Una figura tragica
E i Filistei fecero guerra a Israele, e gli uomini di Israele fuggirono dinanzi ai Filistei e caddero trafitti sul monte Ghilboa. E si strinsero i Filistei intorno a Shaul e ai suoi figli, e colpirono [a morte] Yehonatan, Avinadav e Malkishua, figli di Shaul (1 Samuele 31:1-2).
La storia del re Shaul trova in questo capitolo la sua drammatica conclusione. Come era stato predetto dallo spirito del profeta Shmuel, le sorti della guerra si volgono contro Israele, e i figli di Shaul cadono uccisi sul campo di battaglia. Il re, ormai ferito e senza più speranze, prende la sua decisione estrema.
E Shaul disse al suo scudiero: «Sfodera la spada e trafiggimi, prima che vengano quei non circoncisi a trafiggermi e a schernirmi». Ma lo scudiero non volle, perché era troppo spaventato. E Shaul prese la spada e vi si gettò sopra. Quando lo scudiero vide che Shaul era morto, si gettò anche lui sulla sua spada e morì con lui. E morirono insieme in quel giorno Shaul e i suoi tre figli, lo scudiero e tutti i suoi uomini (31:4-6).
La narrazione di questa terribile scena ci mostra quanto Shaul non possa essere ridotto a un tipico personaggio negativo la cui rovina porta sollievo ai giusti. Al contrario, Shaul è una figura tragica che oscilla tra la vocazione divina, la follia, la spietatezza e la ricerca della gloria. Lo sapeva bene Giuseppe Flavio, che commenta il suicidio del re con queste parole:
“…Benché egli sapesse cosa sarebbe accaduto, e che sarebbe morto immediatamente, secondo la predizione del profeta, non decise di fuggire dalla morte, e non arrivò al punto di amare così tanto la vita da tradire il suo stesso popolo a favore del nemico, o di macchiare la sua dignità regale; ma esponendo sé stesso ai pericoli, insieme alla sua famiglia e ai suoi figli, egli pensò che sarebbe stato un atto di coraggio cadere in battaglia con loro […], e che sarebbe stato meglio che i suoi figli morissero in questo modo, mostrando il loro coraggio” (Antichità giudaiche, VI, 340).
Nel concludere il racconto della sconfitta, il testo biblico riporta che gli Israeliti che abitavano le zone vicine al luogo della battaglia “abbandonarono le loro città e fuggirono, e i Filistei vennero e vi si stabilirono” (31:7). Questo verso pone in evidenza il grave fallimento di Shaul, in quanto rappresenta il disfacimento di ciò che era avvenuto in passato: “I Filistei furono umiliati e non tornarono più a invadere il territorio d’Israele. […] Le città che i Filistei avevano preso a Israele tornarono a Israele” (7:13-14).
Malgrado questo quadro altamente negativo, il testo ci dimostra subito dopo che le azioni virtuose compiute da Shaul all’inizio della sua carriera non hanno perso del tutto il loro valore. Gli abitanti di Yavesh-Ghilad, che Shaul stesso aveva salvato dalla minaccia del re di Ammon, intervengono infatti con coraggio per recuperare i corpi del re e dei suoi figli, che erano stati decapitati e appesi pubblicamente dai Filistei in segno di oltraggio (31:8-13).
Rav Amnon Bazak commenta così questo episodio:
“La gente di Yavesh-Gil’ad ricordava la benevolenza di Shaul, quando egli era stato l’unico che era riuscito a far scendere in campo la nazione per aiutarli nelle loro difficoltà, al tempo in cui Nachash l’Ammonita era insorto contro di loro (cap. 11). […] Alla fine, Shaul meritò di essere sepolto in una tomba ebraica, e in suo onore si svolse persino una shiva [periodo di sette giorni di lutto] e furono osservati digiuni per la sua morte”.
Come morì veramente Shaul?
Abbiamo appena letto di come Shaul, ferito e sull’orlo della disfatta, si sia tolto la vita gettandosi sulla propria spada. Il capitolo successivo (la divisione del libro di Samuele in due parti non ha fondamento nel testo ebraico), attraverso le parole di un giovane che si presenta al cospetto di David con la veste stracciata, ci racconta però qualcos’altro:
Il giovane che recava la notizia disse: «Ero capitato sul monte Ghilboa ed ecco, Shaul era appoggiato alla lancia ed ecco, i carri e i cavalieri lo inseguivano. Egli si è voltato indietro, mi ha visto e mi ha chiamato. Gli ho detto: Eccomi! Egli mi ha chiesto: Chi sei tu? Gli ho detto: Sono un Amalekita. Mi ha detto: Alzati sopra di me e uccidimi: l’agonia è su di me, ma la vita è ancora tutta in me. Io mi sono alzato sopra di lui e l’ho ucciso, perché sapevo che non sarebbe sopravvissuto alla sua caduta. Poi ho preso la corona che era sul suo capo e la catenella che aveva al braccio e li ho portati qui al mio signore» (2 Sam. 1:6-10).
Come morì dunque Shaul? Si tolse la vita da solo oppure fu ucciso da un Amalekita incontrato “per caso” sul campo di battaglia?
In questo caso, risolvere la presunta contraddizione è molto facile: Il primo racconto descrive ciò che accadde realmente, mentre il secondo riporta la versione inventata dall’Amalekita il quale, in linea con l’indole predatoria e codarda della sua nazione, dichiara di aver ucciso il re nella speranza che David lo ricompensi per aver eliminato il suo rivale. David, invece, inorridisce e lo fa subito condannare a morte (1:14-16). Questa è l’interpretazione adottata da Ralbag, Abravanel e molti studiosi moderni.
In alternativa, come suggeriscono Giuseppe Flavio e Radak, si può immaginare che Shaul abbia tentato di togliersi la vita con la sua spada, ma non essendoci riuscito, si sia rivolto al giovane Amalekita per ricevere il colpo di grazia. Il secondo racconto sarebbe dunque da intendere come il completamento del primo.
Avendo però esaminato la storia di Shaul fin dall’inizio, siamo portati a credere che vi sia qualcosa di più profondo e complesso in questa apparente incongruenza narrativa.
In alcuni dei nostri articoli precedenti abbiamo infatti notato come l’intera biografia del primo re d’Israele sia all’insegna della duplicazione e della contraddizione, a partire dal passaggio alla monarchia, che è presentato dapprima come una richiesta peccaminosa del popolo (cap. 8), e poi come una scelta misericordiosa di Dio, il quale decide di suscitare Shaul per liberare Israele (cap. 9).
Allo stesso modo, Shaul è rigettato da Dio due volte, a causa di due peccati differenti (cap. 13; cap. 15); ed entra in contatto con David in due modi diversi: prima convocandolo alla sua corte come musicista e scudiero (cap. 16), e poi chiedendo informazioni sul suo conto dopo la sconfitta di Goliat (cap. 17).
La “doppia morte” di Shaul sembra quindi rientrare in questo schema di duplicazioni in apparenza problematiche e superflue, ma che ci rivelano in realtà la ricchezza e la complessità di una storia che si sviluppa secondo due prospettive differenti ma in fondo complementari.
La Dr. Yael Ziegler spiega in proposito che la rovina del regno di Shaul rappresenta il fallimento di questo sovrano nella lotta alle due tendenze negative che egli era stato chiamato a sradicare per redimere Israele.
La prima di queste tendenze è la “mentalità delle armi” incarnata dai potenti e militarmente avanzati Filistei, coloro che detenevano il controllo sul ferro nella regione (1 Sam. 13:19-20), disponevano di un esercito immenso (13:5) e avevano il temibile e ben equipaggiato Goliat come loro rappresentante.
Al contrario di David, che davanti a Goliat dichiara “HaShem non salva per mezzo della spada e della lancia” (17:47), Shaul non ha una fede così forte, e trema dinanzi alla superiorità militare dei Filistei, perdendo per la prima volta il favore divino proprio combattendo contro questo popolo. È dunque molto significativo che il primo racconto della sua morte lo veda soccombere sulla sua stessa spada, vittima di quella cultura delle armi che lo ha condotto alla rovina.
La seconda tendenza contro cui Shaul non riesce a vincere è quella della brutale ricerca del vantaggio personale rappresentata, come abbiamo visto, dai vili Amalekiti. È a questa mentalità che Shaul cede quando risparmia la vita del re di Amalek, non per clemenza ma per glorificare sé stesso, e allo stesso scopo tiene per sé la parte migliore del bestiame dei nemici (15:9-11). Ecco allora perché la sua “seconda morte” avviene proprio per mano di un Amalekita che prova a trarre vantaggio da lui, sottraendogli la corona.
La Bibbia, che non è un’opera storiografica ma una guida morale, non vuole quindi raccontarci come morì realmente Shaul, bensì per quale motivo egli morì, mostrandoci la caduta del primo re del popolo ebraico dinanzi al militarismo filisteo e alla disumanità amalekita, in attesa che un altro re possa porre rimedio a questo tracollo e fondare un nuovo modello di nazione ispirata a valori più elevati.