Il brano dei Profeti (Haftarah) che gli antichi Maestri hanno associato alla festa di Hanukkah è tratto dal libro di Zaccaria (capitoli 2:14 – 4:7). Questo passo, incentrato sulle promesse di Redenzione e sulla restaurazione di Gerusalemme, viene letto in sinagoga durante lo Shabbat di Hanukkah.
Per quale motivo i Saggi hanno scelto il libro di Zaccaria, e perché, in particolare, proprio questi capitoli? La domanda è particolarmente interessante se teniamo conto del fatto che Hanukkah, in quanto commemorazione della vittoria dei Giudei sul regno greco-siriano all’epoca dei Maccabei, è una festività post-biblica, e non possiede quindi una fonte diretta nella Bibbia ebraica.
Prima di tutto, cerchiamo di riassumere il testo di Zaccaria 2:14 – 4:7 per comprenderne il significato.
L’Haftarah si apre con l’invito a gioire per il ritorno della Presenza divina nella città santa e con l’annuncio della conversione a Dio da parte di “nazioni numerose” (2:15). Viene poi descritta una visione incentrata sulla figura del Sommo Sacerdote Yehoshua, chiamato a purificarsi dai suoi peccati per poter diventare il custode del nuovo Tempio che sta per essere costruito.
In seguito, il profeta descrive un grande candelabro d’oro (Menorah) con sette bracci, affiancato a destra e a sinistra da due olivi. Un emissario divino proclama poi un messaggio per il governatore della Giudea Zerubavèl, discendente del re David: “Non con la potenza né con la forza, ma con il mio Spirito, dice HaShem Tzevaot” (4:6). Dalla conclusione del capitolo si deduce che i due olivi simboleggiano proprio Zerubavel e Yehoshua, rappresentanti del potere politico e di quello religioso, nonché fondatori del Secondo Tempio.
Un primo legame con la festa di Hanukkah appare subito chiaro: il Santuario di Gerusalemme, la cui ricostruzione è il tema principale del brano di Zaccaria, è lo stesso che fu poi restaurato e riconsacrato dai Maccabei dopo la vittoria sui profanatori ellenistici. L’immagine della Menorah, inoltre, costituisce l’elemento caratteristico di Hanukkah, come è evidente soprattutto dal rito dell’accensione dei lumi.
Tuttavia, come spiega Rabbi Menachem Leibtag, esiste un motivo più importante e profondo alla base della scelta di questo brano da parte dei Saggi, ed è un motivo che può essere compreso solo tenendo conto della missione profetica di Zaccaria e del contesto storico in cui egli visse e operò.
Zaccaria (in ebraico Zechariah), insieme ad Aggeo (Chagai), guidò la coscienza religiosa del popolo d’Israele durante il periodo del ritorno in patria dopo l’esilio in Babilonia. I profeti precedenti, testimoni della rovina di Gerusalemme, avevano preannunciato una grande redenzione e un ritorno glorioso che avrebbero posto fine alle sofferenze subite. Geremia, in particolare, aveva espresso anche una precisa scadenza temporale all’esilio:
Così parla HaShem: Quando saranno compiuti per Babilonia settanta anni, vi visiterò e realizzerò per voi la mia buona promessa di ricondurvi in questo luogo. Poiché io conosco i progetti che ho fatto per voi – dice HaShem – progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza. […] Cambierò in meglio la vostra sorte e vi radunerò da tutte le nazioni e da tutti i luoghi dove vi ho disperso – dice HaShem – vi ricondurrò nel luogo da dove vi ho fatto condurre in esilio (Geremia 29:10-14).
Secondo Geremia, questa redenzione sarebbe dovuta avvenire in maniera tanto grandiosa da eclissare persino l’evento di liberazione per eccellenza, cioè l’uscita dall’Egitto (vedi Geremia 23:7-8).
Il libro di Esdra (1:1-3) narra che, al compimento dei settant’anni previsti da Geremia, il re Ciro di Persia concesse agli Ebrei di ritornare a Sion e di ricostruire il Tempio. Ciò, tuttavia, avvenne con molte asprezze e difficoltà: la maggior parte degli esuli, infatti, preferì restare a Babilonia, mentre coloro che tornarono nella terra dei padri furono osteggiati dalla popolazione locale (vedi Esdra 4; Nehemia 4). I lavori per ricostruire il Santuario furono interrotti più volte, e il popolo si macchiò inoltre di vari peccati. (Nehemia 5-6). La restaurazione d’Israele preannunciata dai profeti avvenne, secondo le parole di Daniele (9:25), “in tempi angosciosi”.
È all’interno di questo scenario sconsolante che Aggeo e Zaccaria fanno udire il proprio messaggio. Secondo questi profeti, le antiche promesse di gloria e di redenzione non erano state annullate: la loro non realizzazione dipendeva soltanto dall’apatia del popolo nel compiere il volere divino.
“Vi aspettavate molto, ma in realtà c’è stato poco”, proclama Aggeo in nome di Dio, e subito dopo rivela: “Perché ciò avviene? […] A motivo del mio Tempio che giace in rovina, mentre ognuno di voi corre alla propria casa” (1:9).
Pur mettendo in luce le colpe d’Israele, i due profeti esortano il popolo a non abbattersi, ma a correggere la propria condotta per meritare le benedizioni tanto attese:
“E ora sii forte, Zerubavel – dice HaShem -, sii forte, Yehoshua figlio di Yehotsadak, Sommo Sacerdote; sii forte, o popolo tutto del paese – dice HaShem -, e mettetevi al lavoro, perché io sono con voi” (Aggeo 2:4).
“Le mie città avranno sovrabbondanza di beni, HaShem avrà ancora compassione di Sion ed eleggerà di nuovo Gerusalemme” (Zaccaria 1:7).
Nonostante l’ottimismo per il futuro che emerge da queste profezie, Zaccaria afferma chiaramente che il loro adempimento è comunque legato a una condizione:
“Questo avverrà se obbedirete diligentemente alla voce di HaShem, il vostro Dio” (6:15).
Dal punto di vista biblico, un profeta non è dunque colui che predice il futuro anticipando con i suoi oracoli i decreti di un destino inesorabile. Al contrario, il profeta insegna agli uomini come plasmare l’avvenire attraverso le proprie azioni, cogliendo le opportunità concesse da Dio.
Storicamente, la Redenzione maestosa annunciata da Zaccaria non divenne mai realtà: la Giudea rimase infatti una provincia sottomessa al regno di Persia, e il popolo ebraico non raggiunse mai uno splendore paragonabile a quello descritto dai profeti.
Eppure, quasi trecento anni dopo, l’eco di queste profezie rimaste senza adempimento dovette risuonare alle orecchie dei Maccabei quando il loro piccolo esercito trionfò sulle potenti schiere dei Greco-siriani e dei loro alleati. La riconsacrazione del Tempio e la conquista dell’indipendenza dal dominio straniero apparvero, già agli occhi dei contemporanei, come i primi importanti segni della gloria messianica promessa.
L’idea trova espressione nelle parole dei commentatori medievali. Rashi, in riferimento al libro di Aggeo (2:6), parla dei “miracoli avvenuti al tempo degli Asmonei (Maccabei)”; e Ibn Ezra, commentando il libro di Zaccaria, spiega che molte delle profezie in esso contenute si compirono con la vittoria sui Greci.
Anche la redenzione germogliata con la rivolta dei Maccabei finì però per appassire ben presto. A far infrangere il sogno di un regno ebraico libero e indipendente fu il declino morale e la corruzione della stessa dinastia che aveva portato il popolo alla vittoria. Eppure, questo sgradevole epilogo non può compromettere la validità del messaggio che i Saggi hanno voluto trasmettere nell’associare le parole di Zaccaria alla storia di Hanukkah, né può cancellare la speranza, sempre viva nel cuore dell’Ebraismo, secondo cui il futuro riserverà ancora un’altra occasione per dare adempimento alle promesse che non si sono mai pienamente compiute.