Ki Tissà: Dio ha un corpo?

harsinai

Il dialogo tra Dio e Mosè riportato in Esodo 33, in seguito alla drammatica vicenda del vitello d’oro, sembra mettere a dura prova la concezione di Dio secondo la comprensione tradizionale del monoteismo. Coloro che infatti sono abituati a pensare alla Divinità come a un essere trascendente, spirituale e privo di un corpo fisico, potrebbero rimanere estremamente perplessi dinanzi a questo oscuro brano:

E Moshè disse: «Ti prego, fammi vedere la tua gloria!» Hashem gli rispose: «Io farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il Nome di Hashem davanti a te, e farò grazia a chi vorrò fare grazia e avrò pietà di chi vorrò avere pietà». Disse ancora: «Tu non puoi vedere il mio volto, perché l’uomo non può vedermi e vivere».
E Hashem disse: «Ecco, c’è un luogo per me: tu starai su quel masso. Mentre passerà la mia gloria, io ti metterò in una fessura del masso, e ti coprirò con la mia mano finché io sia passato; poi ritirerò la mano e tu mi vedrai da dietro, ma il mio volto non si può vedere» (Esodo 33:18-23).

Ebbene, pare proprio che i teologi e i filosofi degli ultimi due millenni si siano sbagliati: la Bibbia parla di un Dio che possiede un volto, una mano e persino una schiena. Oppure no?

Particolari fisici e antropomorfici associati al Creatore si trovano, in realtà, anche in tanti altri brani sia precedenti che successivi: basti pensare alla “mano potente” e al “braccio disteso” di Dio menzionati più volte nell’Esodo. E tuttavia qui, in questo dialogo ambientato sul Monte Sinai, l’uso di un linguaggio così concreto richiede una particolare chiarificazione. Partiamo dunque dal contesto del racconto.

Mosè è confuso; ha da poco assistito al terribile peccato di idolatria del suo popolo, e alle conseguenti minacce di distruzione e annullamento dell’Alleanza da parte di Dio. Ora, dopo la sua accorata intercessione, agli Israeliti è garantito il perdono completo e il rinnovamento delle promesse divine (Esodo 33:17). Mosè vuole davvero capirci qualcosa, e chiede perciò a Dio una rivelazione particolare per apprendere con quali criteri agisca la Giustizia del Creatore.

Mosè allora chiede: “Ora dunque, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, ti prego, fammi conoscere le tue vie, affinché io ti conosca e possa trovare grazia agli occhi tuoi” (33:13); e poco dopo, riformula la richiesta in maniera diversa: “Ti prego, fammi vedere la tua gloria!” (33:18). Gloria, in ebraico Kavod, è un termine che compare in varie occasioni nell’Esodo per indicare una manifestazione visibile della Presenza di Dio, come la nube che guidava i figli d’Israele nel deserto (16:10), o i segni grandiosi che ricoprivano il Monte Sinai (24:16-17). In entrambi i casi, queste manifestazioni visibili non comprendevano mai l’apparizione di una forma fisica, come è precisato nel Deuteronomio: “E Hashem vi parlò in mezzo al fuoco. Voi udiste il suono delle parole, ma non vedeste alcuna figura; udiste solo una voce” (Deut 4:12).

Dio acconsente alla richiesta di Mosè, ma con una limitazione: “Tu mi vedrai da dietro, ma il mio volto non si può vedere”. Eppure, nel momento in cui avviene questa grande rivelazione, il testo non ci parla di alcuna “schiena di Dio”, né ci comunica qualche accenno al fatto che Mosè abbia visto una forma fisica, ad eccezione della solita “nube di gloria” intangibile ed incorporea (Esodo 34:5). Al contrario, secondo il racconto, ciò che Dio mostra realmente a Mosè è una rivelazione dei Suoi nomi e appellativi, attraverso una solenne proclamazione:

E Hashem passò davanti a lui e gridò: «Hashem, Hashem, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in benignità e fedeltà, che usa misericordia a migliaia, che perdona l’iniquità, la trasgressione e il peccato ma non lascia il colpevole impunito, e che esamina l’iniquità dei padri sui figli e sui figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione» (34:6-7).

Laddove ci aspetteremmo una descrizione fisica di Dio, il brano ci presenta invece un elenco dei Suoi titoli e delle Sue qualità, noti nella tradizione ebraica come “Shelosh-Esreh Middot Ha-Rachamim“, i tredici attributi della Misericordia. Questa è la chiave per l’interpretazione di un passo così difficile, e la prova del fatto che la Torah non intenda realmente trasmettere una concezione antropomorfica di Dio. Del resto, fin dall’inizio avevamo notato che il desiderio di Mosè non era quello di conoscere un presunto aspetto fisico del Creatore, ma di apprendere “le sue vie”, i criteri con i quali Dio dona la Sua misericordia. I riferimenti al “volto” e alla “schiena” di Hashem devono avere dunque un altro significato, ben più profondo del loro senso letterale.

Nel suo monumentale Commentario al Libro dell’Esodo, Umberto Cassuto spiega:

“Da questo punto e fino alla conclusione del paragrafo, è chiaro dalle espressioni utilizzate che alcuni concetti sono espressi in senso metaforico. Ciò si osserva immediatamente nella risposta all’ultima richiesta di Mosè. Benché tale risposta sia positiva, essa contiene un certo riserbo: la comprensione dell’essere umano ha un limite. [Dio dice a Mosè]: È possibile per te udire la voce del Signore che ti parla come uno che si rivolge a un amico (v. 11), ma per quanto concerne il vedere (cioè, si intende, la comprensione degli attributi divini), esiste un limite che l’uomo non può superare. È impossibile per te contemplare i Miei attributi come un uomo contempla la faccia di un suo compagno che gli sta vicino. Potrai ottenere soltanto questo: Io farò passare davanti a te tutta la mia bontà […]. Non farò stare le Mie virtù dinanzi a te, ma le farò passare in un lampo transitorio, mentre tu starai da parte. […] E farò grazia a chi vorrò fare grazia e avrò pietà di chi vorrò avere pietà, ovvero: l’esercizio di queste qualità dipende interamente dalla Mia volontà; tu potrai sapere che che Io sono compassionevole e misericordioso, e che amo andare oltre il rigore letterale della legge, ma la decisione di agire secondo queste virtù dipende sempre dalla Mia discrezione, ed è impossibile per te sapere quando e se agirò così. […]
Poi ritirerò la mano e tu mi vedrai da dietro, ma il mio volto non si può vedere. Qui è ovvio che il testo utilizzi un linguaggio figurativo, come a dire: sarai capace di percepire solo le Mie opere e di dedurre da esse alcuni dei Miei attributi, ma non potrai comprendere l’essenza della Mia natura” (U. Cassuto, A Commentary on the Book of Exodus, pp. 435-437).

Dunque la rivelazione a cui Mosè assiste, per quanto grandiosa, non può tuttavia andare oltre i confini dell’intelletto umano. Il volto di Dio, che è in realtà la Sua essenza, non può essere conosciuto da una creatura mortale e limitata come l’uomo. Ciò che Mosè può invece osservare è l’effetto delle opere divine (espresse attraverso i tredici attributi della Misericordia), purché esse siano viste soltanto “da dietro“, cioè senza la possibilità di essere previste o anticipate. All’essere umano è concesso riconoscere le azioni di Dio quando esse sono già compiute, ma non di conoscerne il profondo mistero.

Ridurre questa storia a una semplice apparizione di una divinità antropomorfa che passeggia tra le rocce nascondendo il suo viso significa travisare l’insegnamento della Torah e strappare il brano dal suo contesto narrativo.

3 commenti

  1. È possibile per te udire la voce del Signore che ti parla come uno che si rivolge a un amico (v. 11), ma per quanto concerne il vedere (cioè, si intende, la comprensione degli attributi divini), esiste un limite che l’uomo non può superare.

    Posto che l’uomo non possa vedere D-o, ma allora in che modo Mosè udì la voce del Signore? Attraverso il sogno, fisicamente o che altro? In che modo Hashem comunica con Mosè? E cosa si intende dire quando si parla che la Legge è stata scritta con il dito di D-o?

  2. Cara Antonella sei bravissima a porti e a farti domande. E fattene tante prendendo seriamente tutte le parole del Signore ( dell’autore della Bibbia) e la risposta arriverà. La Bibbia è tutta una questione di occhi e di confini. Parola è anche fatto in ebraico. Ma sarebbero molte le cose da dire

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