storia biblica, non svolgendo più alcuna azione nei racconti successivi. Stessa sorte è riservata ai figli della coppia, dei quali ben poco viene rivelato nella Torah. Una funzione maggiore è attribuita invece al suocero Yitrò, figura autorevole, che visita l’accampamento degli Israeliti nel deserto fornendo al suo genero un importante consiglio (vedi Esodo 18). La vera eredità di Moshè non è costituita dunque dalla sua famiglia e dalla sua prole, ma dai valori della giustizia che egli trasmette alla nazione ebraica.
Un caso atipico: il viaggio di Shaul
Secondo Robert Alter, la scena-tipo del pozzo si ripresenta anche nel primo racconto della vita di Shaùl (Saul). In questo caso, si tratta però di una versione “abortita” della vicenda tipica, in quanto priva dell’elemento fondamentale: il matrimonio del protagonista con la donna incontrata.
Dopo aver viaggiato a lungo e invano alla ricerca delle asine smarrite di suo padre, Shaul decide di tornare a casa. Prima, però, accettando il consiglio di un suo servo, egli si reca a consultare un uomo noto come “il veggente” (il profeta Shmuel), nella speranza che quest’ultimo possa aiutarlo:
Mentre [Shaul e il suo servo] salivano lungo il pendio che porta alla città, incontrarono alcune ragazze che uscivano ad attingere acqua e chiesero loro: «È qui il veggente?». Esse risposero loro, dicendo: «Sì, eccolo, è poco più avanti di voi, affrettatevi. Oggi stesso è venuto in città, perché oggi il popolo ha un sacrificio sull’alto luogo. Come entrerete in città, lo troverete certamente prima che salga all’alto luogo a mangiare. Il popolo non mangerà finché egli non sia giunto, perché è lui che deve benedire il sacrificio; dopo di ciò gli invitati mangeranno. Ora dunque salite, perché ora lo troverete» Ed essi salirono alla città (1 Samuele 9:11-14).
Successivamente, il profeta invita Shaul a un banchetto e gli offre ospitalità (9:19 -22-24): un altro elemento narrativo tipico dell'”episodio del pozzo”. Nessuna delle ragazze incontrate da Shaul diviene tuttavia sua moglie: il tema del matrimonio sembra essere del tutto assente dal racconto, benché la natura familiare e convenzionale della scena lo richiami con forza.
Commentando la risposta fin troppo elaborata e prolissa che le fanciulle forniscono alla semplice domanda “È qui il veggente?”, un’opinione presentata nel Talmud (Berakhot 48b) suggerisce che le giovani abbiano parlato così a lungo perché affascinate dall’aspetto fisico di Shaul, che era il più bello e il più alto tra tutti gli Israeliti (1 Samuele 9:2). I Maestri vedono quindi un elemento di potenziale romanticismo nel racconto, che tuttavia non si realizza. Pur potendo seguire le orme di Yaakov e Moshè prendendo in moglie una delle ragazze, Shaul decide di continuare per la sua strada senza prestare attenzione all’interesse delle fanciulle. Questa sorta di anomalia ci offre un’immagine molto significativa di colui che sarebbe poi divenuto il primo re d’Israele, l’immagine di un uomo che mette da parte le proprie esigenze pur di portare a termine l’incarico affidatogli dal padre, rinunciando persino all’opportunità di trovare una moglie. Dimostrando di possedere un senso di responsabilità tanto elevato, Shaul appare quindi come il candidato ideale a salire al trono d’Israele.
D’altro canto, però, la stessa anomalia può anche essere interpretata in chiave negativa, come il segno del mancato interesse di Shaul per la continuità della propria stirpe. Secondo Alter, ciò sarebbe dunque un presagio del fallimento della missione del primo sovrano d’Israele e della fine tragica a cui Shaul andrà incontro.