Sulla pagina Facebook di Sguardo a Sion, in riferimento a un nostro commento sul brano dei Dieci Comandamenti, un utente ha affermato che la comune traduzione “Non uccidere” (da noi adottata) non rifletta il significato reale del sesto comandamento, e ha esposto la sua argomentazione in questi termini:
[…] Il sesto comandamento non dice “non assassinare”? infatti a me sembra che HaScem comandi molte volte di uccidere e Lui stesso, partendo da Noah e passando per Sodoma o l’Egitto per poi proseguire, uccide gli empi. […] Impossibile poi non pensare all’episodio in cui re David, disperato per il rapimento della famiglia, ode le parole di HaScem che gli ordina di smetterla di piangere e di rincorrere i rapitori e di riprendersi mogli e figli. O che dire dei Giudici d’Israele, uomini e donne a cui l’Eterno conferì lo Spirito in modo eccezionale per uccidere i nemici d’Israele? continuare a tradurre malamente il comandamento per mostrar un dio più in linea con il pensiero occidentale (e possiamo azzardare “più cristiano”) da alito alla bocca di bugiardi che trovano “contrapposizioni” nella Scrittura. […] (potete leggere l’intero commento tramite questo link).
Cosa possiamo dire dunque a questo proposito? La traduzione “Non uccidere” andrebbe davvero emendata per diventare “Non assassinare”?
Il prestigioso vocabolario della lingua italiana Treccani, in merito al verbo assassinare, riporta testualmente:
assassinare v. tr. [der. di assassino]. – Uccidere un essere umano, in una rissa o a tradimento, per rapina, per odio, per vendetta.
L’assassinio non è pertanto un qualsiasi omicidio, ma un atto efferato compiuto con un preciso intento malevolo, spesso in modo brutale.
Nel testo ebraico del Libro dell’Esodo, il sesto comandamento recita Lo tirzàch, espressione comunemente tradotta con “Non uccidere”. Il verbo ratzach (da cui appunto tirzach) non corrisponde esattamente all’italiano “assassinare”, in quanto indica, oltre all’assassinio vero e proprio (vedi Numeri 35:17; 1Re 21:19), anche l’omicidio colposo (Numeri 35:11; Giosuè 20:3). Questa radice verbale ha quindi un’accezione un po’ più ampia rispetto a ciò che “assassinare” significa in italiano.
Al di là della sottile questione linguistica, dobbiamo però notare che dall’osservazione dell’utente sopracitato potrebbe scaturire un’interpretazione alquanto “rischiosa”, che ci condurrebbe a travisare il senso del messaggio etico della Torah. Ritenere infatti che il Decalogo proibisca solo l’assassinio (e magari, per estensione, anche l’omicidio colposo), equivale a suggerire che, secondo la Torah, uccidere sia di per sé un atto dalla valenza neutra, che può essere condannato solo nei casi in cui sia “ingiustificato”, mentre invece, in altri casi, risulta assolutamente accettabile. In altre parole, da questo punto di vista, il sesto comandamento verrebbe inteso come se dichiarasse: “È vietato uccidere gli innocenti, uccidere per odio personale, per pura prevaricazione o senza motivo (ma è giusto farlo in altre circostanze)”.
Una simile lettura del testo biblico appare tuttavia inaccettabile. Il grande ebraista Umberto Cassuto (1883 – 1951), nel suo commentario al Libro dell’Esodo, nota come la Torah, a differenza del Codice di Hammurabi e delle altre raccolte di leggi del Vicino Oriente antico, formuli precetti come “Non uccidere” e “Non rubare” in termini assoluti e categorici, senza alludere in alcun modo alle eccezioni (come la legittima difesa e le uccisioni di nemici in guerra) che, benché esistano senza dubbio, non devono compromettere e sminuire in alcun modo la portata e la solennità del comandamento.
Già nel Libro della Genesi, dunque molto prima della Rivelazione sul Monte Sinai, la Torah esprime la sua prima condanna dell’omicidio, e lo fa con un linguaggio universale:
Del vostro sangue, per le vostre vite, chiederò conto. Da ogni animale ne chiederò conto, e dalla mano dell’uomo, dalla mano di ognuno che è suo fratello, chiederò conto della vita dell’uomo.
Chi versa il sangue dell’uomo, per mezzo dell’uomo il suo sangue sarà versato, poiché a immagine di Dio fu fatto l’uomo (Genesi 9:5-6).
La proibizione prescinde qui da qualsiasi motivazione pragmatica e da ogni considerazione sulle circostanze e sugli intenti dell’omicida. Il fatto che l’essere umano sia stato creato a immagine di Dio rende lo spargimento di sangue (espressione ben più generica del verbo ratzach del sesto comandamento) una dissacrazione e un affronto alla Volontà suprema. L’omicidio ha dunque di per sé una valenza negativa – estremamente negativa –, che non può essere eclissata o temperata da quei casi particolari in cui la Legge biblica non imputa all’omicida alcuna colpa, o da quelli in cui la Torah concede al colpevole una protezione a causa della mancanza di intenzionalità nel suo atto cruento.
Ciao.
Sono d’accordo in parte con il vostro punto di vista. Nonostante l’ottima spiegazione, sono più in sintonia con il pensiero espresso dall’utente che ha commentato. Infatti: se “non uccidere” è da prendere in senso assoluto, ne deriverebbe che Giosuè e i giudici o lo stesso re Davìd abbiano trasgredito una mitzvà prescritta nella Toràh. Come ovviate a questo paradosso che verrebbe a crearsi?
La proibizione che troviamo in Esodo, e ancora di più quella espressa in Genesi 9:5-6, è di carattere assoluto e universale. I casi di Giosuè, David ecc. rappresentano eccezioni a tale precetto. C’è una sottile (ma molto significativa) differenza tra affermare che la Bibbia proibisce un determinato tipo di omicidio (l’assassinio), e dichiarare invece che la Bibbia proibisce qualsiasi spargimento di sangue, ma presenta delle eccezioni a questa legge universale.
Grazie della risposta. Queste sottintese eccezioni dove sono elencate?
Non c’è un vero elenco, ma il lettore che conosce la proibizione di Genesi 9 sarà portato a interpretare questi casi particolari come “eccezioni”. Un esempio si trova nella parashà di Mishpatim, laddove si legge che lo scassinatore che si introduce di notte in una casa e viene perciò ucciso “non sarà vendicato” (ovvero: chi lo ha ucciso è privo di colpa)