L’amore che genera la vita

Tazria

 

Tratto da un articolo di Rabbi Jonathan Sacks dal titolo: La santità e il parto.

I brani di Tazrìa e Metzorà (Levitico 12:1 – 15:33) contengono alcune leggi fra le più difficili da comprendere di tutta la Torah. Si tratta delle regole di “impurità”, derivate dalla nostra condizione di creature fisiche che ci rende esposti a ciò che Amleto chiama “i mille tumulti naturali di cui è erede la carne”.
Nonostante il nostro desiderio di vivere per sempre, la mortalità appartiene all’esistenza umana come a tutto ciò che possiede la vita. Come spiega Rambam (Guida dei Perplessi, III:13), essere dotati di un corpo di carne ed ossa significa inevitabilmente subire l’influenza della materia e della natura esterna.

L’approccio ebraico si è sempre distinto nettamente sia dell’edonismo (la filosofia che pone il piacere fisico al centro della vita) che dell’ascetismo (un modello di vita basato sulla rinuncia a tutti i piaceri carnali). La Torah comanda infatti di santificare la materia (attraverso il nutrimento, il sesso e il riposo) per far risiedere la Presenza divina nella realtà fisica del corpo.

I brani che leggiamo questa settimana ci offrono un esempio evidente di tutto ciò:

Se una donna è rimasta incinta e partorisce un maschio, sarà teme’ah (impura) per sette giorni, come nei giorni delle sue mestruazioni. […] Poi ella resterà ancora trentatré giorni a purificarsi del sangue: non toccherà alcuna cosa santa e non entrerà nel Santuario, finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione. Se invece partorisce una bambina, sarà teme’ah per due settimane, come al tempo delle sue mestruazioni; e resterà sessantasei giorni a purificarsi del sangue (Levitico 12:2-5).

Per compiere la purificazione, la donna deve poi presentare alcune offerte sacrificali da bruciare sull’altare. Ma qual è il significato di queste leggi? Per quale motivo il parto rende la madre teme’ah (termine tradotto con “impura”, ma che si riferisce più precisamente a una condizione che impedisce o esonera dal contatto diretto con ciò che è sacro)? E perché il periodo di impurità ha una durata doppia nel caso in cui il neonato sia una femmina?
È facile cedere alla tentazione di considerare queste leggi come inaccessibili alla comprensione umana, che è infatti quanto alcune fonti rabbiniche sembrano affermare. Di fatto, però, come sottolinea Maimonide, non è così. Anche se non potremo mai sapere con certezza quale interpretazione dei concetti di santità e purità rituale sia più corretta, ciò non dovrebbe spingerci ad abbandonare la nostra ricerca e a rinunciare a formulare spiegazioni che siano almeno ipotetiche.

Il primo principio essenziale per comprendere le leggi di purità rituale è l’affermazione secondo cui Dio è vita. L’Ebraismo proclama un rifiuto assoluto dei culti, sia antichi che moderni, che glorificano la morte. Le grandi piramidi d’Egitto erano maestosi monumenti funebri. Arthur Koestler scriveva che senza la morte “le cattedrali crollano e le piramidi si dissolvono nella sabbia”. Freud utilizzò il termine thanatos per descrivere la pulsione umana orientata verso la morte.

L’Ebraismo è una protesta contro le culture incentrate sulla morte. “Non sono i morti che lodano il Signore, né coloro che scendono nel silenzio” (Salmi 115:17); “Che profitto darà il mio sangue, se scendo giù nella fossa? Può forse la polvere celebrarti, o proclamare la tua verità?” (Salmi 30:9). “Tutti voi che rimaneste fedeli al Signore, oggi siete tutti in vita” (Deuteronomio 4:4).  La Torah è definita “un albero di vita” (Proverbi 3:18). Dio è il Dio della vita. Mosè ha riassunto tutto ciò in una sola espressione: “Scegliete la vita” (Deuteronomio 30:19).

Ne deriva dunque che la kedushah (santità), essendo un punto nello spazio o nel tempo in cui ci troviamo dinanzi alla Presenza di Dio, comporta una consapevolezza suprema della vita. Questo ci aiuta a capire il motivo per cui nella Bibbia il caso esemplare di impurità è quello causato dal contatto con un cadavere. Gli altri tipi di impurità riguardano le malattie o le emissioni corporee che ci ricordano la nostra mortalità. Dio non può essere associato con tali manifestazioni dell’esistenza della morte, e dunque chi ha contratto un’impurità non può accostarsi al Santuario. Yehuda HaLevì, nella sua opera nota come Kuzarì, spiega le leggi relative alla purità in questi termini:

“Un corpo morto rappresenta il più alto grado della perdita della vita, e un arto colpito dalla lebbra appare come se fosse morto. La stessa cosa vale per la perdita del seme, poiché esso è dotato di forza vitale, capace di generare un essere umano” (Kuzari II:60).

Le leggi di purità, come sostiene Yehuda HaLevì, si applicano solo a Israele, proprio perché l’Ebraismo è la religione della vita, e i suoi membri sono perciò estremamente sensibili alle più sottili manifestazioni del confine tra vita e morte.

Un altro principio di grande importanza è la particolare attenzione che l’Ebraismo riserva alla nascita di un figlio. Nulla è più naturale della procreazione: ogni essere vivente si riproduce. Eppure, nella Torah è posta molta enfasi sul fatto che molte eroine bibliche (fra cui Sarah, Rebecca, Rachele, Anna e la Sunnamita) fossero sterili, e riuscirono ad avere figli solo attraverso un miracolo. Il messaggio della Torah è chiaro: essere Ebrei significa sapere che la sopravvivenza non è solo una questione biologica; ciò che altre culture percepiscono in modo puramente naturale è per noi un dono di Dio. Nessuna fede ha mai attribuito tanta importanza ai bambini e all’educazione delle nuove generazioni. Diventare genitori è la cosa che ci rende più vicini a Dio stesso. Questo è il motivo per cui la donna è considerata più vicina a Dio. Al contrario degli uomini, le donne sanno cosa significa dare alla luce una nuova vita. L’idea è ben espressa nel verso in cui Adamo si rivolge a sua moglie e la chiama Chavah “poiché ella è la madre di tutti i viventi” (Genesi 3:20).

Ora possiamo tornare a riflettere sulle leggi relative alla purificazione dopo il parto. Una madre che genera un figlio, oltre ad andare incontro a un grave rischio (fino a tempi non molto lontani il parto era una frequente causa di morte sia per le madri che per i bambini), sperimenta anche la separazione da qualcosa che prima appariva come una parte del suo corpo, mentre ora diviene una persona indipendente. Se questo vale per un figlio maschio, è doppiamente valido per la nascita di una femmina, la quale potrà divenire a sua volta, dopo molti anni, portatrice di una nuova vita attraverso la gravidanza.

Le leggi di purità suggeriscono anche un concetto più profondo. Secondo un principio halachico, “Chi è occupato a compiere un precetto è esente da altri precetti” (Talmud, Sukkah 26a). Nel caso dell’impurità derivata dal parto, è come se Dio dicesse alla madre che ha dato alla luce un figlio: Per quaranta giorni nel caso di un neonato maschio, e il doppio per una figlia femmina, sei esentata dal presentarti al mio cospetto nel Santuario, perché sei impegnata in uno dei compiti più sacri che esistano, quello di nutrire ed accudire il tuo bambino. A differenza degli altri, tu non hai bisogno di venire al Tempio per sperimentare l’unione con la fonte della  vita e con il suo splendore. Tu stai già vivendo questa unione, in modo diretto e con ogni fibra del tuo essere. Tra alcuni giorni tornerai al Santuario per rendere grazie alla mia Presenza, e a presentare le tue offerte per aver superato un momento di pericolo; ma per ora, ammira il prodigio della nascita di tuo figlio, poiché hai la possibilità di intravedere un grande segreto noto soltanto a Dio.

Il parto esonera la madre dal culto del Tempio in quanto la sua nuova esperienza è già sufficiente ad adempiere la funzione del Santuario. In questo modo, la donna impara cosa sia l’amore che genera la vita e cosa significhi essere toccata da un assaggio di immortalità nella sua natura mortale.

Articolo originale: http://www.rabbisacks.org/covenant-conversation-5772-tazria-metzorah-holiness-and-childbirth

4 commenti

  1. Nel libro di Levitico, capitolo 12 vv. 1-7, c’è la seguente prescrizione che riguarda le donne che hanno partorito:

    “1 L’Eterno parlò ancora a Mosè, dicendo: 2 «Parla così ai figli d’Israele: Se una donna è rimasta incinta e partorisce un maschio, sarà impura per sette giorni, sarà impura come nei giorni delle sue mestruazioni. 3 L’ottavo giorno si circonciderà la carne del prepuzio del bambino. 4 Poi ella resterà ancora trentatrè giorni a purificarsi del sangue; non toccherà alcuna cosa santa e non entrerà nel santuario, finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione. 5 Se invece partorisce una bambina, sarà impura due settimane come al tempo delle sue mestruazioni; e resterà sessantasei giorni a purificarsi del sangue. 6 Quando i giorni della sua purificazione sono compiuti, sia che si tratti di un figlio o di una figlia, porterà al sacerdote, all’ingresso della tenda di convegno, un agnello di un anno come olocausto e un giovane piccione o una tortora, come sacrificio per il peccato. 7 Poi il sacerdote li offrirà davanti all’Eterno e farà l’espiazione per lei; ed ella sarà purificata dal flusso del suo sangue. Questa è la legge relativa alla donna che partorisce un maschio o una femmina.” (Nuova Diodati)

    Rabbi Sacks afferma che i 40 giorni (per la nascita di un maschio) e gli 80 giorni (per la nascita di una femmina) successivi al parto sono in realtà da considerarsi un periodo di santità che la madre sta vivendo, e che perciò la esenterebbe dal presentarsi al tempio, secondo il principio halachico, “Chi è occupato a compiere un precetto è esente da altri precetti” .
    Tale affermazione, però, non tiene in nessun conto il contesto normativo nel quale è inquadrata la cosiddetta santità della puerpera: i capitoli 11, 12, 13, 14, 15 di Levitico trattano di impurità causate dal contatto con animali morti (cap. 11) e da malattie – alcune vere e altre presunte – che colpiscono sia uomini che donne (capp. 12-15).
    Ecco l’elenco di tali patologie secondo il Levitico: fuoriuscita del liquido amniotico al momento del parto, lebbra, gonorrea, tigna, pustole e macchie strane sulla pelle, emissione seminale, scolo, sangue mestruale, flusso di sangue oltre il periodo mestruale. Tali malattie e presunte malattie, in questa sezione normativa, avrebbero tutte carattere contagioso e pertanto renderebbero impuri gli ambienti e le persone. Il trattamento è uguale in tutti i casi: quarantena, lavaggio con acqua, infine sacrifici del sacerdote che dichiara l’avvenuta guarigione e la cessazione dell’impurità.

    La Torah rivela che i bambini sono un dono di Dio; tuttavia si direbbe che il momento del parto non fosse visto dagli uomini dell’antico Israele come un evento in se stesso sublime a causa della fuoriuscita abbondante di fluidi da cui il neonato deve subito essere lavato. Non si riusciva a distinguere fra emissioni patologiche e quelle naturali, il che dava luogo a dei tabù che non appartenevano soltanto al mondo ebraico, essendo in passato diffusi più di quanto non si pensi presso molte culture.
    Il “medico” che si occupava dell’analisi di ogni fuoriuscita corporea, stando ai capitoli dal 12 al 15 di Levitico, per valutarne il grado di gravità, era il sacerdote. Questi ne prescriveva la cura, che consisteva invariabilmente nella quarantena del soggetto per un determinato periodo e nel lavaggio con acqua, poi con i sacrifici che sancivano la definitiva purificazione della persona.

    Rabbi Sacks trascura che i periodi di 40 e di 80 giorni dopo il parto, che secondo lui esonerano la madre dal culto del Tempio “in quanto la sua nuova esperienza è già sufficiente ad adempiere la funzione del Santuario”, sono suddivisi in “sottoperiodi” rispettivamente di 7 e 33 giorni, e di 14 e 66 giorni.
    La norma biblica specifica chiaramente la ragione di tali suddivisioni: la madre, durante i primi 7 giorni (per la nascita di un maschio) e di 14 (per quella di una femmina), assai lungi dall’essere “santa”, sarebbe impura esattamente come la donna durante il suo ciclo mensile. Ecco come Levitico 15:19-24 descrive i danni a cose e persone causati dal flusso mestruale:

    “19 Quando una donna abbia flusso di sangue, cioè il flusso nel suo corpo, la sua immondezza durerà sette giorni; chiunque la toccherà sarà immondo fino alla sera. 20 Ogni giaciglio sul quale si sarà messa a dormire durante la sua immondezza sarà immondo; ogni mobile sul quale si sarà seduta sarà immondo. 21 Chiunque toccherà il suo giaciglio, dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell’acqua e sarà immondo fino alla sera. 22 Chi toccherà qualunque mobile sul quale essa si sarà seduta, dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell’acqua e sarà immondo fino alla sera. 23 Se l’uomo si trova sul giaciglio o sul mobile mentre essa vi siede, per tale contatto sarà immondo fino alla sera. 24 Se un uomo ha rapporto intimo con essa, l’immondezza di lei lo contamina: egli sarà immondo per sette giorni e ogni giaciglio sul quale si coricherà sarà immondo.” CEI)

    Pertanto anche la madre, nel corso dei primi 7 e 14 giorni dal momento del parto, renderebbe allo stesso modo immondi gli ambienti profani e anche le persone che vengono a contatto con tali ambienti, le quali persone a loro volta diventano veicoli di contaminazione (non certo di santità).
    Per i restanti 33 e 66 giorni l’impurità della puerpera non è più tale da inquinare ciò che è profano, ma lo è ancora abbastanza per la contaminazione di ciò che è sacro.
    Il profeta Ezechiele, volendo condannare aspramente la condotta degli ebrei che avevano rigettato gli statuti della Legge per abbracciare le abominazioni dei popoli idolatri, la paragona addirittura a quanto di più rivoltante per lui possa esistere: le impurità mestruali del ciclo femminile! (Ezechiele 36:17).

    Secondo Sacks, inoltre, a conclusione di quello che lui definisce periodo di “esonero” di 40 od 80 giorni dal culto nel Tempio, la madre dovrà tornare al Santuario per rendere grazie alla presenza di Dio, e a presentare le sue offerte per aver superato un momento di pericolo. Contrariamente a tale interpretazione, la norma non parla affatto di esonero bensì di purificazione, e le offerte non sono per ringraziare il Signore ma per dichiarare l’avvenuta purificazione della puerpera:

    “6 E compiuti i giorni della sua
    purificazione per un figlio, o per una
    figlia, recherà un agnello nato entro
    l’anno, per olocausto, ed un giovine
    colombo, o una tortora, per sacrifizio
    d’aspersione, all’ingresso del padiglione
    di congregazione, al sacerdote.
    7 Il quale presenterà ciò innanzi al
    Signore, e propizierà per lei; ed ella
    diverrà pura del suo flusso di sangue.”
    (Lv. 12:6-7, Luzzatto)

    Tali rituali di definitiva purificazione della donna che ha partorito sono identici a quelli previsti per chi guarisce da lebbra (Lv. 14:1-32), gonorrea (Lv. 15:13-15) e per le donne che hanno perdite di sangue oltre il naturale periodo delle regole (Lv. 15:28-30). Anche se i bambini sono visti come un dono che viene da Dio, il modo in cui vengono al mondo è però qualificato come impurità che dalle neonate è prodotta il doppio rispetto ai neonati maschi.

    Tuttavia, anche volendo ravvisare nel parto così come è inteso nella normativa del Levitico un evento santo – sebbene stranamente incluso nel novero delle malattie contagiose e delle perdite di sostanze corporee comunemente sgradevoli ed inquietanti, e trattato alla stessa stregua – resta il fatto che i neonati non sono dal Levitico considerati uguali.
    Se, a detta di Sacks, il parto santifica la madre facendole vivere un precetto equivalente al culto nel Tempio, occorre considerare che comunque tale presunta santità le proviene in misura assai diversa a seconda del sesso del neonato: la femmina che è nata, infatti, santificherebbe la puerpera il doppio rispetto al maschio.
    Ciò indicherebbe che la prima avrebbe valore doppio rispetto al secondo durante le prime settimane di vita. Eppure la stima che proprio il libro di Levitico fa dei bambini, stima in denaro per la valutazione del riscatto delle persone offerte in voto al Santuario, è esattamente in controtendenza: le femmine, infatti, valgono la metà dei maschi:

    “1 Il Signore disse ancora a Mosè: 2 «Parla agli Israeliti e riferisci loro: Quando uno deve soddisfare un voto, per la stima che dovrai fare delle persone votate al Signore, 3 la tua stima sarà: per un maschio dai venti ai sessant’anni, cinquanta sicli d’argento, secondo il siclo del santuario; 4 invece per una donna, la tua stima sarà di trenta sicli. 5 Dai cinque ai venti anni, la tua stima sarà di venti sicli per un maschio e di dieci sicli per una femmina. 6 Da un mese a cinque anni, la tua stima sarà di cinque sicli d’argento per un maschio e di tre sicli d’argento per una femmina. 7 Dai sessant’anni in su, la tua stima sarà di quindici sicli per un maschio e di dieci sicli per una femmina.” (Lv. 27:1-7, CEI)

    Il passo qui sopra riportato stabilisce la somma in denaro che dovrà essere pagata al sacerdote come indennizzo da coloro i quali hanno offerto per un voto delle persone al santuario, ma che poi, in seguito ad un loro ripensamento, hanno deciso di riavere indietro. Si nota facilmente che l’indennizzo è sempre la metà per le femmine rispetto ai maschi. Se esaminiamo il versetto 6:”Da un mese a cinque anni, la tua stima sarà di cinque sicli d’argento per un maschio e di tre sicli d’argento per una femmina” dovremmo chiederci come è possibile che l’offerta votiva al santuario di una bambina dai 30 giorni in su sia stimata la metà rispetto a quella di un maschio, e tuttavia – secondo la tesi di Sacks – la femmina sarebbe in grado di santificare la propria madre il doppio relativamente al bambino maschio.
    Forse, se Sacks evitasse di fare voli pindarici e soprattutto si attenesse tanto al testo quanto al contesto, scoprirebbe che il legislatore biblico è invece perfettamente coerente nella sua valutazione della donna che per lui è sempre di molto inferiore rispetto a quella dell’uomo sin dal momento della nascita.

    Alessandro

  2. Caro Alessandro.
    Ancora una volta noto che i tuoi commenti appaiono influenzati da una visione dell’universo biblico molto lontana dalla mia, in quanto basata su un’analisi un po’ superficiale delle Scritture e su traduzioni quali Nuova Diodati, che non chiariscono il significato di termini ebraici importantissimi come tumah e taharah.
    “Impuro”, come ben spiegato da Rabbi Jonathan Sacks, in ebraico è un concetto che non porta con sé nulla di intrinsecamente negativo, demoniaco, o nocivo dal punto di vista biologico. Il Levitico non è un manuale arcaico di medicina, ma un codice di santità, dove con “santità” si intende sempre “separazione”. Nella concezione biblica, il Santuario (Tabernacolo) è il luogo separato per eccellenza, e in quanto tale deve rimanere estraneo a qualsiasi manifestazione della mortalità umana. I cadaveri, il ciclo mestruale, l’emissione seminale e le macchie color cadavere provocate dalla tzaarat non sono “impure” in quanto “malattie contagiose”, fenomeni eticamente negativi o demoniaci. Al contrario, si tratta di manifestazioni della mortalità, che devono dunque rimanere separate dalle cose sacre. Attraverso queste misure, la Torah pone una notevole distanza dai culti pagani fondati sull’adorazione dei defunti, sull’uso liturgico delle loro reliquie, su riti orgiastici e spargimenti di sangue autoinflitti per penitenza.
    Ricordo, a questo proposito, che anche i sacerdoti che compiono alcuni tipi di sacrifici divengono “impuri”, il ché chiaramente non vuol dire che i sacrifici siano azioni negative o sacrileghe secondo la Torah.
    Rabbi David Fohrman ha dedicato un’intera serie di lezioni a questo tema, spiegando anche la vera natura dei sacrifici di “purificazione” da molti fraintesa.

    Per quanto riguarda la somma per il riscatto prescritta in Levitico 27, ho già spiegato in un altro commento che tale somma varia in funzione della “forza lavoro”, che è maggiore negli uomini giovani, ma minore in quelli anziani, che infatti possono essere riscattati per una somma sempre più vicina a quella delle donne man mano che l’età avanza. Nessun pregiudizio maschilista dunque, se le donne possono essere riscattate più facilmente degli uomini. L’idea che la donna sia un essere immondo non trova spazio nella Torah.

  3. Scrivi:

    “Impuro”, come ben spiegato da Rabbi Jonathan Sacks, in ebraico è un concetto che non porta con sé nulla di intrinsecamente negativo, demoniaco, o nocivo dal punto di vista biologico. Il Levitico non è un manuale arcaico di medicina, ma un codice di santità, dove con “santità” si intende sempre “separazione”.

    Io credo che anche nell’ebraismo, come nei costumi di tutti i popoli, vi siano necessariamente due tipi di separazione: uno è il distacco di ciò che è sublime o sacro dalle cose comuni o profane, e qui il termine “santità” è pertinente; l’altro tipo è il distacco della sporcizia e dei rifiuti dalle cose comuni, e qui la parola santità è di sicuro fuori luogo.
    Il Levitico mette qualsiasi manifestazione della mortalità, la quale è l’antitesi del Dio vivente, tra tutto ciò che è nocivo o disgustoso. Pertanto cadaveri, lebbra, gonorrea, psoriasi, muffa nelle case e sugli indumenti, e inoltre il sangue mestruale e le sostanze liquide espulse dalle partorienti, finiscono nel medesimo calderone delle impurità da allontanare sia dal sacro sia dal profano. Il termine “impuro” ha quindi nel Levitico, almeno nei capitoli dall’undici al quindici, carattere senz’altro negativo; se così non fosse, significherebbe che nell’ebraismo ciò che è sacro e ciò che è immondo sono entrambi separati dalle cose comuni… ma stando insieme fra loro.
    Ciò è chiaramente un’assurdità, ma è proprio ciò che fa Rabbi Sacks volendo a tutti i costi spiritualizzare la puerpera: afferma che essa è esentata dalla sacralità del santuario essendo in qualche modo sacra essa stessa, ma salta a piè pari il dettaglio che i giorni che la esenterebbero non sono 40 od 80, ma 7 più 33 e 14 più 66. Perché tale frazionamento? Leggiamo la norma:

    “Quando una donna sarà rimasta incinta e darà alla luce un maschio, sarà immonda per sette giorni; sarà immonda come nel tempo delle sue regole […] Poi essa resterà ancora trentatré giorni a purificarsi dal suo sangue; non toccherà alcuna cosa santa e non entrerà nel santuario, finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione. Ma, se partorisce una femmina sarà immonda due settimane come al tempo delle sue regole; resterà sessantasei giorni a purificarsi del suo sangue. ” (Levitico 12: 2-5, CEI).

    Si comprende che nei primi 7 o 14 giorni la puerpera è definita impura come quando ha le sue regole; e quando la donna ha le regole è trattata esattamente come chi ha la gonorrea; infatti, questi due casi sono esposti insieme nel capitolo 15, che si conclude sancendo (nei versi 32-33) che le disposizioni di merito sono legge comune. Quale sarebbe questa legge comune? Che chi è affetto da gonorrea e le donne con le mestruazioni contaminano persone e ambienti al punto che i manufatti e i giacigli da loro toccati diventano a loro volta contaminanti, per cui la legge impone che tali soggetti stiano in quarantena e che, dopo l’avvenuta “guarigione” si rechino dal sacerdote per un sacrificio d’espiazione del peccato. Quale peccato? Ogni manifestazione della mortalità è sintomo di un castigo del Dio vivente. Il peccato delle donne è quello commesso da Eva, il cui castigo fu di dover partorire nel dolore e anche nella “sozzura” delle sue emissioni mensili e del parto.
    La puerpera è dunque considerata inquinante per 7 o per 14 giorni al pari della donna mestruata, e questa a sua volta lo è come chi ha la gonorrea, e questi come chi ha la lebbra. Per la donna che ha partorito vi sono ulteriori 33 o 66 giorni di segregazione, ma ora non da ciò che è profano bensì da tutto ciò che è sacro; quindi deve stare lontana dal santuario per non contaminarlo.

    Con la sua sublimazione del parto, Rabbi Sacks afferma che le bambine sono due volte più sante dei maschi mentre, all’opposto, per il Levitico esse sono doppiamente contaminanti. Sta di fatto che tra il menzionato rabbino e l’ispirato profeta Ezechiele c’è una notevole diversità di vedute. Riguardo alle mestruazioni, e quindi anche riguardo alle prime settimane dopo il parto, questo profeta fa un paragone tutt’altro che edificante; per lui il sangue mestruale è ripugnante quanto i più gravi peccati commessi da Israele:

    «Figlio dell’uomo, la casa d’Israele, quando abitava il suo paese, lo rese impuro con la sua condotta e le sue azioni. Come l’impurità di una donna nel suo tempo è stata la loro condotta davanti a me.” (Ezechiele 36:17, CEI.)

    1. Non sono d’accordo con Rabbi Sacks quando afferma che la donna che ha partorito non necessita del Santuario in quando è già santa di per sé, questa è una forzatura. Tuttavia bisogna stare attenti quando si parla delle leggi di impurità, poiché si rischia di confondere ciò che è impuro con ciò che è eticamente negativo. L’impurità si può contrarre anche compiendo alcune mitzvot o azioni lodevoli, come seppellire un morto o eseguire il rito della mucca rossa. “Contaminante” non è di per sé sinonimo di “detestabile” o “peccaminoso”. Un cadavere umano contamina in misura maggiore della carcassa di un coniglio o di un maiale, eppure non affermeremmo di certo che tali animali siano più “santi” dell’essere umano. Allo stesso modo, il fatto che l’impurità delle figlie femmine duri il doppio rispetto ai maschi non implica un giudizio negativo sulle figlie femmine, ma suggerisce solo che queste ultime producono nella partoriente una privazione doppia della forza vitale (visto il loro potenziale di future madri).

      Per quanto riguarda il verso di Ezechiele, qui l’impurità delle mestruazioni non è citata come semplice esempio di qualcosa di ripugnante. Piuttosto, la similitudine sta a significare che Dio dovrà allontanarsi da Israele come un marito non può accostarsi a una donna mestruata (la metafora del matrimonio tra Dio e Israele ricorre spesso nei Profeti). L’esilio a cui sono soggetti gli Israeliti ha quindi metaforicamente la funzione di purificare il popolo dalla sua impurità per permettergli di riaccostarsi al mondo del sacro.

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