La Torre di Babele

bavel

Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. E avvenne che, mentre viaggiavano dall’oriente, essi trovarono una pianura nella terra di Shinar, e vi si stabilirono. E si dissero l’un l’altro: «Orsù, facciamo dei mattoni e cuociamoli col fuoco!». E usarono mattoni come pietre e bitume come malta. E dissero: «Orsù, costruiamoci una città e una torre la cui cima sia in cielo, e facciamoci un nome per non essere dispersi sulla faccia di tutta la terra» (Genesi 11:1-4).

Qual è il vero significato della storia della Torre di Babele? Si tratta di un mito primitivo nato per spiegare l’origine delle nazioni e delle differenze linguistiche, come molti ritengono, o c’è qualcosa di più profondo? La grande città, con la sua celebre torre, è divenuta da millenni un simbolo di presunzione, di idolatria, del potere umano svincolato da ogni limite.

Attraverso uno studio accurato del testo biblico e il contributo importantissimo dell’archeologia, è possibile rivolgere uno sguardo nuovo all’immagine di Babele, che riesce ad essere al contempo leggendaria e reale, antica quanto la civiltà eppure sorprendentemente attuale.

La struttura

Da un punto di vista prettamente letterario, il racconto di Babele è un vero e proprio capolavoro artistico condensato in soli 9 versi. La struttura del brano è composta da sequenze parallele in contrapposizione fra loro, disposte secondo uno schema speculare. Si tratta di un tipico esempio di chiasmo biblico:

A Tutta la terra ha una sola lingua (v. 1)

       B Gli uomini si riuniscono nella valle di Shinar (v. 2)

            C Progetto umano (vv. 3-4)

                 D “Discesa” di Dio (v. 5)

            C’ Progetto divino (vv. 6-7)

       B’ Gli uomini si disperdono su tutta la terra (v. 8)

A’ Fine dell’uniformità linguistica (v. 9)

La prima metà del testo (sequenze A, B, C) descrive la situazione iniziale e l’operato degli uomini. La seconda metà è invece il “rovesciamento” della prima, e segna perciò una totale inversione degli avvenimenti narrati. A fare da “spartiacque” tra le due sezioni è la frase riportata in Genesi 11:5: Ma il Signore discese per vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo. Il testo sottolinea in questo modo il fatto che sia proprio l’intervento di Dio a far capovolgere bruscamente la situazione.

L’affermazione secondo cui “Il Signore discese” non è da intendere alla lettera. Umberto Cassuto spiega infatti che si tratta probabilmente di un’espressione idiomatica impiegata negli scritti dell’epoca per indicare l’azione delle divinità. Inoltre, la frase è chiaramente utilizzata in opposizione al folle desiderio dei costruttori della Torre di “salire fino al cielo”.

All’interno del testo ebraico, le lettere Bet (b, v), Lamed (l) e Nun (n) ricorrono frequentemente in associazione tra loro, creando allitterazioni che sembrano dare forza all’aspetto ironico del racconto: Havah nilbenah levenim (v. 3); lahem hallevenah leaven (v. 3); Havah nibnè lanu (v. 4); banù benè (v. 5); Bavèlbalàl (v. 9).
Per lo stesso motivo, sono da notare i due impieghi di paronomasia al v. 3: nilbenah lavenim ; venisrefah lisrefah.

Lo sviluppo delle lingue

Che i racconti della Genesi non siano dei resoconti storiografici né delle trattazioni scientifiche è un fatto certamente innegabile. È tuttavia altrettanto vero che le interpretazioni più diffuse di molti passi biblici tendano molto spesso ad accrescere gli aspetti miracolosi e soprannaturali delle storie narrate oltre i limiti consentiti dal testo.

Per quanto riguarda la vicenda di Babele, si ritiene comunemente che la confusione delle lingue sia avvenuta in maniera istantanea, per mezzo di un fenomeno prodigioso. Tuttavia, come fa notare Abraham Ibn Ezra, l’immagine degli uomini che all’improvviso non riescono più a comprendersi a vicenda non corrisponde a ciò che il testo biblico afferma. La Genesi infatti racconta semplicemente che Dio, per realizzare il suo proposito di confondere le lingue dell’umanità, disperse gli abitanti della valle di Shinar:

E il Signore li disperse di là sulla faccia di tutta la terra, ed essi cessarono di costruire la città (Genesi 11:8).

Le diverse famiglie umane si stabilirono così in luoghi diversi del mondo, sviluppando poi ognuna un proprio linguaggio in modo del tutto naturale. Questa sembra essere l’interpretazione più vicina al significato letterale del racconto della Genesi, che riassume in poche parole e con una terminologia semplice un processo ben più complesso e graduale.

L’imperialismo babilonese

Quella di cui parla il racconto di Babele è un’umanità che sembra non conoscere alcuna discordia. Per la prima volta nel Libro della Genesi, l’armonia regna incontrastata nei rapporti umani. Può dunque risultare difficile comprendere il motivo per cui la generazione di Babele sia presentata come un esempio negativo degno della punizione divina. Qual era la colpa dei costruttori della Torre?

La scelta delle genti di radunarsi nella pianura di Shinar (che, non a caso, è il territorio in cui si sviluppò la prima civiltà sedentaria della Storia, quella dei Sumeri), e di costruire  lì una città con una torre “la cui cima sia in cielo”, è stata interpretata dai Maestri del Midrash come una folle rivolta contro il Creatore. Il desiderio di “farsi un nome”, che anima i costruttori durante la loro impresa, può inoltre essere inteso come un segno dell’arroganza umana. “La polemica del racconto”, scrive Robert Alter, “è rivolta contro l’urbanesimo e la fiducia presuntuosa nelle conquiste tecnologia”.

Per riuscire a capire pienamente l’autentico messaggio di questo brano è necessario considerare il contesto storico e culturale a cui esso fa riferimento. Lungi dall’essere un semplice mito sulla nascita della differenziazione linguistica, il racconto di Babele è infatti una critica all’imperialismo babilonese e alle sue elevate pretese politiche e religiose.

Quasi quattromila anni fa, il re Hammurabi sottomise tutta la Mesopotamia e conquistò molte città, trasformando così Babilonia nel centro di un grande impero multietnico. Le popolazioni assoggettate, secondo alcune iscrizioni dell’epoca di Ashurbanipal II  e Sargon II, erano costrette ad accettare “un unico linguaggio“.

Il poema mesopotamico noto come Enuma Elish narra che la città di Babilonia fu costruita dalle divinità al termine della creazione del mondo. A mettere in contatto gli esseri umani con le divinità erano alcune maestose costruzioni chiamate ziggurat, le cui rovine possono essere osservate ancora oggi. Molti studiosi hanno identificato la Torre di Babele con l’Etemenanki, un’antichissima ziggurat edificata a Babilonia il cui nome significa “casa delle fondamenta del cielo e della terra”. Questa imponente struttura, che superava i novanta metri di altezza, ospitava sulla sua cima un tempio consacrato al dio Marduk. Tali edifici rappresentavano l’orgoglio di un potere totalitario volto all’unificazione del mondo sotto il dominio di un solo regno e di una sola cultura.

Contro questa concezione si scaglia l’aspra critica del racconto biblico che, con espressioni satiriche e dissacranti, demolisce letteralmente il mito della supremazia babilonese. Lo studioso Paolo Brusasco, nel suo libro Babilonia, All’origine del mito, spiega in proposito:

“La torre – meraviglia tanto esaltata dal sovrano – il simbolo stesso di Babilonia come capitale multietnica del mondo, diventa emblema di arroganza e prevaricazione di un potere schiacciante che sottomette i popoli, e genera confusione e divisione. La deplorazione della torre si combina quindi con la condanna di Babilonia (e della Mesopotamia tutta) quale archetipo della civiltà urbana e multirazziale, fittizia e viziosa costruzione umana”.

Mentre i costruttori della Torre aspirano ad elevarsi fino al cielo, il testo ci narra che è in realtà il Sovrano dell’universo a “scendere” per giudicare l’operato degli uomini. Un chiaro elemento di satira è costituito da ciò che il brano ci dice sul nome della città:
“Perciò a questa fu dato il nome di Bavèl, perché lì il Signore confuse (balàl) la lingua di tutta la terra” (Genesi 11:9).

La Torah quindi fa derivare Bavèl da balàl (confondere), ma questa semplice affinità fonetica non ha nulla a che fare con la vera origine del nome di Babilonia. In lingua sumera, Bavèl significa infatti “Porta di Dio”. Ciò ci riporta al già menzionato mito sulla fondazione della città mesopotamica da parte delle divinità, un mito che la Bibbia intende negare con forza. Collegare il nome di Babele al verbo confondere significa quindi deridere l’idolatria e screditare le leggende imposte dai sovrani babilonesi.

L’intento della Torah sta dunque nel metterci in guardia dal pericolo (ancora fortemente attuale) di una forzata omogeneità spacciata per armonia, e nel contrastare le pretese di chi vuole sopprimere le legittime differenze attraverso il proprio potere, come è sempre avvenuto in ogni dittatura totalitaria.

Ma a tutto ciò si contrappone la promessa divina di un’epoca futura in cui l’umanità sarà davvero unita, non allo scopo di “farsi un nome” o di raggiungere il cielo con le proprie forze, ma spinta finalmente da intenti lodevoli e sinceri:
“Poiché allora darò ai popoli un linguaggio puro, affinché tutti invochino il Nome del Signore, per servirlo di comune accordo” (Sofonia 3:9).

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