Esaù ci insegna come leggere la Genesi

Il Libro della Genesi (Berehshìt) si presenta in gran parte come l’avvicendarsi di storie di individui e di nuclei familiari che vivono eventi a volte drammatici (violenze, inganni, rivalità), a volte grandiosi (miracoli, rivelazioni divine), ma anche apparentemente ordinari (matrimoni, migrazioni).

L’idea che dietro queste storie si celino significati profondi, insegnamenti morali o persino concetti esoterici è condivisa da molti lettori della Bibbia.

Ma come dovremmo interpretare i racconti dei patriarchi e delle loro famiglie? Quali indizi ci fornisce il testo per vedere nelle loro vicende qualcosa in più di semplici  (per quanto singolari) biografie di uomini del passato?

In questo articolo vogliamo proporvi una chiave di lettura illuminante concentrandoci in particolare su un personaggio che, nonostante non possa essere considerato uno dei protagonisti principali della Genesi, non ha di certo un ruolo marginale. Stiamo parlando di Esàv (Esaù), il fratello gemello del patriarca Yaakòv (Giacobbe).

“Due nazioni nel tuo grembo”

«Due nazioni sono nel tuo grembo, e due popoli dalle tue viscere si separeranno. E un popolo sull’altro preverrà, e il maggiore servirà il minore» (Genesi 25:23).

Questo oracolo, ricevuto da Rivkàh (Rebecca) da parte di Dio, preannuncia poeticamente il destino dei due gemelli che si agitano nel grembo della madre. La profezia non parla però di questi bambini come di due individui, ma li chiama esplicitamente shenè goyìm (“due nazioni”).

Ciò che viene rivelato a Rivkah non è semplicemente il futuro dei suoi figli, ma la storia dei popoli che da essi discenderanno, ossia Israele e Edom.

Nonostante il linguaggio poetico, il senso primario del messaggio è alquanto chiaro: colui che sarà sconfitto nel grembo (poiché uscirà per secondo) alla fine prevarrà sul primogenito.

Siamo davanti a una sovversione dell’ordine cronologico di nascita e dell’antica regola della superiorità del primogenito, un tema ricorrente nella Genesi. Ma in che modo questo oracolo rispecchia la storia delle due nazioni di Esav e Yaakov? Nel suo Commentario alla Genesi (JPS), Nahum Sarna spiega:

“In termini storici,  l’anzianità di Esav si riflette nel fatto che egli riuscì a stabilire un regno prima di Israele, come riportato in Genesi 36:31 (“Questi sono i re che regnarono nel paese di Edom, prima che regnasse un re degli Israeliti”); la supremazia di Yaakov trova invece espressione nella schiacciante vittoria di David su Edom”.

Rosso e peloso

Quando venne per lei il tempo di partorire, ecco che ella aveva in grembo due gemelli. E il primo che uscì fuori era tutto rosso, [ed era] come un mantello peloso, e lo chiamarono Esav. E dopo uscì suo fratello, che con la mano teneva il calcagno di Esav, e lo chiamarono Yaakov (25:24-26).

Generalmente, la Bibbia ebraica non ci riporta alcuna descrizione dell’aspetto fisico dei suoi protagonisti. Il fatto che il testo qui si dilunghi nell’attribuire a Esav due caratteristiche esteriori richiede certamente una spiegazione.

È bene ricordare che l’aspetto peculiare di Esav ricoprirà una certa rilevanza nel racconto successivo del “furto della benedizione”. Tuttavia, in questo brano, entrambe le caratteristiche del primogenito hanno un significato ancora più importante, nel contesto della profezia sulla lotta tra le due nazioni.

Leggendo il testo in lingua originale è possibile cogliere allusioni che inevitabilmente scompaiono nelle traduzioni. “Rosso”, in ebraico, è admonì, termine che richiama Edòm: il nome del popolo degli Edomiti significa infatti  proprio “rosso”.

Dal punto di vista storico, questo nome non deriva dall’aspetto fisico del progenitore della nazione, né dalla “minestra rossa” che Esav acquistò in cambio della primogenitura; piuttosto, si ritiene che esso si riferisca al colore rossastro delle rocce dell’antica terra di Edom, che oggi è parte della Giordania.

In altre parole, non è realmente Esav che ha dato il nome “rosso” ai suoi discendenti: questo nome ha avuto invece ben altra origine[1].; il teso biblico, tuttavia, chiama “rosso” il capostipite della nazione edomita per presentarlo come un emblema (o una “prefigurazione”) del popolo di Edom.

Anche il termine “peloso”, in ebraico se’ar, rappresenta una chiara allusione al Monte Seir, la regione montuosa in cui la Genesi narra che Esav si stabilì (32:3), e che storicamente fu la patria degli Edomiti (Deut. 2:4-5). Questa regione era infatti chiamata “pelosa” per la vegetazione ispida che un tempo la ricopriva. È interessante notare allora che l’aspetto fisico di Esav rifletta le caratteristiche tipiche della terra della nazione di Edom.

Esav il cacciatore

I ragazzi crebbero ed Esav divenne un esperto cacciatore, un uomo del campo, e Yaakov era un uomo semplice, che risiedeva nelle tende (25:27).

La storia continua: proprio come Caino e Abele, anche i due gemelli scelgono occupazioni opposte. Esav è un cacciatore – mestiere prima d’ora praticato solo dal conquistatore mesopotamico Nimrod -, mentre Yaakov “risiede nelle tende” espressione che indica la vita pastorale (vedi Genesi 4:20). Ricorriamo anche in questo caso al commento di Nahum Sarna:

“La descrizione di Esav come un cacciatore e come ‘uno che vive della propria spada’ (27:40) rispecchia una fase molto antica della storia di Edom, un tempo in cui questa tribù praticava ancora la caccia per necessità economica e non aveva ancora stabilito una monarchia. Questo periodo arcaico si riflette nella natura del dio nazionale degli Edomiti, Qaus, il cui nome in arabo significa ‘arco’. Egli era originariamente il dio della caccia e della guerra”.

In contrapposizione a Esav, Yaakov si dedica alla pastorizia, l’attività che caratterizzava la vita seminomadica del popolo ebraico alle sue origini (47:3). È significativo che, interpretando questo verso in maniera alquanto anacronistica, i Maestri del Midrash abbiano “attualizzato” la descrizione di Yaakov applicandola all’occupazione tipica del popolo ebraico nella loro epoca: in Bereshit Rabbah 63:10 si afferma infatti che l’immagine di Yaakov che abita nelle tende si riferisca al fatto che egli studiava la Torah.

Il matrimonio di Esav

Ed Esav si recò da Ishmael e prese in moglie Machalat, figlia di Ishmael, figlio di Avraham, sorella di Nevaiot, oltre alle mogli che già aveva (28:9).

La scelta di Esav di legarsi alla famiglia di Ishmael (Ismaele), fratello di suo padre Yitzchak, sembra anch’essa rispecchiare una realtà storica relativa al popolo edomita. In un verso del libro dei Salmi (83:6), le “tende di Edom” e gli Ismaeliti sono nominati insieme all’interno di una lista di popolazioni alleate contro Israele. La narrazione del matrimonio di Esav con Machalat potrebbe  essere perciò una sorta di prefigurazione di un legame politico tra la nazione di Edom e gli Ismaeliti.

Chi è dunque Esav, un individuo reale, o piuttosto la personificazione allegorica del popolo di Edom? La domanda sorge spontanea dopo aver notato che questo personaggio viene presentato fin dal grembo materno come “una nazione”, che il suo mestiere corrisponde alla società arcaica degli Edomiti fondata sulla caccia, e che persino il suo aspetto esteriore richiama la regione del Monte Seir.
Sul piano narrativo, Esav è certamente un personaggio individuale, dotato di una sua caratterizzazione complessa e di un’identità personale. Eppure egli è al contempo anche il suo popolo: l’individuo Esav si mescola indistricabilmente con la sua nazione.

Da ciò impariamo che le vicende dei patriarchi dovrebbero essere lette anche (o forse soprattutto) come una rappresentazione narrativa e talvolta allegorica delle storie dei popoli della terra, storie che nella Genesi sono proiettate nel passato e raccontate nella forma di situazioni che coinvolgono personaggi individuali.

La Torah ci illustra quindi lo sviluppo delle nazioni e i legami politici fra i popoli nei termini di rapporti di parentela e di vicissitudini familiari, mostrandoci come in questi avvenimenti si dispieghi a poco a poco il disegno divino che dirige il destino del genere umano[2].

[1] Lo stesso si può dire del nome Bavel (Babele), che la Genesi fa derivare satiricamente da “confusione”, oscurando volutamente il suo reale significato di “porta di Dio”. Anche nel caso di Moshè, il cui nome in lingua egizia significa “figlio”, la Torah crea un nuovo significato ebraico tramite un gioco di parole con il verbo meshitihu (“l’ho tratto [dalle acque]). Le spiegazioni dei nomi che la Bibbia ci presenta non vanno quindi intese come reali etimologie linguistiche.

[2] Ciò appare già chiaramente al capitolo 10 della Genesi, nella genealogia dei figli di Noach (Noè), in cui i nomi elencati corrispondono a quelli delle nazioni note agli antichi Israeliti (esempi: Magog, Grecia, Egitto, Canaan), e in cui i rapporti di parentela sono da intendere come una metafora di alleanze politiche e legami storici. Nei casi di personaggi maggiormente caratterizzati nella loro individualità, come Abramo e Giacobbe, risulta molto più difficile tracciare una linea di confine tra il personaggio-uomo e il personaggio-nazione.

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