Levitico

Scintille di Torah III: Levitico

Scintille di Torah” è la raccolta di brevi commenti alla parashàh (porzione settimanale di Torah/Pentateuco secondo il ciclo di lettura annuale ebraico) che pubblichiamo ogni settimana sui nostri profili Instagram e Facebook.

Di seguito troverete tutti i commenti al Libro del Levitico pubblicati nel 2024.

VAYIKRÀ

E HaShem chiamò Moshè e gli parlò dalla Tenda di Convegno (Levitico 1:1).

Con il brano di questa settimana comincia lo studio del terzo libro della Torah: il Levitico, chiamato in ebraico Vayikrà.

Il testo, che si presenta come una raccolta di rigide norme religiose, è spesso considerato l’esempio di maggiore irrazionalità all’interno della Bibbia, a causa delle leggi apparentemente illogiche e di certo lontane dalla sensibilità moderna in esso contenute.

Nel Levitico troviamo infatti le prescrizioni sui sacrifici in tutti i loro dettagli, disposizioni sulla purità rituale, sui cibi proibiti e su alcune condizioni fisiche considerate impure.

Tuttavia, come nota Rabbi Jonathan Sacks, sarebbe un errore ridurre questo libro a un semplice codice arcaico di leggi incomprensibili: in fondo, è proprio nel Levitico che troviamo alcuni capisaldi dell’Ebraismo e dell’etica universale, come l’imperativo “Ama il tuo prossimo come te stesso”, l’obbligo di rispettare gli stranieri, la proibizione della vendetta, l’esaltazione della libertà contrapposta alla schiavitù, l’esortazione a imitare Dio e altri.

Il Levitico, insomma, è un testo da non sminuire e da non sottovalutare. Questo è il primo passo per provare a comprendere anche i suoi capitoli più oscuri e sforzarsi di trarre da essi una lezione che sia ancora attuale.


TZAV

Questa è la legge dell’offerta di cibo. […] La si mangerà senza lievito nel luogo santo (Levitico 6:14-16).

Nella sua esposizione delle leggi relative ai sacrifici, il Levitico insiste più volte sul fatto che le offerte farinacee presentate dagli Israeliti al Santuario non dovranno contenere lievito (chametz).

Nell’Ebraismo, la proibizione del lievito è ampiamente nota in relazione alla festa di Pesach, la Pasqua ebraica, che nella Torah è chiamata proprio “Festa degli Azzimi” (Chag HaMatzot).

Sull’altare del Tabernacolo, tuttavia, il lievito non è bandito soltanto durante una festività, ma addirittura tutto l’anno. Qual è il motivo di tale divieto?

Il Netziv, nella sua opera HaEmek Davar, risponde a questa domanda spiegando che il lievito rappresenta l’emblema dell’ingegno umano applicato alla manipolazione della natura.

Già nell’antico Egitto, infatti, si ricorreva al fenomeno della lievitazione degli impasti, considerato una vera e propria arte, nonché fonte di grande orgoglio per la civiltà dei faraoni.

Benché la Torah permetta generalmente di mangiare pane lievitato, questo elemento assume un valore negativo nel contesto dei riti del Santuario, il luogo in cui l’orgoglio umano deve annullarsi dinanzi alla devozione per il Creatore. Il lievito, perciò, non può essere ammesso tra le offerte sacre, che sono un’espressione di pura umiltà.


SHEMINÌ

Dite ai figli d’Israele: Tra tutti gli animali della terra, questi sono quelli che voi mangerete: dei quadrupedi, mangerete tutti quelli che hanno lo zoccolo diviso e ruminano (Levitico 11:2-3).

I requisiti che la Bibbia fornisce per identificare gli animali che è permesso mangiare richiedono una spiegazione. Che cosa indicano lo zoccolo diviso e la ruminazione?

Molti lettori sono prevedibilmente condotti a ricercare significati mistici o metaforici in queste caratteristiche. È il caso di alcune fonti kabbalistiche, che interpretano lo zoccolo diviso come il simbolo di determinate qualità spirituali positive.

La realtà sembra essere però molto più concreta: la ruminazione permette ai mammiferi erbivori di digerire al meglio i vegetali, mentre l’unghia divisa garantisce loro maggiore stabilità sui terreni erbosi e li agevola così nella fuga dai predatori.

Potremmo dire quindi, come notano Rav Yoel Bin-Nun e altri studiosi, che queste due caratteristiche rappresentano i tratti distintivi degli erbivori mansueti, il bestiame dei pascoli, le specie meno inclini a uccidere altri animali per cibarsene.

La Torah, che vieta di nutrirsi di sangue e di carcasse di bestie sbranate (Genesi 9:4; Esodo 22:32), va anche oltre nel suo rispetto per la sacralità della vita e bandisce dalla dieta degli Israeliti qualsiasi carnivoro o predatore.


TAZRIA

Quando una donna sarà rimasta incinta e partorirà un maschio, sarà impura per sette giorni (Levitico 12:2).

Nelle culture del Vicino Oriente antico, si credeva generalmente che il parto avesse un impatto spirituale negativo sulla donna: dopo aver dato alla luce un figlio, si riteneva che la madre fosse sotto l’influenza di forze malefiche, demoni che potevano nuocere a lei e al nuovo nato.

Questa credenza non è del tutto arbitraria, ma deriva dal pericolo potenzialmente altissimo che il parto ha sempre comportato per la salute della madre e del bambino.

Per contrastare tali forze negative, gli antichi ricorrevano spesso a rituali specifici volti a liberare la donna e il neonato dalle energie demoniache.

La Torah, scritta in un’era in cui simili credenze erano molto diffuse, introduce importanti innovazioni: secondo le leggi del Levitico, dopo il parto, la donna contrae uno stato di “tumah” (impurità) che non le permette di accedere al Santuario e offrire sacrifici. In questo modo, la possibilità di praticare riti pagani contro spiriti malefici (di cui, tra l’altro, la Torah non parla affatto) è del tutto esclusa.

La madre è chiamata comunque a recarsi al Santuario e a presentare delle offerte sacrificali, ma soltanto dopo il periodo che segue il parto. Questi riti, essendo effettuati quando la donna è già “fuori pericolo”, assumono così un significato del tutto diverso rispetto alle pratiche dei popoli vicini. Rabbi Moshe Shammah nota in proposito che la Bibbia ha trasformato delle forme di esorcismo e scongiuro in atti di gratitudine e devozione.


METZORÀ

Questa sarà la legge del lebbroso per il giorno della sua purificazione (Levitico 14:1).

Nel post precedente abbiamo parlato di come la Torah, con le sue norme di purificazione, si opponga alle credenze sulle forze demoniache che secondo alcuni popoli antichi colpivano le donne dopo il parto.

Il brano di questa settimana è incentrato su un’altra forma di impurità, quella legata alla misteriosa patologia cutanea denominata “tza’arat”. Anche in questo caso, il Levitico prevede una serie di offerte e procedure che colui che era già guarito da tale malattia era chiamato a eseguire per poter essere “purificato”.

Nel Vicino Oriente antico, riti e cerimonie talvolta simili a quelli prescritti dalla Torah erano comunemente praticati per liberare gli uomini dalle influenze malefiche considerate la causa delle malattie. Attraverso l’uso di oggetti magici e incantesimi, questi spiriti venivano scacciati e rispediti nel loro mondo tenebroso, che era il mondo dei morti.

La Bibbia propone una propria versione di questi rituali, da cui manca tuttavia l’elemento che altrove era invece fondamentale: i demoni. Tali entità sovrannaturali non sono mai menzionate nelle leggi bibliche, che non attribuiscono ad alcuno spirito malvagio la facoltà di far insorgere malattie e altre condizioni fisiche.

Come abbiamo già osservato nel caso del parto, la Torah si serve di tradizioni e usanze delle nazioni vicine e le svuota dei loro significati politeistici e superstiziosi per infondere in esse un senso nuovo, privando gli Israeliti dell’illusione di poter controllare forze invisibili e nemiche degli esseri umani.


ACHARÈ MOT

E Aharon porrà le mani sulla testa del capro vivo, confesserà sopra di esso tutte le iniquità dei figli d’Israele, tutte le loro trasgressioni […]; poi, per mano di un uomo incaricato di ciò, lo manderà via nel deserto (Levitico 16:21).

Nei nostri ultimi commenti alla parashah settimanale, ci siamo soffermati su come la Torah abbia rivoluzionato il concetto di “purificazione”, sradicando le credenze sulle forze demoniache che gli antichi associavano alle malattie e al parto.

Un discorso simile può essere applicato anche al rito del capro espiatorio, uno degli elementi centrali della celebrazione biblica di Yom Kippur (“Giorno di Espiazione”).

Pure in questo caso, il rituale prescritto dalla Torah ricorda alcune tradizioni già diffuse in precedenza in altre nazioni: oggi sappiamo che i Babilonesi e gli Ittiti eseguivano una cerimonia che consisteva nel far uscire un capro verso le campagne disabitate, immagine simile a quella che troviamo in Levitico 16.

Lo scopo del rito, secondo le religioni di questi popoli, era però legato al bisogno di allontanare la sfortuna e le disgrazie: si credeva infatti che il capro portasse con sé tutte le influenze negative e le conducesse lontano dalla civiltà.

Contrapponendosi a queste forme di esorcismo (volte a respingere i demoni responsabili delle sciagure), la Torah trasferisce l’idea di espiazione sul piano morale: il capro inviato nel deserto diviene l’espressione del rifiuto delle colpe e delle trasgressioni, senza alcun richiamo a forze spirituali indipendenti e maligne.

Eppure, malgrado il testo biblico si faccia portavoce di una simile rivoluzione, le credenze relative ai demoni e alle loro influenze non sono scomparse. Esse sopravvivono ancora oggi anche all’interno delle fedi monoteistiche, soprattutto nel folklore e nelle correnti ebraiche e cristiane più mistiche.

Ciò dimostra senza dubbio quanto il timore del male metafisico, insieme al potere suggestivo della magia, sia in definitiva insito nell’animo umano.


KEDOSHIM

Nella parashah di questa settimana è espressa la solenne esortazione divina rivolta agli Israeliti: “Sarete santi per me, poiché io, HaShem, sono santo, e vi ho separati dagli altri popoli affinché siate miei” (Levitico 20:26).

Ma che cosa significa “santo”? Oggi questo termine, insieme a “sacro” o “sacrosanto”, è usato comunemente per indicare qualcosa di spiritualmente elevato, venerabile o legato alla religione.

Nel linguaggio biblico, questa parola ha un significato più preciso e si riferisce a ciò che è “separato” e dedicato a un uso esclusivo.

Quando ad esempio la Torah ordina che nessuno, eccetto i sacerdoti, mangi la carne e il pane dei sacrifici di espiazione poiché si tratta di “cose sante” (Esodo 29:33), il senso è che questi cibi sono dedicati a un unico scopo, e non possono quindi essere consumati come del cibo comune.

Il Tabernacolo (o il Tempio) è definito “luogo santo” in quanto distinto dalle dimore degli Israeliti e designato esclusivamente come sede della gloria divina fra gli uomini.

Il popolo ebraico è dunque chiamato “santo” poiché, come spiega anche il verso citato all’inizio, è stato separato dalle altre nazioni in quanto stirpe dedicata al servizio divino.

È facile comprendere allora in che senso una persona, un luogo o un oggetto possano essere considerati “santi”. Con quale significato però lo stesso termine viene applicato a Dio? Cosa intende dire HaShem quando afferma “…poiché io sono santo”?

La santità di Dio va intesa come la qualità del Creatore che lo rende radicalmente distinto da tutto ciò che esiste nel mondo materiale, rappresentando una realtà unica nel suo genere. Nella concezione biblica, la Divinità è qualcosa di “altro”, una dimensione incomparabile che solo attraverso il rispetto di norme dette appunto di “santificazione” è possibile accogliere nel mondo delle creature.


EMOR

E HaShem disse a Moshè: Parla ai sacerdoti, i figli di Aharon, e di’ loro: Nessun sacerdote si contaminerà per un morto in mezzo al suo popolo” (Levitico 21:1).

In molte religioni, nell’antichità come ai nostri giorni, ai sacerdoti è sempre stato assegnato il compito di seppellire i morti, condurre i riti funebri e fare talvolta da tramite nei contatti tra il mondo dei vivi e l’aldilà.

Ciò accadeva in Egitto, dove la religione era incentrata sul culto dei morti, e la sacralità dei sepolcri era particolarmente esaltata; e accade ancora oggi, anche in una fede come quella cristiana, il cui testo sacro è la Bibbia.

Potrebbe allora sorprendere ciò che le Scritture prescrivono in riferimento ai sacerdoti, ai quali è proibito avere qualsiasi contatto con un corpo morto: nella fede d’Israele, un kohen (“sacerdote”) non può accedere ai cimiteri né prendere parte alle esequie, fatta eccezione per il caso in cui il defunto sia un suo parente stretto.

Con questo divieto, osservato ancora oggi dai discendenti degli antichi kohanim, la Torah pone una rigida separazione tra il mondo del culto e quello della morte: nella concezione biblica, la Divinità è associata alla vita, e la realtà in cui l’uomo può entrare in contatto con il Creatore è quella della nostra esistenza terrena, non l’oltretomba.

La morte è intesa perciò come l’antitesi di Dio, e in quanto tale non può avere alcun posto all’interno del Santuario. Il luogo sacro deve essere preservato da qualsiasi manifestazione della morte per poter rappresentare la più completa e ideale manifestazione della vita.


BEHAR

Per sei anni seminerai il tuo campo, per sei anni poterai la tua vigna e ne raccoglierai i frutti, ma il settimo anno sarà un sabato di riposo per la terra, un sabato in onore di HaShem. Non seminerai il tuo campo né poterai la tua vigna (Levitico 25:3-4).

Secondo le norme della Torah, durante il settimo anno (Shemittah) non è permesso comportarsi da padroni nei confronti dei propri terreni: ciò che il suolo produce spontaneamente deve essere lasciato ai poveri, ai servi, agli stranieri, agli animali e a chiunque voglia usufruirne (Levitico 25:6).

Questo precetto è parte della grande rivoluzione egualitaria della Torah, oltre che un’espressione della concezione biblica della natura, ed è strettamente legato allo Yovel (Giubileo), il quarantanovesimo anno, in cui i debiti vengono condonati, i servi ricevono la libertà e tutti i terreni tornano ai proprietari originari.

L’insegnamento che queste leggi vogliono trasmettere è ben riassunto in un unico verso: “Le terre non si venderanno per sempre, perché la terra è mia. Voi siete forestieri e miei affittuari” (Levitico 25:23).

Per sei anni è concesso sfruttare i propri terreni per trarne beneficio, ma poi, nel settimo anno, arriva il momento in cui ogni Israelita è chiamato a fermarsi e a riconoscere che la terra non gli appartiene realmente. Dio è l’unico vero padrone dei beni che gli uomini credono di possedere.

Nella Terra d’Israele, per il suo carattere sacro di “terra promessa da Dio”, questo concetto universale assume una particolare importanza, tanto che esso si tramuta in legge attraverso le norme dell’anno sabbatico e del Giubileo.


BECHUKKOTAI

Se camminerete secondo i miei decreti, se osserverete i miei precetti e li metterete in pratica, io vi darò le piogge alla loro stagione, la terra darà prodotti e gli alberi della campagna daranno frutti (Levitico 26:3).

La parashah di questa settimana si apre con la promessa delle benedizioni che Dio impartirà al popolo d’Israele se osserverà a dovere i comandamenti (seguono poi le maledizioni che si abbatteranno sul popolo nel caso contrario).

Tali benedizioni possono essere riassunte e schematizzate in questo modo:

1. Agricoltura: ci saranno piogge in abbondanza, la terra darà i suoi frutti in larga misura (vv. 3-5).
2. Dio preserverà la pace e farà sparire le “bestie nocive” (v. 6).
3. Fertilità: gli Israeliti saranno fecondi e si moltiplicheranno in gran numero (v. 9).
4. Dio dimorerà in mezzo al popolo e non lo scaccerà dal paese (vv. 11-12).

Cosa ci ricorda tutto ciò? Se esaminiamo attentamente queste benedizioni, possiamo notare che esse appaiono come il capovolgimento delle maledizioni scagliate contro l’uomo e la donna dopo il peccato nel giardino dell’Eden.

Si notino infatti le corrispondenze:

1. Agricoltura: il suolo è maledetto e l’uomo deve coltivarlo con grande fatica.
2. Inimicizia tra l’umanità e il serpente (le “bestie nocive” del Levitico).
3. Fertilità: la donna partorirà con dolore.
4. Dio scaccia l’uomo e non dimora più insieme a lui nell’Eden.

Ciò suggerisce che l’osservanza dei comandamenti costituisce il rimedio all’antico trauma della Genesi, con la Terra d’Israele a rappresentare il nuovo Eden restaurato.

L’idea è elaborata dal Midrash (Sifra, Bechukotai 3, 3), che commentando proprio questo brano del Levitico afferma: “In futuro, il Santo Benedetto Egli sia camminerà con i giusti nel Giardino dell’Eden. Essi lo vedranno e indietreggeranno, [ma Egli dirà:] Io sono come uno di voi”.

6 commenti

  1. Caro redattore, con riguardo al giubileo scrivi così: Nella Terra d’Israele, per il suo carattere sacro di “terra promessa da Dio”, questo concetto universale assume una particolare importanza, tanto che esso si tramuta in legge attraverso le norme dell’anno sabbatico e del Giubileo.

    Posso sapere come attualmente viene applicato attualmente in terra di Israele quanto scrivi, oppure le norme del giubileo sono solo oggetto di studio invece che di applicazione?

    Ti ringrazio

    1. Il Giubileo non è più stato osservato già dalla distruzione del Primo Tempio (il primo, non il secondo) in quanto da allora manca una rappresentanza di ciascuna delle tribù d’Israele che risieda nella porzione di terra ad essa attribuita dalla Torah.

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