In passato, ci siamo occupati dei principali metodi di interpretazione della Bibbia ebraica parlando delle parole guida e delle strutture testuali.
Riprendendo questo argomento, affronteremo oggi un altro concetto fondamentale per una comprensione accurata del testo biblico: i parallelismi tematici e lessicali che mettono in relazione brani diversi creando delle connessioni a volte sorprendenti e controintuitive.
Chi ci segue già da tempo sa quanta importanza attribuiamo ai parallelismi: nel nostro studio delle Scritture, andiamo spesso in cerca di analogie e corrispondenze tra narrazioni differenti allo scopo di interpretare la Bibbia alla luce della Bibbia stessa. Per questo, non potevamo fare a meno di parlare di questo metodo, delle sue origini e delle sue applicazioni, illustrando alcuni esempi significativi.
“Unire insieme le parole della Torah”
Negli ultimi decenni, gli studiosi della Bibbia dal punto di vista letterario si sono concentrati sempre di più sul fenomeno dell’intertestualità: gli autori biblici, nel comporre le loro opere, hanno spesso inserito numerose allusioni ad altri testi scritturali, rievocando brani precedenti attraverso il linguaggio e i temi trattati. Una volta colte queste allusioni, che sono spesso velate, si può riuscire a comprendere il messaggio dell’autore in maniera più completa, ottenendo una nuova chiave di lettura che ci guida verso conclusioni inattese.
Molto prima che gli studiosi coniassero il termine “intertestualità”, questo fenomeno era però già conosciuto dagli antichi Saggi d’Israele, come si evince da un racconto del Midrash Vayikra Rabbah (16:4):
“Rabbi Akiva andò da Ben Azzai e gli disse: «Ho sentito che quando hai interpretato [la Torah], il fuoco guizzava intorno a te. Eri forse immerso nei segreti dell’Opera del Carro? [cioè nell’interpretazione esoterica della Torah n.d.r.]». Egli disse: «No. Ero seduto a mettere insieme le parole della Torah, e a unire le parole della Torah con le parole dei Profeti, e le parole dei Profeti con le parole degli Scritti. E le parole erano gioiose come il giorno in cui furono date sul Sinai”.
Per i Maestri, riflettere sull’accostamento e il confronto tra brani diversi delle Scritture non era dunque un puro esercizio accademico, ma un’esperienza religiosa che rinnova la Rivelazione della Torah sul Sinai. Essi ricorrevano continuamente a questo metodo, vedendo la Bibbia come una fitta rete di interconnessioni in cui un passo può assumere il suo pieno significato solo grazie al suo collegamento con altri brani (vedi l’articolo “La gioventù di Abramo“).
Un Esodo in miniatura
Uno degli episodi biblici in cui i parallelismi svolgono un ruolo essenziale nell’arricchire la storia di significato è la vicenda della distruzione di Gerico, narrata nel Libro di Giosuè (Yehoshùa).
Apprestandosi alla conquista della terra promessa, il condottiero e profeta d’Israele Yehoshua invia due esploratori nell’antica città cananea di Gerico (Giosuè 2:1). Le due spie si recano quindi in incognito in casa di una prostituta chiamata Rachàv.
Quando il re di Gerico manda i suoi uomini a cercare gli esploratori israeliti, Rachav li nasconde e li protegge, poi dice loro:
Io so che HaShem vi ha dato il paese, che il terrore di voi è caduto su di noi, e che tutti gli abitanti del paese vengono meno dalla paura davanti a voi. […] E ora, vi prego, giuratemi per HaShem che, come io vi ho usato benevolenza, anche voi userete benevolenza con la casa di mio padre (2:9-12).
La prostituta cananea chiede quindi di essere risparmiata, insieme alla sua famiglia, durante l’imminente invasione ebraica della città, e fa questa richiesta pronunciando una dichiarazione di fede: “HaShem, il vostro Dio, è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra” (2:11). Le spie, dal canto loro, promettono di lasciare in vita Rachav e i suoi cari; in seguito infatti, la donna sarà accolta in Israele (6:25).
Esaminando con attenzione questo episodio, si possono notare alcune analogie con uno dei racconti fondamentali della Torah, quello dell’Esodo dall’Egitto:
- L’Esodo è commemorato dalla festa di Pesach (Esodo 12:21). La conquista di Gerico, secondo il capitolo 5 del Libro di Giosuè, avvenne alcuni giorni dopo Pesach.
- Come le case degli Israeliti rappresentavano il solo riparo dalla punizione divina nella notte della decima piaga (Esodo 12:27), così ora la casa di Rachav è l’unico luogo risparmiato dalla distruzione della città (Giosuè 2:18). In entrambe le storie troviamo il divieto esplicito di “varcare la porta di casa” (Esodo 12:22; Giosuè 2:19).
- In ambedue i racconti si parla di un ‘ot (“segno”) che rappresenta la protezione dallo sterminio: nel caso dell’Esodo si tratta del sangue del sacrificio pasquale spruzzato sulle porte con un fascio d’issopo (Esodo 12:7), in quello di Rachav è invece una “cordicella scarlatta” (dunque dello stesso colore del sangue) da attaccare alla finestra (Giosuè 2:18). Il legame tra i due “segni” è rafforzato dal fatto che alcuni riti di purificazione previsti dalla Bibbia richiedono l’uso dell’issopo e di un panno scarlatto (Levitico 14:4; Numeri 19:6).
- In entrambi i racconti troviamo il verbo yatzà (“uscire”) come parola chiave. L’Esodo dall’Egitto è chiamato in ebraico Yetziat Mitzrayim (“Uscita dall’Egitto”), e anche la liberazione di Rachav è definita più volte con questo verbo (Giosuè 6:22-23).
- In Egitto, secondo Esodo 15:13, Dio salva gli Israeliti in virtù del suo chèsed (“bontà” o “benevolenza”), lo stesso sentimento che spinge le spie di Yehoshua a salvare Rachav secondo Giosuè 2:14.
Ma c’è un elemento forse ancora più interessante che unisce l’Esodo alla storia di Rachav. Nel discorso che la donna rivolge alle due spie israelite, si possono riconoscere molte espressioni che rievocano i primi cinque dei Dieci Comandamenti:
Discorso di Rachav | Dieci Comandamenti |
---|---|
“Poiché noi abbiamo udito come HaShem asciugò le acque del Mar Rosso davanti a voi quando usciste dall’Egitto” (Giosuè 2:10). | “Io sono HaShem, il tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla casa degli schiavi” (Esodo 20:2). |
“Poiché HaShem, il vostro Dio, è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra” (Giosuè 2:11). | “Non avrai altri dèi davanti a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna delle cose che sono lassù nei cieli o quaggiù sulla terra (Esodo 20:3-4). |
“E ora, vi prego, giuratemi per HaShem che, come io vi ho usato benevolenza, anche voi userete benevolenza con la casa di mio padre” (Giosuè 2:12). | “Non innalzare il nome di HaShem, tuo Dio, invano [in giuramento]” (Esodo 20:7). |
“Poiché HaShem, il vostro Dio, è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra” (Giosuè 2:11). | “Ricordati del giorno di Shabbat per santificarlo […] poiché in sei giorni HaShem fece i cieli e la terra” (Esodo 20:8-11). |
“E datemi un segno sicuro che lascerete in vita mio padre, mia madre, i miei fratelli, le mie sorelle e tutto ciò che appartiene a loro” (Giosuè 2:12-13). | “Onora tuo padre e tua madre” (Esodo 20:12). |
Come spiega Joshua Berman nel suo libro Ani Maamin, non è possibile immaginare che una prostituta cananea dell’epoca conoscesse realmente i Dieci Comandamenti, né tantomeno che potesse pronunciare un simile discorso poetico nel suo dialogo con le spie israelite. Attribuendo a Rachav parole tanto elevate, il testo biblico non vuole presentarci un discorso realistico o accurato dal punto di vista storico, bensì mostrarci che Rachav ha accettato nel suo animo l’essenza della fede della Torah.
Da tutte le corrispondenze rilevate emerge un chiaro intento di far apparire la vicenda di Gerico come un Esodo in scala minore. In questo modo, il testo elogia la figura di Rachav, e al contempo esalta anche la missione degli Israeliti, i quali divengono emissari di Dio e strumenti di un’opera divina che è sia di giudizio che di salvezza.
Senza questi parallelismi, il lettore potrebbe pensare a Rachav come a un’astuta calcolatrice, le cui parole sarebbero dettate da semplice opportunismo. Grazie ai riferimenti all’Esodo si comprende invece che quella vissuta dalla prostituta cananea è un’autentica esperienza di conversione, tale da rendere Rachav a buon diritto un archetipo dei non-Ebrei che si volgono al Dio unico.
Nota – L’uscita dall’Egitto non è l’unico modello in base a cui la storia della conquista di Gerico appare modellata: la vicenda di Rachav e delle spie di Yehoshua rievoca anche un altro racconto della Torah. Quale? Vi invitiamo a rifletterci e ad ascoltare poi questa nostra lezione.
Leader ebrei e sacerdoti stranieri
Restando nell’ambito del Libro dell’Esodo, subito prima della Rivelazione dei Dieci Comandamenti troviamo il racconto di Yitrò, sacerdote di Midiàn, nonché suocero di Moshè, che viene a visitare l’accampamento degli Ebrei avendo udito dei prodigi avvenuti in Egitto.
E Yitrò gioì di tutto il bene che HaShem aveva fatto per Israele, quando lo aveva liberato dalla mano degli Egizi. E disse Yitrò: «Benedetto è HaShem, che vi ha liberati dalla mano degli Egizi e dalla mano del Faraone: Egli ha strappato questo popolo dalla mano dell’Egitto! Ora io so che HaShem è più grande di tutti gli dèi» (Esodo 18:9-11).
L’immagine di un sacerdote straniero che giunge dal rappresentante del popolo ebraico e loda Dio per una salvezza ottenuta ci ricorda qualcosa. Una scena simile si è già svolta nel Libro della Genesi, con l’incontro tra Avram (Abramo) e il re e sacerdote Malki-Tzedek (Genesi 14:18-20).
Nonostante l’episodio di Malki-Tzedek sia molto più breve e fugace di quello di Yitrò, i punti in comune tra i due brani sono notevoli:
- Malki-Tzedek è un “sacerdote (Kohen) di El Elyòn“; Yitrò è il “sacerdote (Kohen) di Midian” .
- Malki-Tzedek dice ad Avram: “Benedetto (Barukh) è El Elyon, che ha consegnato i tuoi nemici nelle tue mani (BeYadekha)”; Yitrò si esprime con parole simili: “Benedetto (Barukh) è HaShem, che vi ha liberato dalla mano (MiYad) degli Egizi”.
- Malki-Tzedek offre ad Avram pane e vino (Genesi 14:18); Yitrò si siede con i capi di Israele per “mangiare pane” (Esodo 18:12).
- L’arrivo di Malki-Tzedek avviene subito dopo la battaglia di Avram con i quattro re (Genesi 14:17); la visita di Yitrò è narrata dopo la battaglia di Israele con Amalek (Esodo 17:8-16).
- L’arrivo di Malki-Tzedek precede la rivelazione del “Patto tra le Parti”, in cui Dio dichiara ad Avram: “Io sono HaShem, che ti ha fatto uscire da Ur Kasdim” (Genesi 15:7). La visita di Yitrò precede la rivelazione dei Dieci Comandamenti, in cui Dio dichiara a Israele: “Io sono HaShem, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto” (Esodo 20:2).
- Malki-Tzedek è “re di Shalèm” (Genesi 14:18); Yitrò e Moshè, durante il loro incontro, “chiesero l’uno la pace (shalòm) dell’altro” (Esodo 18:7).
Una volta individuate queste analogie possiamo leggere il secondo brano alla luce del primo. La Genesi, di per sé, non ci dice quasi nulla su Malki-Tzedek, al quale sono dedicati solo tre versi. La sua figura è sembrata ad alcuni talmente misteriosa e solenne da legittimare interpretazioni soprannaturali, secondo cui egli sarebbe un angelo o un essere divino.
La somiglianza con Esodo 18 ci aiuta però a capire meglio anche Genesi 14: Malki-Tzedek e Yitrò sono due sacerdoti estranei al popolo ebraico e al Patto tra Dio e Israele; eppure, tale estraneità non impedisce loro di emergere come modelli positivi, anzi fa sì che attraverso il loro esempio si realizzi il modello universale della Torah, che vede gli Israeliti come strumento divino per benedire “tutte le famiglie della terra” (Genesi 12:3; 28:14).
È bene sottolineare inoltre che questi due sacerdoti non si limitano a lodare Dio e a rendere omaggio a Israele: entrambi, infatti, influenzano positivamente i leader ebrei fungendo persino da guida per loro. Malki-Tzedek giunge in un momento critico della vicenda di Avram (vedi il nostro commento a riguardo), e quest’ultimo apprende da lui addirittura un nuovo modo di definire la Divinità: El Elyon Koné Shamayim vaHaaretz – “Il Dio Altissimo, creatore del cielo e della terra” (Genesi 14:22). Nel caso di Yitrò, il testo ci racconta che egli fornì a Moshè un utile consiglio su come giudicare il popolo (Esodo 18:13-23).
Secondo la Torah, il popolo d’Israele è stato scelto per essere mamlèkhet kohanìm, un “regno di sacerdoti” (Esodo 19:6) nei confronti delle altre nazioni. Dai racconti di Malki-Tzedek e Yitrò possiamo però comprendere che, come scrive la studiosa Judy Klitsner nel libro Subversive Sequels in the Bible, talvolta i ruoli possono anche invertirsi, poiché “le storie dei sacerdoti biblici pongono a Israeliti e a non-Israeliti la sfida di imparare dalle diverse fonti di saggezza e moralità nel mondo”.
Yitrò contro Balak
Finora abbiamo esaminato dei casi in cui l’intento degli autori biblici era quello di sottolineare le profonde affinità tra personaggi ed eventi diversi. Molto spesso, però, dietro i parallelismi tra i brani si nasconde in realtà un contrasto: il testo pone in relazione due o più storie allo scopo di mettere in risalto le differenze piuttosto che le analogie.
Possiamo trovare un esempio di questo interessante fenomeno proprio partendo dall’episodio di Yitrò che abbiamo appena analizzato, e che inizia con queste parole:
E Yitrò, sacerdote di Midian, suocero di Moshè, udì tutto ciò che Dio aveva fatto per Moshè e per Israele suo popolo (Esodo 18:1).
Molto più avanti, quando le peregrinazioni degli Israeliti nel deserto stanno per volgere al termine, la Torah ci presenta un altro personaggio, e lo fa con espressioni che rievocano quanto era stato narrato a proposito di Yitrò:
E Balak, figlio di Tzippor, vide tutto quello che Israele aveva fatto agli Amorrei (Numeri 22:2-3).
Proprio come il sacerdote di Midian aveva udito “tutto ciò che aveva fatto” (kol-asher assàh) Dio per Israele in Egitto, così Balak, re di Moav, viene a sapere di “tutto ciò che aveva fatto” (kol-asher assàh) Israele ai nemici Amorrei. Certo, non è abbastanza per concludere che vi sia un parallelismo tra i due racconti, ma proseguendo nella lettura è possibile individuare altre corrispondenze che non sembrano casuali:
- Yitrò, come sappiamo, è il sacerdote di Midian; Balak è alleato di Midian (Numeri 22:4), e secondo alcuni commentatori era egli stesso un Midianita.
- Yitrò è il padre di Tzipporah; Balak è figlio di Tzippor.
- Yitrò appartiene alla stirpe dei Keniti (Giudici 4:11); nella vicenda di Balak troviamo un oracolo sulla sorte dei Keniti (Numeri 24:21).
C’è però una sostanziale differenza nel modo in cui i due personaggi assistono alla vittoria degli Ebrei: Yitrò, come abbiamo letto, nota “ciò che Dio aveva fatto”; Balak vede solo “ciò che Israele aveva fatto”: la sua prospettiva non contempla la volontà divina, e da ciò deriva l’enorme distanza che separa questi due modelli opposti. Yitrò, che riconosce il valore della Redenzione, offre il suo supporto a Israele; Balak, al contrario, vede nel popolo ebraico solo una minaccia, perciò combatte andando incontro alla rovina.
Balak, dunque, non è simile a Yitrò, ma è semmai l’anti-Yitrò. Egli assomiglia piuttosto a un altro illustre personaggio, con il quale condivide gli stessi timori:
E Moav provò grande paura davanti a questo popolo, poiché era numeroso (Rav), e Moav provò repulsione (vaYakatz) davanti ai figli d’Israele […] [E Balak disse:] «Ecco (Hinné), un popolo è uscito dall’Egitto […] esso è più forte di me (Atzum hu mimmeni)» (Numeri 22:3-6).
[Il Faraone] disse al suo popolo: «Ecco (Hinné), il popolo dei figli d’Israele è più numeroso (Rav) e più forte di noi (Atzum mimmenu)» […] Ed essi provarono repulsione (vaYakutzu) davanti ai figli di Israele (Esodo 1:9-12).
Il parallelismo ci aiuta a capire che, secondo la Torah, Balak non è un semplice re prudente, preoccupato di difendere i suoi confini, ma una figura molto più negativa. Nella grande storia della Redenzione, costui ha le idee chiare: intende schierarsi contro Israele e annullare l’Esodo, facendo rivivere il progetto tirannico del Faraone.
Una domanda per voi
Come abbiamo già avuto modo di notare, i parallelismi nel testo biblico formano una vera e propria rete che ci rimanda di continuo da un libro all’altro, talvolta mettendo in collegamento brani che, dal punto di vista superficiale, sembrerebbero avere ben poco in comune.
A proposito del discorso che il Faraone rivolge al suo popolo per dare inizio alla schiavitù degli Ebrei, questo stesso brano contiene anche delle allusioni a un’altra famosissima vicenda biblica. Osserviamo:
[Il Faraone] disse al suo popolo: «Ecco, il popolo dei figli d’Israele è più numeroso e più forte di noi. Orsù (Havah), usiamo astuzia nei loro confronti, affinché non (pen) si moltiplichino e, in caso di guerra si uniscano ai nostri nemici, combattano contro di noi e lascino il paese». E stabilirono su di loro dei sovrintendenti ai lavori, che li opprimessero con le loro angherie. Ed essi costruirono per il Faraone le città (‘arè) deposito, Pitom e Ramses. […] E gli Egizi costrinsero i figli d’Israele a servire con asprezza, e amareggiarono la loro vita con una dura schiavitù, nei lavori della malta (chomer) e dei mattoni (levenim) e in ogni sorta di lavori nei campi (Esodo 1:9-14).
A cosa vi fanno pensare le espressioni Havah (orsù), pen (affinché non), ‘ir/’arim (città), chomer (malta) e levenim (mattoni)? C’è solo un altro racconto nella Bibbia dove tutti questi termini compaiono insieme, ed è un racconto che, proprio come questo, è narrato subito dopo un elenco di nomi di componenti di una famiglia molto feconda che si moltiplica grandemente (Esodo 1:1-7).
Qual è il brano a cui ci riferiamo? E perché la Torah lo mette in relazione alla vicenda dell’inizio della schiavitù in Egitto? Lasciamo ai nostri lettori il piacere di rispondere.
Il parallelismo potrebbe essere con la torre di Babele secondo la mia opinione
Giusto, il parallelismo è con Genesi 11.
Caro redattore,
hai ben evidenziato questo aspetto della Bibbia, che cioè molte delle sue storie sono ripetute in contesti differenti, e che tali ripetizioni riguardano non solo la trama ma anche specifiche azioni compiute dai personaggi e perfino le parole che essi pronunciano.
Ma ciò non rivelerebbe anche, nel sacro testo, la sua natura di opera romanzata?
Fra i diversi esempi di “intertestualità” che hai presentato, vorrei considerare l’episodio della prostituta di Gerico. Quello che costei dice alle spie israelite è un’ovazione del monoteismo che mi appare fin troppo anacronistica e fuori luogo. Credo che qui sarebbe più appropriato il termine “monolatria”, che consiste nella credenza in molte divinità ma con l’adorazione consentita a una soltanto di esse. Questo diverso tipo di fede, come rivela la Bibbia, era talmente radicato negli ebrei che perdurò anche dopo che la cultura israelita si fu del tutto stabilizzata come nazione dominante che vantava un tempio monumentale. Pensiamo al re Salomone che adorò pure altre divinità, e così fecero quasi tutti i sovrani che gli succedettero e con loro la gran parte dei sudditi, il che provocò la prima diaspora babilonese. Poiché la monolatria era ancora molto presente nei cervelli e nei cuori degli ebrei anche mille anni dopo la rivelazione della Torah, figurarsi se una donna cananea dei tempi dell’esodo poteva immaginare che esistesse un unico dio in tutto l’universo!
Joshua Berman ammette che Raab non poteva aver pronunciato realmente ciò che l’autore biblico le fa dire, ma lui sostiene che l’irreale apologia del monoteismo da parte di quella donna e il panno scarlatto avrebbero lo scopo di palesare la sua intima conversione all’ebraismo e che pertanto il suo tradimento non fu dovuto a opportunismo.
La storia, per come è raccontata, mira effettivamente a mostrare un sincero atto di conversione in quella donna. Ma per me anche questo è irreale.
Chi abbandona la religione in cui è stato allevato per un’altra lo fa perché conosce quantomeno alcuni rudimenti di base della nuova fede che intende abbracciare. Tali rudimenti giungono di solito da qualche conoscente o da predicatori. Forse gli israeliti di quel tempo giravano di casa in casa fra le genti come gli odierni testimoni di Geova, muniti di opuscoli illustrati anziché di spade? Tutto quello che Raab poteva sapere del popolo ebreo e del loro dio veniva dai viandanti pagani. E ciò che questi viandanti erano in grado di capire e quindi riferire di quel popolo di nomadi venuto dall’Egitto era che esso aveva un dio protettore più forte di altri dèi. Certamente non pensavano che quel dio fosse DIO. Né potevano, essendo politeisti, aver afferrato il concetto dell’adorazione esclusiva a un dio geloso giacché quest’idea molto insolita, tengo a ripetere, non era stata assimilata nemmeno dagli stessi ebrei. Quali, dunque, erano i rudimenti che i popoli pagani, e quindi Raab, potevano aver appreso dalla Torah per avere motivo di convertirsi a essa?
Io direi nessuno.
Consideriamo, invece, quello che sicuramente era noto degli ebrei. Riguardo a ciò, le seguenti parole di Raab mi sembrano senz’altro credibili:
«So che il Signore vi ha assegnato il paese, che il terrore da voi gettato si è abbattuto su di noi e che tutti gli abitanti della regione sono sopraffatti dallo spavento davanti a voi, perché abbiamo sentito come il Signore ha prosciugato le acque del Mare Rosso davanti a voi, alla vostra uscita dall’Egitto e come avete trattato i due re Amorrei, che erano oltre il Giordano, Sicon ed Og, da voi votati allo sterminio. Lo si è saputo e il nostro cuore è venuto meno e nessuno ardisce di fiatare dinanzi a voi, perché il Signore vostro Dio è Dio lassù in cielo e quaggiù sulla terra.»
Pensiamo a quell’orda di nomadi (600.000 uomini armati secondo le fonti bibliche) che non faceva prigionieri, che aveva annientato i regni di Sicon e Og e in più, non va dimenticato, anche la nazione dei midianiti, e all’effetto che destava nelle popolazioni che incontrava sulla sua strada. Quei nomadi erano gli israeliti, ma agli occhi dei popoli invasi sarebbero potuto essere gli unni di Attila o i mongoli di Gengis Khan, oppure i “popoli del mare”, o i vichinghi. La sola idea che senza dubbio in tutti questi casi sconvolgeva le genti in procinto d’essere aggredite era la certezza della fine imminente poiché tutti i citati invasori mostravano sul campo quanto fossero feroci e imbattibili. Forse tale invincibilità era imputata ai numi che guidavano quegli eserciti distruttori, ma di certo quei numi apparivano solo molto potenti, non etici.
Tra le genti che si aspettavano un attacco, qualunque individuo che avesse avuto la medesima opportunità capitata a Raab di salvarsi la pelle con un favore a qualche esploratore nemico che fortuitamente gli fosse entrato in casa, ovviamente avrebbe agito come lei. Di cananei disposti a tutto per sopravvivere, anche a convertirsi a una religione di cui erano all’oscuro, ce n’erano sicuramente molti oltre a Raab. I gabaoniti addirittura ricorsero a un trucco pur di strappare un giuramento agli israeliti affinché fossero esentati dal genocidio cui erano destinati.
Un collegamento intertestuale riguardo a questo racconto io lo ravviserei nell’episodio in cui il re filisteo Abimelech si fidanza con la moglie di Abramo credendola nubile e sorella del patriarca. HaShem gli appare in sogno, il sovrano lo riconosce, lo chiama per nome e con lui ha la seguente conversazione:
“Perciò disse: «Geova, ucciderai una nazione che realmente è giusta? Non mi ha egli detto: ‘È mia sorella’? e lei, non ha anche lei detto: ‘È mio fratello’? Ho fatto questo con onestà di cuore e innocenza delle mie mani.» A ciò il [vero] Dio gli disse nel sogno: «Anch’io so che hai fatto questo con onestà di cuore, e ti ho anche trattenuto dal peccare contro di me. Perciò non ti ho permesso di toccarla. Ma ora restituisci la moglie dell’uomo, poiché è profeta ed egli farà supplicazione per te. E continua a vivere. Ma se non la restituisci, sappi che positivamente morirai, tu e tutti quelli che sono tuoi.»” Genesi 20:34-7, TNM.
Ho scelto la versione della TNM perché qui col nome Geova è tradotto il tetragramma. Ecco che il monarca filisteo riconosce nel sogno il dio venerato dai suoi ospiti forestieri, cioè Abramo e Sara. Ma egli non percepisce tale divinità come una delle tante del pantheon mediorientale. Come poi accadrà alla prostituta di Gerico, Abimelech lo vede quale dio onnipotente che mette al tappeto tutti gli altri numi, compresi quelli protettori del suo regno che, a quanto pare, erano impotenti a difenderlo dalla totale distruzione operata dal dio dei due forestieri. Non solo. La ragione del possibile annientamento di quella nazione risiederebbe nel peccato di adulterio che stava per commettere il suo sovrano. Da che mondo è mondo, soltanto i monarchi israeliti erano sottoposti ai dieci comandamenti, mentre tutti gli altri, spesso autoproclamati come divinità, erano di sicuro esentati dal peccato di adulterio. Anche nelle epoche a noi vicine, nelle corti europee, succedeva che i cortigiani spingessero le proprie mogli a entrare nel talamo regale per ottenere poi grossi favori dal sovrano. Ma nonostante i suoi privilegi regali, agli occhi di Abimelech il proprio peccato di adulterio appariva talmente grave che avrebbe avuto come conseguenza la distruzione di tutto il suo regno!
Il parallelismo che trovo in questo due storie è l’intento agiografico dei loro autori, i quali saltano a piè pari gli aspetti storici, ambientali, culturali e psicologici dei personaggi non ebrei per farne degli sponsor della Torah.
Tutto dipende da cosa si intende per “opera romanzata”. Non ho dubbi che la Bibbia, in quanto opera letteraria, si serva delle stesse tecniche e delle stesse convenzioni della narrativa di finzione, e perciò bisogna stare ben attenti a non leggerla anacronisticamente come un resoconto fedele di fatti avvenuti.
Parlando della “conversione di Rachav”, non trovo che sia accurato in questo caso parlare di adesione a una nuova religione. Questa è un’idea che deriva dalla nostra concezione moderna di “religione”, come sistema di credenze astratte accettato da un individuo. Questa concezione si addice bene al Cristianesimo, una fede che richiede di accettare precise nozioni teologico-filosofiche e determinati fatti relativi alla persona di Gesù. Ma tale definizione non si può applicare all’Ebraismo biblico. Tutto quello che la Bibbia ebraica richiede o si aspetta da un non-israelita si può riassumere in due semplici punti:
1. Riconoscere la sovranità dell’unico Dio su tutte le autorità umane e le forze della natura;
2. Comportarsi in modo etico.
Per questo la Torah e i Profeti non esortano mai gli Israeliti ad andare a predicare una certa dottrina tra i pagani e tra gli idolatri. L’unico modo in cui il popolo d’Israele è chiamato a diffondere la sua fede è attraverso la sua condotta e la sua storia.
Rachav, nel racconto, vede quello che persino molti Israeliti avevano faticato a riconoscere, cioè la superiorità del Dio di Israele in una guerra che sembrava impari in quanto vedeva contrapposti un piccolo popolo di ex schiavi e dei giganti che vivevano in città fortificate da secoli. È credibile? Non lo so, ma è quello che il testo ci vuole dire, e a me interessa il messaggio molto più che la fondatezza storica.
Citando la vicenda di Avimelekh hai tirato in ballo un caso veramente particolare in quanto qui, per motivi che ancora non mi sono chiari, il racconto inverte i ruoli e trasforma Avimelekh in un alter ego di Avraham. Infatti il re si esprime come Avraham nella storia della distruzione di Sodoma (“Farai forse morire il giusto?”), compie azioni simili come “svegliarsi presto al mattino”, chiama Dio con il Tetragramma, mentre Avraham lo chiama genericamente Elohim e ne parla usando un verbo al plurale.
Certo, come tu dici, Raab seppe comprendere che dietro l’invincibilità di un piccolo popolo di ex schiavi contrapposti a dei giganti doveva esserci la mano di Dio. Ma se è così potremmo pensare che ci siano state anche delle Raab cinesi che, con la medesima considerazione, hanno venduto la propria gente ai mongoli invasori per salvarsi. I mongoli vivevano, dormivano e mangiavano sui propri cavalli, si nutrivano di latte acido equino e bistecche di cavallo macerate sotto le loro selle. Eppure occuparono in pochi anni un territorio quattro volte più grande dell’impero romano, fra cui quella Cina di cui Marco Polo racconta meraviglie. La Cina, protetta dalla grande muraglia e che già aveva anticipato molte delle moderne tecnologie occidentali, fu conquistata da quel piccolo popolo di nomadi molto primitivi. Era dunque Dio a guidarli? E quante altre Raab avranno dato credito e quindi aiutato i rozzi beduini arabi che, in nome della loro nuova fede, s’impadronirono di immense regioni di antica civiltà?
Scrivi:
“Tutto quello che la Bibbia ebraica richiede o si aspetta da un non-israelita si può riassumere in due semplici punti:
1. Riconoscere la sovranità dell’unico Dio su tutte le autorità umane e le forze della natura;
2. Comportarsi in modo etico.”
A mio parere, voler riconoscere la sovranità di Dio attraverso la forza delle armi e il terrore della distruzione giustificherebbe tutte le Raab della storia. Di queste ce ne sono state molte nella seconda guerra mondiale, dopo che la Germania, guidata dal nuovo “vate”, fece “prodigiosamente”un boccone dell’Europa con lo slogan “Gott mit uns”. Tra queste Raab, è doloroso dirlo, ci fu anche una donna ebrea, di cui ora non mi sovviene il nome, che in cambio della vita denunciò ai nazisti centinaia di ebrei che si erano nascosti.
Con ciò non intendo dimostrare che la Bibbia approvi un atto esecrabile come il tradimento se è compiuto, come nel caso della meretrice di Gerico, a favore di Dio e tuttavia non per amore verso Dio ma per salvare le cuoia. In 2 Samuele l’insegnamento è anzi l’opposto. Qui, in un brano, si narra di un uomo che credendo di ricevere un compenso annuncia a Davide, ma dicendo il falso, di aver ucciso il suo nemico re Saul; e in un altro passo dello stesso libro c’è il racconto di due uomini che assassinano un figlio di Saul, rivale di Davide alla successione al trono. In entrambi i casi, Davide, tutt’altro che lieto per quelle “buone azioni” commesse a suo beneficio, fa giustiziare quegli individui ritenendo iniquo il loro gesto, a prescindere che essi agirono in quel modo contro uomini abbandonati da Dio.
Ciò mi fa pensare che l’autore di 2 Samuele avesse un’idea dell’etica che non collima con quella dell’altro scrittore biblico che invece esalta il comportamento di chi tradisce nel nome di Dio ma volendo in cambio qualcosa, che sia la propria vita oppure denaro e privilegi. Un comportamento genuinamente etico non dovrebbe essere esente da intenzioni commerciali, dal “do ut des” ?
La differenza con gli esempi che hai riportato sta nel fatto che Rachav non ha “venduto” nessuno: il suo contributo alla conquista della terra santa è stato insignificante, poiché dal punto di vista del narratore, che qui è anche il punto di vista di Rachav, la vittoria israelita era ormai già scontata. Ma anche volendo escludere la volontà divina dall’equazione, Rachav non fece altro che proteggere due spie. Non ha aperto lei le porte di Gerico, non ha denunciato nessun suo concittadino, non ha fornito informazioni strategiche utili alla conquista, niente di tutto questo. Il suo atto non è presentato come un tradimento, così come non era un tradimento quello degli Israeliti in Egitto nei confronti del Faraone.
Chiarisco poi che essere guidati da Dio, dal punto di vista biblico (e non dal punto di vista delle Crociate o dei nazisti), non significa essere nel giusto e quindi meritare a prescindere il supporto. L’Assiria secondo Isaia era (inconsapevolmente) guidata da Dio, che la chiama “verga della mia ira”, ma era nonostante ciò pur sempre un impero malvagio meritevole di punizione.
Il nome della donna ebrea che collaborò con i nazisti è Ans van Dijk, ritenuta responsabile dell’internamento di settecento persone. Fu giustiziata nel 1948 per crimini contro l’umanità.
In quanto a Raab, solo col senno del poi sappiamo che la sua protezione alle spie israelite non fu determinante per la caduta di Gerico; tuttavia, chi in un contesto bellico aiuta spie nemiche non può sapere quanto sarà determinante il suo aiuto. Non a caso, in tempo di guerra, ovunque nel mondo, in ogni epoca, spie e traditori, indipendentemente dal loro effettivo apporto all’andamento del conflitto, appena individuati sono giustiziati. Perfino nelle gang criminali chi è sleale, anche se non ha fatto nessun danno perché scoperto in tempo, non campa a lungo.
Un sinonimo di traditore è “giuda”. L’apostolo che aveva questo nome in realtà contribuì, secondo i vangeli, a realizzare la missione del Cristo di sacrificarsi per redimere l’umanità. Ma egli è diventato, per il suo gesto, emblema dell’infamia.
A Raab è invece andata molto bene: l’evangelista Matteo, nella sua genealogia, la inserisce addirittura fra gli antenati di Gesù.
Dal punto di vista del regime sì, Rachav era una traditrice, ma da una prospettiva opposta era una donna che ha reciso i legami con una società corrotta per unirsi a una comunità di cui condivideva i valori religiosi, senza comunque causare la morte di nessuno. La sua è una storia di yetzia (“uscita”), una salvezza divina, una redenzione, non di opportunismo. Il filo scarlatto, come il sangue in Egitto, la purifica e la separa dalla città depravata. La genuinità dei sentimenti di Rachav è testimoniata nel testo dalle allusioni all’Esodo. Se mettiamo in dubbio tale genuinità siamo oltre il testo, dunque al di fuori della narrazione e delle sue convenzioni.
Matteo la inserisce fra la genealogia di Davide, che solo per questo si differenzia dalla genealogia dell’A.T. Nella genealogia di Davide riportata nell AT non compare Raab, mentre per il resto tutto è identico, e ci sono anche altre donne di dubbia moralità. Ma come dice Gesù, o come farà dire Matteo al suo Gesù, i ladri e le prostitute vi passeranno davanti nel regno dei cieli. Tutto è collegato ed interconnesso nella Bibbia, perché tutte le parole di Dio al limite sono una sola parola, e non esiste spazio tempo in Dio, ma tutto è eterno presente. Bisogna solo trovare una chiave di lettura per ricondurre tutto ad unità.
ps. riguardo il giudizio su Raab, apprezzo l analisi e le difese del redattore di fronte alle accuse di Marco, a cui ricordo che Dio guarda i cuori delle persone, ciò che invece lui non può conoscere e quindi è meglio se si astiene dal giudicare.
Per il redattore però, che ha sempre una idea falsata del cristianesimo, perché pregiudiziale, mi tocca ricordargli che non si basa su ” credenze astratte” e ciò che ha scritto per l ebraismo vale pure per il cristianesimo, anzi ancor di più, perché il cristianesimo va un pò oltre…. Gesù è il nuovo Giosuè che conduce il popolo verso la terra promessa, portando tutto a compimento, ed i parallelismi sono molti se le si vuole cercare per capire ogni cosa. FARSI GUIDARE DALLA PROSTITUTE MI VERREBBE DA DIRE, COME SI RACCONTA ANCHE NEI VANGELI. Nella Bibbia c’è anche molto humor, perché a quanto sembra qui gli esploratori andarono direttamente a puttane, ed entrarono poi nella terra promessa. mentre quelli mandati da Mosè confusero ogni cosa… e sarebbe interessante un analisi parallela da parte del redattore per cercare di capire le differenti conseguenze. ( coloro che uscirono dall egitto non entrarono nella terra promessa). potrebbe essere il prossimo articolo
Quando parlavo di credenze astratte mi riferivo a concetti quali la trinità (o il modalismo), la divinità di Cristo, l’immacolata concezione (per i cattolici). Sono dottrine filosofiche relative a concetti immateriali e realtà invisibili, e dunque, in questo senso, astratte.
La parola modalismo è la prima volta che la sento, ma io non sono studioso o filosofo. Però, in riferimento ai concetti immateriali ed invisibili del cristianesimo, che mi dici del Dio degli ebrei, l’hai per caso mai visto? Magari si sarà incarnato, perché niente è astratto nell’ebraismo, ma tutto concreto, tutto ortoprassi, parola è anche fatto, e non esiste dualità fra materia e spirito e tutto il resto, perché Dio è UNO. Il monoteismo trinitario te lo potrei spiegare razionalmente dal punto di vista biblico ( perché Dio è unione e comunione), ma spiegare razionalmente cosa significa che Dio è Uno, credo non sia semplice per gli ebrei. Ma rischierebbero di essere solo discussioni filosofiche, invece sarebbe interessante un esame in parallelo della storia degli esploratori unitamente a tanti altri episodi narrati nella Bibbia, proprio per coglierne la logica unitaria come tu vorresti, e nel mio piccolo ti potrei aiutare, anche se vari spunti di riflessione al riguardo te li ho già dati. Basta raccoglierli.
Mio caro redattore, ( mi verrebbe spontaneo chiamarti caro amico.. visto oramai lo scambio di messaggi ) ti chiedo un piccolo favore se puoi aiutarmi in una verifica del testo biblico, come hai sempre fatto quando te l’ho chiesto, visto le tue possibilità e capacità. Lo shemà di Israele dice: amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze…. l ‘espressione logicamente viene riportata varie volte, ma a volte ( e spesso o sempre) mi sembra che sia tronca. Viene solo detto amerai il signore tuo Dio con tutto il cuore e con l’anima, ma omessa la dicitura con tutte le tue forze. Puoi verificare se è cosi, e quali sono le volte in cui viene riportata per intero, e le volte in cui viene omessa l’espressione con tutte le tue forze? Non so se è possibile farlo, ma sembra che tu puoi fare molte ricerche ed analisi. Poi ti spiego perché te l ho chiesto e perché secondo me viene omessa l’espressione con tutte le tue forze. ( ogni parola è importante nella Bibbia, anche quella omessa) ti ringrazio se puoi, un caro saluto
L’espressione “bekhol meodekha” (con tutte le tue forze) compare solo nello Shemà (Deuteronomio 6). In tutte le altre occasioni, il Deuteronomio riporta solo bekhol levavekhà (con tutto il tuo cuore) e bekhol nafshekhà (con tutta la tua anima).
ti ringrazio davvero molto: Ne ero quasi sicuro, e sono contento che è cosi, e mi hai risposto. Ti confido che a volte sono intuizioni e ragionando per deduzioni logiche, viene da pensare che non può che essere cosi, perché tutta la Bibbia segue un percorso logico di fondo. Non è come dicono tanti studiosi odierni che sono state ” scuole di tradizioni diverse” a scriverla, e mi sembra con piacere che tu non sei dei loro.
“Nell’abbandono confidente sta la vostra forza” dicono i profeti, ed il Signore vuole il nostro cuore e la nostra anima, seguirlo con fede perché le forze poi ce le mette lui. Non prevarrà l ‘uomo nonostante la sua forza, si dice nella Bibbia, ed il Signore non ama la forza umana, ma il suo cuore e la sua anima. Potrei dire tante cose, ma sarebbero solo discorsi, ma se ci pensi, a corna pensando ( o volendo) di dover confidare nelle loro forze, ebbero paura e sbagliarono, perché con le loro forze realisticamente non ce l avrebbero mai potuto fare. Ma dovevano solo abbandonarsi confidente nel Signore amandolo con tutto il cuore e con tutta l’anima…
Non usando le loro forze uscirono dall’Egitto, ed anche i patriarchi ( come poi Giuseppe) lo seguivano solo con fede, come un bambino appena svezzato nella braccia di sua madre, come ci ricorda il salmista. Fa tutto lui per noi….ed è questa consapevolezza a doverci dare sempre più forza per amarlo sempre di più, abbandonandoci in tutto confidando in lui. Quanto più sarà Dio la misura di tutte le cose, e non noi se stessi, tanto più saremo umili e forti, e facendo fare tutto a lui vinceremo sempre , perché Dio non può mai perdere, al limite solo per amore del suo nome.
Un caro saluto
Mio caro amico redattore, a proposto di parallelismi e contrasti, mi potresti dire come vengono indicati in ebraico nella Bibbia le parole: Paura e Timore, ed in quali contesti magari se ne può cogliere la differenza, perché se il principio della sapienza è il timor di Dio, ed avvicina a Dio, la paura invece allontana da Dio, Difatti ebbe paura Adamo… e le parole sono molto importanti, anche se i loro confini a volte sono labili e gli uomini ne possono confondere il significato o sminuirne le differenze, come capita con la sapienza e la saggezza che dovrebbero essere cose diverse, e riportate sempre con termini diversi nella Bibbia. Nel lungo scambio che abbiamo avuto ” su quello che non vi hanno mai detto su Adamo ed Eva”, gentilmente mi hai risposto che lì per il termine saggezza viene usato ” Leaskil” . ma non mi hai detto che termini vengono usati per ” per desiderabile e ed acquistare. ( l unica o le poche volte in cui non mi hai risposto). Per sapere se vengono usati gli stessi termini riferiti al desiderio ed acquisto di cose materiale. Hanno desiderato ed acquistato tutto Adamo ed Eva, tutta la potenziale saggezza di questo mondo, ma stando al racconto l hanno pagata molto cara; con la morte. Mentre la sapienza di Dio è un dono gratuito ( non l hanno acquistata gli ebrei la torah), perché tutto è gratuito in Dio, a partire dalla vita. Sono importanti le parole per capire i testi, e mi sei di aiuto se puoi farmi quanto più verifiche possibili, perché se il principio della sapienza è il timor di Dio, è molto importante capire il profondo significato del termine in ebraico, proprio analizzando i contesti in cui viene riportato. il termine ebraico di timore e sapienza, grazie
un saluto
In ebraico biblico esistono due termini traducibili con paura, timore e terrore, ossia yirah e pachad. Entrambi sono usati sia in contesti profani per indicare appunto la paura, sia in relazione a Dio per indicare la somma riverenza. In questo secondo senso, Yirah è il termine più comune. Riguardo all’Eden, no, i termini usati non sono gli stessi che indicano l’acquisto di beni materiali.
Quali parole vengono usate per dire che il principio di ogni sapienza è il timor di Dio ( l’espressione biblica di questa frase in ebraico) ed il termine in ebraico per paura, quando Adamo disse che aveva paura perché era nudo.
In entrambi i casi si tratta di Yirah
grazie come sempre, ci vorrebbe un’analisi di quando viene usato Yirah o pachad in relazione a Dio, per analizzare le diverse situazioni e contesti biblici o stati psicologici delle persone, ma andrò per intuizioni e deduzioni logiche, un saluto
Abacuc scrive nel suo libro invettive contro Israele no contro Giuda.
Abacuc scrive il libro intorno all anno 850 a.c.
La nascita di Abacuc nel secolo IX a.c. viene accettata, in base al libro dello Zohar volume 1 pagina 8b , figlio della shunamita resuscitato da Eliseo.
Secondo l opinione più generalmente accettata i Caldei si stabilirono nella regione delle foci, dei due fiumi, dove condussero vita contadina costruendo canali per migliorare l agricoltura , dove scritti greci dicono che un seme piantato in quella terra ne dava nel raccolto duecento .
Diventati troppo numerosi , parte di essi risalirono il fiume verso nord lungo il tigri e colonizzarono i monti al nord, crearono l Assiria.
Quindi nel capitolo 1 versetto 6, Habacuc si riferisce al primo impero caldeo (caldeo e assiro non ancora suddiviso) , a cui succede quello assiro primo e secondo per poi aversi il secondo impero caldeo.
Tutto questo e dimostrato dalla cultura, dei e lingua simile, oltre dagli storici.
Quindi lo scritto di Habacuc nel capitolo due versetto 2, viene successivamente ripreso da Isaia capitolo 8 versetto 1, in questo caso rivolto all’Assiria (Caldei del nord).
Da cui si evince la duplicità della profezia, contenuta in toto da Habacuc, che i caldei avrebbero saccheggiato il regno del nord e il regno di Guida anche se in tempi diversi e Isaia specifica nei caldei del nord per la devastazione della Samaria e caldei del sud per Guida.
Ma la cosa più sorprendente è che il 26 marzo 2007 presso il congresso europeo per la prima volta si è parlato delle deportazione e genocidio degli assiri caldei da parte dei turchi nella fine 1800 primi 1900, chi la fa l’aspetti.
Duplicità delle profezie, ancora più semplice da vedersi in Daniele nel capitolo quattro in toto, in base ai sette tempi.
Inoltre Gesù Cristo, Dio scelto nell’assemblea degli dei, è Re dei Re e Signore dei Signori, per cui tutti i re sono sottomessi a Io Sono, non solo due.
Per il secondo figlio di Isaia , credo che si possa interpretare differentemente, senza nulla togliere alla logica dello scritto
un saluto
lqsp ssr
I DUE RE CHE SI SOTTOMETTONO ALLA NASCITA DI GESU PER IL PARALLELISMO CON ISAIA SONO I MAGI.
GRAZIE SEMPRE , A VOI EBREI CHE AVETE SOPPORTATO TANTO PER AVER SALVAGUARDATO GLI ORACOLI DEL SIGNORE .