Perché Isacco non poteva benedire entrambi i suoi figli?

Quando udì le parole di suo padre, Esav diede un grido forte e amarissimo. E disse a suo padre: «Benedici anche me, padre mio!». E Yitzchak rispose: «Tuo fratello è venuto con inganno e si è preso la tua benedizione» (Genesi 27:34-35).

Il grido amareggiato di Esàv (Esaù) arriva da millenni al cuore dei lettori della Genesi, che vedono affiorare in questa famosa scena l’animo ferito di un figlio divenuto vittima di un inganno.

La vicenda è nota: Yitzchàk (Isacco), ormai anziano e cieco, temendo l’imminenza della morte, decide di impartire una benedizione al suo primogenito Esav. L’altro figlio, Yaakòv (Giacobbe), attuando una messa in scena architettata da sua madre, approfitta della situazione ed entra nella tenda del padre fingendo di essere suo fratello. Yitzchak si ritrova così a benedire inconsapevolmente Yaakov. La benedizione recita:

Ti dia Elohim (Dio) la rugiada del cielo e la ricchezza della terra e gran quantità di frumento e vino. Ti servano i popoli e si prostrino a te le nazioni. Sii padrone dei tuoi fratelli, e si prostrino a te i figli di tua madre.  Maledetto chiunque ti maledice, benedetto chiunque ti benedice! (27:28-29).

Quando poi l’inganno viene alla luce, l’affranto Esav chiede al padre: “Hai tu forse una sola benedizione? Benedici anche me!” (27:38). Yitzchak, allora, gli predice un destino molto diverso da quello sperato, prospettandogli scarsità di risorse invece di prosperità, e sudditanza invece di dominio:

Ecco, lontana dalla ricchezza della terra sarà la tua dimora, e dalla rugiada dall'alto del cielo. Con la tua spada vivrai, e di tuo fratello sarai servo; e avverrà che, quando ti ribellerai, spezzerai il suo giogo dal tuo collo (27:39-40).

Uno degli interrogativi più immediati che sorgono da questo racconto riguarda l’aspetto etico: come si dovrebbe giudicare il comportamento di Yaakov, che ricorre al camuffamento e al raggiro? Di questo abbiamo già parlato in un nostro vecchio articolo intitolato “Cronache di una benedizione sottratta“, e nel nostro ultimo commento alla parashah di Toledot.

Esiste tuttavia un’altra domanda, fondamentale ma tutt’altro che scontata, che non è possibile ignorare: perché Yitzchak aveva in serbo una sola benedizione? Non poteva forse benedire entrambi i figli con parole ugualmente positive, invocando una sorte favorevole sia per Esav che per Yaakov? In particolare, dopo aver scoperto l’inganno, perché il padre non ha benedetto anche Esav con parole simili?

Il comportamento di Yitzchak può apparire davvero illogico se immaginiamo di trasferire la scena narrata in un contesto più familiare. Ancora oggi, esiste infatti tra gli Ebrei l’usanza di benedire i propri figli, durante lo Shabbat e le festività. Secondo tale tradizione, i genitori pronunciano su ciascuno dei bambini la stessa formula, chiedendo a Dio di donare loro grazia e protezione.

Immaginiamo allora che, in una di queste liete occasioni, dopo aver benedetto il primo figlio, un padre si rifiuti di fare lo stesso con il secondo, e gli impartisca persino una benedizione sfavorevole, più simile a una maledizione. Ciò risulterebbe assurdo e crudele, eppure è esattamente quanto la Bibbia sembra raccontarci in questo brano.

Per tentare di fare chiarezza sul nostro interrogativo dobbiamo tornare un po’ indietro e comprendere prima di tutto come si debbano intendere in generale le vicende dei padri del popolo ebraico, e che cosa siano realmente le benedizioni secondo la Torah. Seguendo questo percorso, riusciremo a capire meglio non solo il racconto in questione, ma anche alcuni concetti biblici di importanza centrale.

I patriarchi: individui o nazioni?

Quando il Libro della Genesi ci racconta le storie di uomini illustri vissuti in epoche remote, molti di questi protagonisti non sono in realtà semplici individui del passato, ma personificazioni di popoli o di grandi comunità umane. Notiamo ciò a cominciare da Adàm, il primo uomo, che come ci suggerisce il suo eloquente nome (che significa “essere umano”), rappresenta tutti noi, la nostra natura, l’intera umanità.

Man mano che il racconto prosegue e le generazioni si susseguono, dall’unità originaria del genere umano (Adam) si passa a segmenti sempre più specifici di umanità: la società sedentaria degli agricoltori (Kayin / Caino) contrapposta a quella nomade dei pastori (Hevel / Abele); la divisione degli uomini in arti e mestieri (i figli di Kayin, inventori e innovatori), fino ad arrivare ai tre figli di Noach (Noè), Shem, Cham e Yefet, che corrispondono ai tre rami del genere umano che diedero origine ai popoli della terra.

Ciò è reso evidente dai nomi dei loro discendenti, elencati in Genesi 10: tra questi troviamo Yavan (Grecia), Kaftor (Creta), Mitzrayim (Egitto), Kenaan (Canaan), e tanti altri nomi che rimandano in maniera diretta a nazioni, regni o luoghi geografici.

La Genesi ci parla insomma di uomini e di rapporti di parentela tra padri, figli e fratelli per riferirsi allo sviluppo di antiche società e popolazioni. Robert Alter spiega in proposito che il testo biblico utilizza l’immagine e il linguaggio della famiglia come metafore per i rapporti storici che legano le diverse civiltà.

Ciò si applica anche a Yaakov ed Esav, definiti fin dal grembo materno come “due nazioni” (25:23). In loro si deve riconoscere la personificazione di due popoli confinanti ed eternamente rivali: Israele e Edom.

In un altro articolo abbiamo già mostrato come persino le caratteristiche fisiche e le attitudini personali di Esav riflettano le peculiarità del paese di Edom e dei suoi antichi abitanti: Esav è “rosso”, la terra degli Edomiti è ricca di rocce rossastre; Esav è peloso (se’ar), il monte dove gli Edomiti si stabilirono era ricoperto di vegetazione e fu perciò chiamato “peloso” (Se’ir).

Questo non significa necessariamente che Yaakv ed Esav siano da intendere come pure allegorie e non come individui reali. È invece ragionevole credere che gli Israeliti li ritenessero entrambi personaggi storici, seppure la Torah mescoli le loro vicende personali con quelle delle nazioni che da loro discendono.

Non si può quindi giungere a una vera comprensione delle storie dei patriarchi e dei loro figli senza tenere conto del fatto che esse sono spesso lo specchio di avvenimenti nazionali che coinvolgono interi popoli.

Che cos’è una benedizione

Le benedizioni (berakhòt) che troviamo nella Genesi riguardano essenzialmente tre aspetti:

  • La prolificità, dunque una discendenza numerosa.
  • Il possesso di una terra.
  • L’autorità su qualcun altro.

Ciò si può notare già dalla prima benedizione riportata nella Torah, cioè quella che il Creatore impartisce al genere umano con le seguenti parole:

Siate fecondi e moltiplicativi, riempite la terra e conquistatela, e abbiate il dominio sui pesci del mare e sui volatili del cielo, e su ogni essere vivente che si muove sulla terra (Genesi 1:28).

Qui possiamo subito individuare tutti gli elementi che costituiscono una benedizione: all’umanità è concessa la facoltà di riprodursi in gran numero, è assegnato il possesso di un territorio (in questo caso tutta la terra) ed è riconosciuta l’autorità sulle altre specie viventi. Non manca davvero nulla.

Anche la benedizione donata più tardi al patriarca Avraham (Abramo) appare completa. Dio gli promette infatti una discendenza molto numerosa, una terra da possedere, nonché la vittoria sui nemici e un “grande nome” fra le nazioni.

Ci sono però dei casi in cui una benedizione deve essere “spartita” tra più individui (o popoli). In questo caso, i tre elementi essenziali possono essere disgiunti e distribuiti tra i vari beneficiari. È ciò che avviene al termine della vita di Yaakov, quando egli benedice i suoi dodici figli (che rappresentano le dodici tribù d’Israele) preannunciando il loro avvenire.

L’elemento dell’autorità viene in questo caso assegnato a Yehudah (Giuda), al quale Yaakov dice: “A te si prostreranno i figli di tuo padre” (49:8) e “Non sarà rimosso lo scettro da Yehudah” (49:10).

L’elemento della prolificità è associato invece a Yosef (Giuseppe), chiamato “germoglio di ceppo fecondo” (49:22). Su di lui sono perciò invocate “benedizioni delle mammelle e del grembo” (49:25).

Per quanto riguarda il possesso della terra, tutti i fratelli ricevono una propria porzione del territorio di Kenaan, ognuna indicata dalle sue caratteristiche tipiche, come la vite e il latte per i floridi pascoli di Yehudah, le coste e i traffici di navi per Zevulun, l’abbondanza di pane per Asher.

Fanno eccezione Shimon e Levì, esclusi da tale benedizione a causa della loro violenza e perciò “distribuiti in Israele” (49:7), ovvero privati di un proprio territorio indipendente.

Ci avviciniamo così a comprendere in maniera più accurata e profonda il significato dell’episodio della benedizione di Yitzchak e dell’inganno ai danni di Esav.

Il testamento di Yitzchak

Torniamo per un attimo ad Avraham. Come sappiamo, il primo patriarca aveva ricevuto da Dio la promessa di una terra per i suoi discendenti. Questa terra, tuttavia, comprendeva un’area più estesa di quella in cui in seguito si sarebbero insediati gli Israeliti (il paese di Kenaan, compreso tra il Giordano e il Mediterraneo).

Dio aveva infatti promesso ad Avraham l’intero territorio occupato all’epoca da varie popolazioni: Cananei, Amorrei, Keniti, Refaim, Kenizziti e altri.

Sebbene i confini riportati nel testo non siano per nulla precisi, sappiamo che alcune di queste nazioni risedevano interamente o almeno in parte al di fuori di Kenaan: gli Amorrei avevano le loro città più potenti a est del Giordano (Numeri 21:21-31); i Keniti sono associati al “paese di Midian”, nell’Arabia occidentale; anche i Kenizziti vivevano probabilmente in Arabia, mentre i Refaim erano collocati, secondo il Deuteronomio (2:9-11; 18-20), in alcune zone della Transgiordania.

Prima della nascita di Yitzchak, Avraham aveva però già ceduto una parte di questo vasto territorio ad alcuni suoi parenti o discendenti: il nipote Lot aveva scelto per sé “tutta la pianura del Giordano” (Genesi 13:10), regione poi riconosciuta dalla Torah come “eredità dei figli di Lot” (Deut. 2:9), ossia Moabiti e Ammoniti.

Il primo figlio di Avraham, Ishmaèl (Ismaele), aveva ottenuto il diritto di abitare “di fronte ai suoi fratelli” (Genesi 16:12). Insieme ai figli di Keturah, egli si stabilì con la sua stirpe in Arabia.

Di quella che era la terra promessa originaria rimaneva quindi soltanto la parte più ambita, la Terra di Kenaan, scelta da Dio per essere trasmessa nella sua interezza all’erede del “Patto della circoncisione” (17:8), ma anche la zona meridionale compresa tra l’Arabia e la Transgiordania, una terra prevalentemente arida.

Una volta divenuto anziano, Yitzchak comprende che è giunto il momento di dividere questa eredità tra i suoi due figli. Dal momento che Esav era da sempre il suo prediletto, egli ritiene giusto affidargli la parte migliore, “la rugiada del cielo e la ricchezza della terra”, nonché la benedizione del dominio. L’altro figlio, Yaakov, avrebbe così ottenuto un suolo arido e avrebbe ricoperto un ruolo subalterno rispetto al fratello.

Da un certo punto di vista, il piano di Yitzchak non sembrava irragionevole: in fondo, Esav era un abile cacciatore, e la caccia era spesso ritenuta nel mondo antico l’arte dei sovrani e dei conquistatori, come il potente Nimrod. Il più introverso e pacifico Yaakov non appariva invece idoneo a detenere tanta autorità.

Possiamo dunque affermare che Yitzchak non volesse soltanto benedire i suoi figli (come qualsiasi genitore ebreo fa ancora oggi). Piuttosto, il suo intento era stipulare ufficialmente il proprio testamento.

Quando Yaakov si aggiudica la benedizione con il suo stratagemma, a Esav non resta allora che ricevere l’unica parte residua di eredità, la regione di Edom, e diventare “servo” di suo fratello.

Tuttavia il volere di Dio, secondo la Torah, fa sì che Yaakov subisca le dure conseguenze del proprio atto. Il patriarca entrerà infatti in possesso dei diritti da lui acquisiti con l’inganno soltanto dopo essersi dimostrato davvero degno della benedizione.

Di fatto, egli dovrà prima essere ingannato a sua volta (dallo zio Lavan) e inchinarsi umilmente davanti a Esav, riconoscendolo come suo signore (32:4), prima che le promesse divine possano adempiersi per lui e per la sua stirpe.

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