Dalla gioia al cordoglio
[Gli abitanti di] Bet-Shemesh stavano mietendo il grano nella valle. Ed essi alzarono gli occhi e videro l’Arca e gioirono nel vederla (1 Samuele 6:13).
L’inaspettato ritorno dell’Arca in Israele genera grande gioia negli abitanti di Bet-Shemesh, città al confine con la terra dei Filistei. Il quadro lieto di felicità ed esultanza viene però ben presto stravolto:
E [Dio] colpì gli uomini di Bet-Shemesh, perché avevano guardato nell’Arca di HaShem; colpì nel popolo settanta uomini, cinquantamila uomini. E il popolo fece cordoglio, perché HaShem aveva colpito il popolo con una grande calamità (1 Sam. 6:19).
Come dobbiamo interpretare questo tragico accaduto?
Rashi commenta: “A causa della loro gioia, essi agirono con leggerezza, poiché non guardarono [all’Arca] con timore e rispetto”. Radak va oltre e spiega che gli uomini aprirono l’Arca per scorgere il suo contenuto, cosa assolutamente proibita.
Sebbene il racconto generi indubbiamente sgomento, dobbiamo ricordare che la Torah aveva già messo in guardia il popolo da una simile evenienza, come leggiamo in Numeri 4:20: “Non entrino [i Leviti] a guardare neanche per un istante le cose sante [nel Tabernacolo], perché altrimenti morirebbero” (Numeri 4:20).
A quanto pare, Israele continua ad avere un atteggiamento errato nei confronti degli oggetti sacri, questa volta però mostrando superficialità e mancanza di riverenza. A prima vista, sembra che qui avvenga l’inverso di quanto accaduto precedentemente, quando il popolo aveva quasi reso l’Arca un oggetto di idolatria. Eppure, in fondo, anche questo nuovo “peccato” sembra derivare dallo stesso sentimento insano: un amore per gli oggetti sacri svincolato dall’osservanza dei comandamenti.
L’idea biblica del pericolo mortale che si cela dietro le manifestazioni della santità richiede però maggiore approfondimento, per cui rimandiamo al nostro articolo “Morire nel Santuario: lo strano caso di Nadav e Avihù“.
Nella calamità perdono la vita “settanta uomini, cinquantamila uomini”. Cosa significa? Dovremmo forse pensare che ben 50.070 uomini furono coinvolti in questo triste episodio?
Considerando che Bet-Shemesh era all’epoca solo un piccolo villaggio agricolo, Robert Alter afferma che una cifra così alta sarebbe insensata, e ipotizza quindi che il testo originale parlasse solo di settanta vittime, mentre il numero cinquantamila sarebbe stato aggiunto in seguito da qualche scriba per motivi ignoti.
Piuttosto che proporre congetture sulla forma originaria del testo, altri suggeriscono che il numero cinquantamila non si riferisca a coloro che profanarono l’Arca, ma a tutti gli Israeliti che morirono durante la guerra contro i Filistei, tra cui i quattromila caduti nel primo scontro (4:2) e i trentamila fanti uccisi nella battaglia successiva (4:10).
La cifra è posta qui, in maniera criptica, come se la Bibbia intendesse collegare tutte queste vittime con la sciagura che derivò dalla profanazione dell’Arca, poiché in effetti la rovina della nazione per mano dei Filistei scaturì proprio dall’atteggiamento degli Israeliti nei confronti della loro reliquia più sacra.
La rivincita
E Shmuel parlò a tutta la casa d’Israele, dicendo: «Se tornate ad HaShem con tutto il vostro cuore, togliete da mezzo a voi gli dèi stranieri e le Astarti e tenete il vostro cuore fermo in HaShem e servite soltanto Lui, allora Egli vi libererà dalle mani dei Filistei» (1 Sam. 7:3).
Shmuèl, che da tempo era sparito dalla narrazione, ricompare ora per fornire a Israele il rimedio al male dilagante e all’oppressione per mano dei nemici. Grazie all’autorevolezza che ha ottenuto nel corso degli anni, il profeta può indicare al popolo la soluzione spirituale alle sciagure narrate nei capitoli in cui egli era assente.
Gli Israeliti, guidati ora da Shmuel, si radunano a Mitzpah per pregare e ammettono di aver peccato. Oltre a bandire gli idoli, sembra che Shmuel ristabilisca anche la giustizia sociale, come suggerisce la frase “E Shmuel giudicò il popolo a Mitzpah” (7:6).
Ma i Filistei ne approfittano e si preparano a sferrare un nuovo attacco. Come reagirà la nazione questa volta? Andrà forse a prendere nuovamente l’Arca, o si servirà di qualche altro trucco superstizioso? Niente di tutto ciò:
I figli d’Israele dissero a Shmuel: «Non cessare di gridare per noi ad HaShem, il nostro Dio, perché ci salvi dalle mani dei Filistei!» (7:8).
La frase rievoca ciò che gli Israeliti avevano detto in precedenza: “Andiamo a prenderci l’Arca del Patto […], perché venga in mezzo a noi e ci salvi dalle mani dei nostri nemici” (4:3). L’unica differenza è che, questa volta, colui che salva è Dio, non più l’Arca. Un cambio di soggetto da cui nasce una svolta grandiosa:
E HaShem gridò con grande voce contro i Filistei e li sconvolse (7:10).
Anche queste espressioni, che probabilmente alludono in modo poetico a dei forti tuoni che fanno tremare il campo di battaglia, ci ricordano quanto era avvenuto in passato: “Non appena l’Arca del Patto di HaShem giunse all’accampamento, tutto Israele gridò con grande clamore e la terra fu sconvolta” (4:5). In quel caso, era il popolo ad aver gridato, in preda a un vano entusiasmo a cui era seguita la sconfitta. Ora, invece, il clamore è prodotto da HaShem, che fa tremare i Filistei per vendicare Israele.
Per sottolineare ulteriormente il parallelismo-contrasto tra questa nuova battaglia e l’umiliazione passata, il testo ci narra che “Shmuel prese una pietra, la pose tra Mitzpah e Shen e la chiamò Even HaEzer (“pietra dell’aiuto”) , e disse: «Fin qui ci ha aiutato HaShem»” (7:12).
Even HaEzer era però già il nome di un altro luogo, molto più a nord, in cui gli Ebrei si erano accampati prima di affrontare i Filistei (4:1), e proprio lì avevano espresso il disastroso proposito di portare l’Arca sul campo (4:3). Un nome associato all’infamia diviene ora un nome di vittoria che esalta la nuova condizione di Israele. Per merito del suo nuovo leader, il popolo ha infatti sperimentato la potenza del ravvedimento e ha imparato a confidare in Dio con cuore sincero.
E’ certo, che l’Arca aveva relazione con la presenza di HaShem e questo, richiedeva che le venissero mostrati dovuto rispetto e grandi attenzioni. Infatti, non per niente quando l’Arca si accingeva a partire o quando si fermava, Moshè pronunciava parole di lode e preghiera ad HaShem. (Nu 10:35. 36) . Ovviamente l’Arca non era però un talismano, e la sua presenza di per sé, non garantiva il successo in battaglia. E’ chiaro che la benedizione di HaShem e la vittoria in guerra, dipendeva dalla spiritualità e dalla fedele ubbidienza ai comandi di coloro che erano in possesso dell’Arca. Ancor di più ora con Samuel che è shofetim (condottiero+giudice), profeta e sacerdote appartenente alla tribù di Efraim, la vittoria è più che garantita.