La Torah è immorale? Dibattito con un nostro lettore – Parte 2

Riprendiamo il nostro confronto sulla questione dell’etica universale dell’Ebraismo rispondendo alle argomentazioni critiche di un nostro lettore. Dopo aver parlato, nell’articolo precedente, dei temi dell’idolatria e del monoteismo biblico, questa volta discuteremo delle proibizioni dell’omicidio e del furto, riflettendo anche sull’idea molto diffusa secondo cui la Torah prescriverebbe un vero e proprio programma di “genocidio” contro intere popolazioni.

Il nostro lettore ha scritto:

DIVIETO DI OMICIDIO E FURTO
I precetti di non uccidere e rubare sono assolutamente superflui se vengono da Dio. Ogni comunità umana, anche le più perverse e criminali, perfino quelle animali, osservano d’istinto le regole indicate da tali precetti e le instaurano immancabilmente sul piano morale e legale essendo esse indispensabili per la vita sociale e famigliare. Se ciascun individuo fosse libero di ammazzare a capriccio in qualsiasi istante chi gli sta al fianco, o chi gli volge la schiena o chi sta dormendo, ma sapendo che pure gli altri hanno la medesima liberà nei suoi riguardi, allora ogni attività umana cesserebbe poiché ognuno penserebbe solo a spiare guardingo i suoi simili per assalirli e per non essere a sua volta aggredito. Naturalmente omicidi e furti avvengono con frequenza all’interno di qualsiasi gruppo umano; chi li commette, però, non è applaudito ma è inevitabilmente perseguito se non dalla giustizia di sicuro dalla vendetta altrui.

Lungi dall’essere superflui o scontati, i precetti biblici di “non uccidere” e “non rubare” rappresentano una delle più grandi innovazioni etiche introdotte dalla Torah. Sebbene infatti ogni comunità umana, fin dalle origini della civiltà, abbia sempre bandito l’omicidio e il furto, il punto di vista della Torah in merito a questi crimini è radicalmente diverso rispetto a quello delle altre legislazioni antiche.

I codici di leggi precedenti o contemporanei al Pentateuco, come il Codice di Hammurabi e le leggi medio-assire, prevedono indubbiamente pene molto severe contro l’omicidio e il furto. Tali codici, tuttavia, si limitano a regolare ciò che la società debba esigere dai criminali quando l’atto è già stato compiuto. Ad esempio, secondo Hammurabi, chi ruba del bestiame deve essere soggetto al pagamento di una certa somma di denaro (e se è troppo povero per pagare deve essere messo a morte). Secondo lo stesso codice – volendo citare un altro esempio, questa volta relativo all’omicidio – se una casa mal costruita crolla provocando la morte del suo proprietario, l’architetto negligente deve essere giustiziato.

Al contrario di queste antiche raccolte di leggi, la Torah non definisce solo le pene da applicare nel caso si compia un misfatto, ma formula per la prima volta proibizioni assolute: “non uccidere”, “non rubare”, appunto. La Legge biblica non mira quindi semplicemente a tutelare l’individuo e la nazione, fissando pene e risarcimenti che ristabiliscano l’ordine nella comunità qualora esso sia stato violato; piuttosto, il suo obiettivo è trasmettere un insegnamento morale universale valido a priori.

Esaminiamo la formulazione solenne con cui il Libro della Genesi riporta la proibizione dell’omicidio:

Del vostro sangue, per le vostre vite, chiederò conto. Da ogni animale ne chiederò conto, e dalla mano dell’uomo, dalla mano di ognuno che è suo fratello, chiederò conto della vita dell’uomo.
Chi versa il sangue dell’uomo, per mezzo dell’uomo il suo sangue sarà versato, poiché a immagine di Dio fu fatto l’uomo (Genesi 9:5-6).

Il comandamento non è legato ad alcuna motivazione pragmatica. Il fatto che l’essere umano sia stato creato a immagine di Dio rende lo spargimento di sangue di per sé, a prescindere dalle eccezioni che pure esistono, una dissacrazione e un affronto alla Volontà suprema. 

Come si traduce un principio astratto tanto elevato nella pratica? Possiamo rispondere a questa domanda se consideriamo il rispetto per la sacralità della vita che la Torah garantisce anche a coloro che, nelle legislazioni degli altri popoli, non godevano affatto di un simile diritto. Parliamo in particolare degli schiavi, una categoria che nel Vicino Oriente era assimilata alla semplice proprietà materiale.

Chi uccide uno schiavo, secondo la Legge biblica, è condannato per omicidio (Esodo 21:20). Per capire quanto questa idea sia rivoluzionaria basti pensare che persino presso i tanto progrediti Romani, in epoca molto più tarda rispetto alla Torah, il padrone aveva il diritto di disporre a piacimento del proprio schiavo, anche di ucciderlo (dal II secolo e.v. solo per una “giusta causa”), e poteva liberamente condannarlo a essere divorato dalle bestie nelle arene (un uso che fu sottoposto a limitazioni solo nel I secolo e.v.).

I comandamenti di “non uccidere” e “non rubare” non sono dunque “assolutamente superflui”. All’opposto, possiamo dire che con essi ha iniziato a prendere forma quel concetto che nel linguaggio del Talmud è definito Kavod HaBriyot (“onore delle creature”), e che altri sistemi di pensiero hanno poi denominato “dignità umana“.

Il precetto divino avrebbe senso se proibisse l’uccisione e la rapina di individui estranei alla comunità o alla nazione; ma le storie bibliche dimostrano che l’uccisione a livello di massa di gente non ebrea, colpevole di avere una propria religione e propri culti, costituiscono per il Dio unico cosa senz’altro lecita.

Nei versi della Genesi che abbiamo citato in precedenza, la condanna è rivolta contro “chi versa il sangue dell’uomo” (shofekh dam HaAdam). Il termine Adam (“uomo”, o meglio “essere umano”), ha un significato universale e abbraccia l’intera specie umana, creata nella sua interezza a immagine di Dio. Il testo non parla qui di comunità o di nazioni, e meno che mai di Ebrei: al contrario, qualsiasi omicidio è proibito.

Ma c’è di più: in un notevole slancio di universalismo, il brano afferma che ogni assassino è fratello della propria vittima (9:5). Facendo discendere tutti gli uomini da una sola famiglia originaria, la Torah stabilisce fra tutti gli individui della nostra specie un legame di fratellanza, presentando ogni omicidio come un fratricidio. Se molto spesso ciò non viene compreso, la colpa non è del nostro lettore o di chi, in maniera simile, critica il testo biblico; la colpa è invece di una parte del mondo religioso, che preferisce tralasciare l’insegnamento morale della Torah e il suo intento profondo per attaccarsi invece a un letteralismo anacronistico e nocivo, ponendo (inutilmente) la Bibbia in contrasto con la scienza moderna.

Dio donò al suo popolo una terra dove scorreva latte e miele, ma in quella terra vi abitavano già da secoli sette nazioni; la Bibbia naturalmente non manca di giustificare le uccisioni di centinaia di migliaia di bambini, neonati e feti nel ventre materno asserendo che tutti quegli infanti erano esseri malvagi meritevoli di essere uccisi.

La questione qui sollevata, relativa al precetto dello sterminio dei Cananei (Deut. 7:2; 20:16-17), è senza alcun dubbio dolorosa per qualsiasi lettore della Bibbia che sia dotato di un minimo di sensibilità morale. Essa, tuttavia, non va banalizzata o interpretata superficialmente, e meno che mai va presentata come se si trattasse del comandamento centrale della Torah, mentre è in realtà un’eccezione circoscritta a un tempo e a un luogo ben definiti. In che modo, allora, dobbiamo confrontarci con questi brani tanto problematici?

Innanzitutto, è bene precisare che ciò che la Torah nutre verso le nazioni di Kenaan non è un odio razziale. Gli stessi Israeliti erano, quasi fin dalle origini, imparentati con questi popoli: Yehudah (Giuda), figlio di Yaakov (Giacobbe), sposò una donna cananea (Genesi 38:2), e lo stesso fece suo fratello Shimon (43:23). Cananea era inoltre Rachav, la prostituta di Gerico che si schierò con Israele e fu perciò accolta dal popolo ebraico insieme alla sua famiglia (Giosuè 6:25), come anche, verosimilmente, i gherìm (“stranieri”) che dimoravano tra gli Israeliti già all’epoca della conquista della terra promessa (8:35). La tradizione rabbinica tramanda a questo proposito che i discendenti del generale cananeo Sisera divennero maestri della Torah a Gerusalemme (Ghittin 57b), e che il profeta Geremia era di origini cananee (Pesikta de-Rav
Kahana
13.5).

Rispetto ai Cananei, Israele non gode di alcun privilegio o superiorità: “Non è per la tua giustizia né per la rettitudine del tuo cuore che tu entri ad occupare il loro paese, ma è per la malvagità di queste nazioni che HaShem, il tuo Dio, le sta per scacciare davanti a te” (Deut. 9:5). E come Dio annuncia qui di privare i Cananei della loro terra a causa della loro malvagità, allo stesso modo dichiara che la stessa sorte sarà inflitta alla nazione ebraica qualora essa si corrompa (Deut. 28:63). In altre parole, Cananei malvagi e Israeliti malvagi subiscono il medesimo trattamento.

Una volta appurato quindi che la Torah si scaglia contro una società corrotta e una cultura depravata (e non contro una stirpe o un’etnia), non resta che chiederci per quale motivo il testo biblico, almeno in alcuni versi del Deuteronomio, comandi agli Israeliti di sterminare interamente le popolazioni di Kenaan, comprese le donne e i bambini, mentre nel caso di una guerra contro altre nazioni lo stesso testo precisa che dovranno essere uccisi solo i maschi adulti ( Deut. 20:12-14).

Nonostante la comprensibile necessità di porre fine alle nefandezze dei Cananei (tra cui ricordiamo i sacrifici umani), l’idea di un annientamento totale appare crudele e ingiusta, oltre che in contraddizione con il sublime concetto della creazione di ogni essere umano a immagine di Dio. Molti apologeti religiosi, in particolare cristiani, affermano a questo proposito che uccidere i bambini cananei rappresentava l’unico modo per sottrarre questi ultimi al destino di empietà e corruzione a cui sarebbero andati incontro vivendo all’interno del loro popolo, mentre attraverso la morte era loro garantita la grazia divina. Altri ritengono che lo sterminio, per quanto terribile, fosse all’epoca il solo mezzo concreto per eliminare il rischio etico costituito dal perpetuarsi dell’identità cananea. Queste argomentazioni, a nostro parere, non risolvono il dilemma morale, anzi, sollevano persino altre questioni teologiche piuttosto problematiche su cui non vogliamo ora soffermarci.

Per giungere a una comprensione migliore del testo biblico, appare invece molto più opportuno prendere in considerazione il linguaggio militare comunemente impiegato nel Vicino Oriente antico, che oggi in parte conosciamo grazie all’archeologia. Tale linguaggio, come si evince da alcune fonti, prevedeva l’uso di iperboli (esagerazioni retoriche da non intendere alla lettera), basate proprio sull’immagine del completo sterminio.

Un esempio emblematico ci viene fornito dalla Stele di Merneptah, in cui il sovrano egizio, celebrando una serie di vittoriose spedizioni militari, dichiara: “Israele è devastato, il suo seme non esiste più”. Naturalmente, sappiamo bene che la discendenza di Israele non fu realmente annientata tremila anni fa. Simili espressioni sono impiegate, fra gli altri, dal re ittita Mursili II, che afferma di aver “reso deserti il monte Asharpaya e i monti di Tarikarimu” e, in tempi meno remoti, dal re moabita Mesha, la cui Stele riporta: “Israele è completamente perito per sempre”.

Se accettiamo l’idea dell’esistenza di un linguaggio convenzionale che descriveva i successi militari presentandoli retoricamente come genocidi allo scopo di enfatizzarne la portata, possiamo risolvere molte apparenti contraddizioni riscontrabili nella Bibbia, tra cui:

  • In Deut. 7:2 si prescrive lo sterminio delle nazioni cananee; eppure, al verso successivo, il testo riporta: “Non ti imparenterai con loro, non darai le tue figlie ai loro figli e non prenderai le loro figlie per i tuoi figli”. Tale proibizione risulterebbe superflua se l’intento prescritto dalla Torah fosse quello di sterminare alla lettera l’intera popolazione nemica.
  • Dalla lettura dei capitoli 6-11 del libro di Giosuè, emerge un quadro sconvolgente di distruzione totale, con l’uccisione da parte degli Israeliti di “tutto ciò che respira” (10:40). La seconda parte del libro ci presenta invece una realtà più credibile, narrando la conquista incompleta del paese, ancora popolato da molti Cananei. Ad esempio, in Giosuè 10:33 si narra che la città cananea di Ghezer fu sconfitta e nessuno del suo popolo scampò al massacro; eppure, in seguito il testo ci dice che “Gli Israeliti non scacciarono i Cananei che abitavano a Ghezer” (16:10).
  • Secondo il racconto di 1 Samuele 15, l’intero popolo di Amalek fu sterminato da Saul. Ma alcuni anni dopo, ecco David combattere di nuovo contro gli Amalekiti, ancora esistenti in gran numero (1 Samuele 30).

Queste incongruenze scompaiono del tutto se leggiamo i versi che parlano di completa distruzione alla luce della terminologia militare dell’epoca, interpretandoli quindi in senso iperbolico. Proprio l’iperbole è del resto una figura retorica di cui la Bibbia fa ampio uso, anche in altri contesti: le città dei Cananei sono descritte come “grandi e fortificate fino al cielo” (Deut. 1:28); Israele è dapprima presentato come un popolo numeroso “come le stelle del cielo” (1:10) e poi, poco dopo, come “il più piccolo di tutti i popoli” (7:7): chiaramente, nessuna delle due esagerazioni è da intendere alla lettera.

Quello di amplificare la sconfitta di una nazione immaginandola come uno sterminio totale è un artificio retorico impiegato in modo ancora più eclatante dai Profeti. In riferimento alla distruzione di Gerusalemme a opera dei Babilonesi, Geremia enfatizza oltremodo la drammaticità dell’evento dichiarando: “Ogni città è abbandonata, non v’è rimasto un solo essere umano” (4:29); e poco prima, al v. 23, parlando dello stesso avvenimento, il profeta descrive persino la terra regredita al suo stato di “vuoto e desolazione”, come all’inizio della Genesi. Isaia, allo stesso modo, predice la distruzione di Babilonia affermando che “la terra sarà ridotta a un deserto” (13:9) e che l’uomo diventerà “più raro dell’oro” (13:12).

Qual è dunque il confine tra l’iperbole e la lettera? Dove finisce l’enfasi retorica e dove inizia invece la realtà concreta? Non lo sappiamo. Due rabbini e studiosi della Bibbia contemporanei, Rav Yoel Bin Nun e Rav Yaakov Medan, riprendendo un’interpretazione già elaborata nell’Ottocento dal Netziv, sostengono ad esempio che la Torah non abbia mai richiesto agli Israeliti di uccidere ogni singolo Cananeo, ma solo di prevalere su queste nazioni a tutti i costi, anche sacrificando vite civili se necessario.

Se l’idea suona forse troppo moderna, è tuttavia ragionevole ritenere, alla luce di tutte le fonti che abbiamo menzionato, che l’intento della Torah, al di là delle espressioni aspre e categoriche, sia quello di enfatizzare la necessità di sradicare una società gravemente degenerata combattendo con il massimo rigore. Questa visione non trasforma di certo la conquista della terra di Kenaan da parte di Giosuè in un’allegra passeggiata, ma libera il testo dall’inquietante quanto inverosimile idea di un genocidio programmatico meticolosamente eseguito.

29 commenti

  1. Sempre il medesimo problema irrisolvibile. A volte bisogna prenderle alla lettera le parole della Bibbia, ed altre volte no, e sono gli uomini a decidere ( non Dio) Iperbole o lettera, enfasi retorica o realtà, anche se lo stermino è stato parziale ( magari risparmiando donne e bambine) sempre sterminio è stato. Ma è Dio o sono gli uomini che amano le cose mezze mezze ed i compromessi? Dio ordinò lo sterminio totale, ed anzi rimproverò israele di non averlo portato a compimento. perché tu hai fatto questo, sono i popoli che hai lasciato vivere e che vivranno in mezzo a te la tua rovina gli dice in pratica ( non ricordo i versi e biblici e non mi va di andare a copiarli, lo può fare il redattore anziché voler prendere le difese di Dio).
    Che vogliano fare, chiamare Dio in giudizio per aver ordinato lo sterminio? Perchè per amore del suo popolo è stato parziale nella sua giustizia? Perché ha lasciato vivere i primogeniti degli Israeliti e sterminato quello degli egiziani? erano più giusti dei primogeniti egiziani i primogeniti israeliti qualora erano ancora in fasce? Come giustificherebbe Dio in questo caso il redattore? Anche il faraone potrebbe chiamare Dio in giudizio, perché nn si sa se erano tutti giusti il popolo di Israele. Perché se Dio per il suo amore, o solo perché gli serve per realizzare i suoi progettti, usasse parzialità verso il suo popolo, sarebbero proprio gli empi a chiamare in causa Dio in nome della sua giustizia . I tuoi primogeniti appartengono a me disse al suo popolo.. ma lui non avendo bisogno di nulla se non del cuore dell uomo gli piace solo donare ogni cosa.
    Ma a chi vorrebbe chiamarlo in giudizio, qualche folle potrebbe dire che dando in sacrificio il figlio suo ha pareggiato i conti con il faraone, e dando in sacrificio il popolo suo ha pareggiato i conti con gli altri popoli. Dio sterminò coloro che erano irremidiabilmnete corrotti sotto il diluvio e dopo aver donato la torah al suo popolo, seguendo la torah avrebbero dovuto agire come agisce lui. Convertire tutti al suo nome, ed operare solo al limite contro i malvagi, invece di scendere a compromesso con loro, non potendo che perdere loro, perché sono gli amici che si sceglie il problema di israele e mai i nemici. Ma ciò che loro dovevano fare agli altri popoli, cosi volevano fare i nazisti con loro, perché chi doveva estirpare la radice del male, e chi invece eliminare la radice del bene ( o meglio l’amore per la vita o per la morte e tutto il resto) ma dopo la shoà è rinata israele, rincontrandosi con il suo libro non restandogli che incontrarsi con il suo messia, perché nessuno può chiamare in giudizio Dio.

  2. Sguardoasion scrive:
    “Lungi dall’essere superflui o scontati, i precetti biblici di “non uccidere” e “non rubare” rappresentano una delle più grandi innovazioni etiche introdotte dalla Torah […. ] Il suo obiettivo è trasmettere un insegnamento morale universale valido a priori.”

    Il modo omicida con cui Dio ha dato al popolo eletto un alloggio stabile in casa d’altri, rende, però, assai arduo vedere nei comandamenti di non uccidere e di non rubare suoi insegnamenti etici “universali” e “rivoluzionari”.
    Come futura residenza per questo popolo di sacerdoti, infatti, Dio scelse una terra dove vi aveva già insediato sette popolazioni numerose fissando i confini delle nazioni. Guidò poi il popolo eletto all’appropriazione con le armi di quella terra, di quelle città, di quelle case, di quei campi coltivati, con l’ordine tassativo di non lasciare in vita nessun essere che respira.
    Come non bastasse, aggiunse a tali disposizioni “moralmente educative” l’ammonimento a essergli grato dopo che quelle rapine, omicidi e infanticidi di massa fossero terminati:

    “Quando il Signore tuo Dio ti avrà fatto entrare nel paese che ai tuoi padri Abramo, Isacco e Giacobbe aveva giurato di darti; quando ti avrà condotto alle città grandi e belle che tu non hai edificate, alle case piene di ogni bene che tu non hai riempite, alle cisterne scavate ma non da te, alle vigne e agli oliveti che tu non hai piantati, quando avrai mangiato e ti sarai saziato, guardati dal dimenticare il Signore.” (Deuteronomio 6:10-12, CEI.)

    A compimento di tali “lezioni pratiche di etica”, Dio non mancò di rinfacciare al suo popolo quanto gli aveva donato:

    “Vi diedi una terra, che voi non avevate lavorata, e abitate in città, che voi non avete costruite, e mangiate i frutti delle vigne e degli oliveti, che non avete piantati.” (Giosuè 24:13, CEI.)

    Il legislatore che ha comandato “Non uccidere” e “Non rubare”, aveva davvero le idee chiare sull’eticità universale di questi concetti?

    Sguardoasion scrive:
    “Chi uccide uno schiavo, secondo la Legge biblica, è condannato per omicidio (Esodo 21:20). Per capire quanto questa idea sia rivoluzionaria basti pensare che persino presso i tanto progrediti Romani, in epoca molto più tarda rispetto alla Torah, il padrone aveva il diritto di disporre a piacimento del proprio schiavo, anche di ucciderlo.”

    A Roma non c’erano romani che vendessero se stessi come schiavi; questi erano stranieri acquistati nei mercati come qualunque altro utensile. Gli ebrei, invece, avevano principalmente come schiavi altri ebrei, i quali si sottoponevano alla condizione servile volontariamente e solo a tempo determinato in cambio di una somma versata loro in anticipo. Questi schiavi ebrei, essendo volontari, erano tutelati da un contratto che garantiva loro molti diritti.
    I padroni ebrei avevano tuttavia anche loro, come i romani, schiavi stranieri, comprati come oggetti e di loro proprietà a vita. La notevole differenza fra schiavo ebreo volontario, che non era lecito uccidere perché sarebbe tornato a essere un libero cittadino, e lo schiavo straniero che si poteva trattare con durezza e quindi uccidere, è ben evidenziata in Levitico 25: 39-46.
    Le normative “contrattuali” sulla schiavitù volontaria degli ebrei danno adito, ovviamente, all’equivoco di immaginarle estese pure agli schiavi stranieri: così la Torah, volendo, si può far apparire rivoluzionaria e umana.

    Oggi tutti i paesi europei e la maggior parte di quelli occidentali ripudiano la pena di morte per i rei. La Torah, che sarebbe rivoluzionaria, contempla in moltissimi suoi decreti la pena capitale, che tra l’altro non il carnefice ma il popolo stesso doveva eseguire lapidando i colpevoli. A ciò aggiungiamo la legge del taglione che consentiva al parente della vittima di giustiziare con le proprie mani il colpevole.
    Il lavoro di boia esercitato DIRETTAMENTE dal popolo, quanto poteva educarlo ad aborrire l’uccisione dei propri simili?

    Sguardoasion scrive:
    “Innanzitutto, è bene precisare che ciò che la Torah nutre verso le nazioni di Kenaan non è un odio razziale. Gli stessi Israeliti erano, quasi fin dalle origini, imparentati con questi popoli: Yehudah (Giuda), figlio di Yaakov (Giacobbe), sposò una donna cananea (Genesi 38:2), e lo stesso fece suo fratello Shimon (43:23). Cananea era inoltre Rachav, la prostituta di Gerico che si schierò con Israele e fu perciò accolta dal popolo ebraico insieme alla sua famiglia (Giosuè 6:25).”

    I rari matrimoni con donne cananee non sembrano siano esaltati nei racconti biblici. L’idiosincrasia dei patriarchi ebrei verso le donne di Canaan comincia con Abramo che affida al suo amministratore l’incarico di trovare una sposa per suo figlio Isacco. Prima, però, gli fa giurare: “Non prenderai per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei, in mezzo ai quali abito.” (Genesi 24:3).

    Il superficiale Esaù sposò due cananee che: “furono causa d’intima amarezza per Isacco e per Rebecca. (Genesi 26: 35).

    Rebecca aveva disgusto per tutte le donne hittite, per questo volle che almeno l’altro figlio Giacobbe non sposasse una di loro. “Poi Rebecca disse a Isacco: «Ho disgusto della mia vita a causa di queste donne hittite: se Giacobbe prende moglie tra le hittite come queste, tra le figlie del paese, a che mi giova la vita?».” (Genesi 27:46).

    Isacco aveva la sua stessa opinione sulle donne del luogo: “Allora Isacco chiamò Giacobbe, lo benedisse e gli diede questo comando: «Tu non devi prender moglie tra le figlie di Canaan.»” (Genesi 28:1)

    I dodici figli maschi di Giacobbe, sebbene risiedessero in Canaan, non sposarono neppure loro donne del luogo, eccetto Simeone – egli ebbe più di una moglie, delle quali una era cananea, cosa che lo scrittore biblico tiene a precisare – e Giuda.
    Simeone, come già Esaù, è dipinto come un personaggio negativo, tanto che fu maledetto da suo padre. Giuda, invece, ricevette la benedizione paterna, ma ebbe anche la predizione che dal suo seme sarebbe sorto un grande governante. I tre figli di Giuda, però, erano stati partoriti da una donna cananea; non per caso i primi due furono fatti morire direttamente da Dio per la loro malvagità.
    Il rapporto, seppure “incestuoso” fra Giuda e sua nuora Tamar, fu invece benedetto da Dio poiché da quell’unione, quantomeno non inquinata da sangue cananeo, discese la stirpe davidica.

    La prostituta Raab fu accolta con la sua famiglia dagli israeliti NON per essersi schierata con Israele; la ragione fu che costei aveva estorto un giuramento alle due spie israelite e i giuramenti erano sacri in quei tempi. Per Raab fu soltanto una transazione d’affari: tradimento in cambio della salvezza poiché lei sapeva che il Dio degli israeliti non faceva prigionieri.
    Le sviolinate che Raab pronunciò a favore del Dio d’Israele – di cui lei non poteva conoscere nulla se non vaghe e distorte nozioni avute da qualche cliente forestiero – non potrebbero essere semplici “iperboli”?

    Sguardoasion scrive:
    “E come Dio annuncia qui di privare i Cananei della loro terra a causa della loro malvagità, allo stesso modo dichiara che la stessa sorte sarà inflitta alla nazione ebraica qualora essa si corrompa (Deut. 28:63). In altre parole, Cananei malvagi e Israeliti malvagi subiscono il medesimo trattamento.”

    Gli israeliti sono definiti “Popolo di dura cervice”: questa espressione non condanna la loro cultura ma il loro cervello. Per la Bibbia, gli israeliti avevano una sola, durissima testa, così come i cananei avevano un solo, durissimo cuore.
    In realtà un popolo non è un corpo unico con una sola testa o un solo cuore ma è un insieme di persone intimamente diverse, come diversi erano Caino e Abele.
    Ma gli scrittori biblici, data la loro arcaicità, non riuscivano ancora a distinguere fra il singolo e la collettività. Di conseguenza, il Dio biblico giudicava popoli e nazioni come fossero singoli individui.

    Sguardoasion scrive:
    “Se accettiamo l’idea dell’esistenza di un linguaggio convenzionale che descriveva i successi militari presentandoli retoricamente come genocidi allo scopo di enfatizzarne la portata, possiamo risolvere molte apparenti contraddizioni riscontrabili nella Bibbia, tra cui:
    In Deut. 7:2 si prescrive lo sterminio delle nazioni cananee; eppure, al verso successivo, il testo riporta: “Non ti imparenterai con loro, non darai le tue figlie ai loro figli e non prenderai le loro figlie per i tuoi figli”. Tale proibizione risulterebbe superflua se l’intento prescritto dalla Torah fosse quello di sterminare alla lettera l’intera popolazione nemica.”

    Il comandamento che riporto di seguito sarebbe dunque un’iperbole?

    “Soltanto nelle città di questi popoli che il Signore tuo Dio ti dà in eredità, non lascerai in vita alcun essere che respiri; ma li voterai allo sterminio: cioè gli Hittiti, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei e i Gebusei, come il Signore tuo Dio ti ha comandato di fare, perché essi non v’insegnino a commettere tutti gli abomini che fanno per i loro dèi e voi non pecchiate contro il Signore vostro Dio.” (Deuteronomio 20:16-18)

    “Iperbolici” potrebbero essere i resoconti delle vittorie israelite laddove si parla di genocidi, ma considerare iperbolico anche il citato comando biblico non è proprio una lode all’intelligenza divina.
    Infatti, se l’intento di Dio era di rendere la Terra Promessa incontaminata dal paganesimo per creare una nazione santa e di sacerdoti – analogamente a un locale che va sterilizzato dai germi prima di adibirlo a sala chirurgica – è chiaro che tutti gli idolatri residenti in quella regione dovevano essere annientati.
    Molte storie bibliche vogliono dimostrare l’effetto contaminante del “germe” pagano: per esempio il re Salomone, con tutta la sua saggezza, fu deviato verso l’apostasia da alcune delle sue mille mogli, appunto da quelle provenienti da nazioni idolatriche.

    Il mancato sterminio delle popolazioni autoctone di Canaan non è un’apparente contraddizione causata dall’uso di un linguaggio iperbolico, ma un preciso proposito di Dio così motivato:

    “Ora l’angelo del Signore salì da Gàlgala a Bochim e disse: «Io vi ho fatti uscire dall’Egitto e vi ho condotti nel paese, che avevo giurato ai vostri padri di darvi. Avevo anche detto: Non romperò mai la mia alleanza con voi; voi non farete alleanza con gli abitanti di questo paese; distruggerete i loro altari. Ma voi non avete obbedito alla mia voce. Perché avete fatto questo? Perciò anch’io dico: non li scaccerò dinanzi a voi; ma essi vi staranno ai fianchi e i loro dèi saranno per voi un inciampo».” (Giudici 2: 1-3, CEI)

    Inoltre, se i comandamenti sono iperbolici e quindi da non prendere alla lettera, ciò dovrebbe valere pure per il “Non uccidere” che, ridimensionato, diverrebbe: “Non assassinare il tuo compatriota ma ammazza tranquillamente i pagani.” A eccezione, beninteso, dei forestieri ospiti in terra d’Israele.
    Sansone, per esempio, assassinò per rapinarli delle loro vesti trenta passanti filistei, e in quest’impresa lo spirito divino lo accompagnava. Ma egli fece ciò nel paese dei filistei: di sicuro non avrebbe agito allo stesso modo in Israele né a danno di israeliti né di forestieri.

    Ancora una nota sul comandamento “Non uccidere”: se davvero, proprio in virtù della sua sinteticità, avesse un significato universale, perché non esiste, in tutto il Tanack, almeno una frase, altrettanto universale, che vieti i sacrifici umani?
    Tipo: “Non praticare sacrifici umani”. Invece, ve ne sono ben 25 che vietano o condannano tutti, in modo specifico, di immolare la prole.

  3. Non só, come fai Sguardo a Sion a sopportare e a rispondere ancora questo individuo antisemita, palesemente ateo e ignorante che scrive solo per prendere per i fondelli divertendosi a ridicolizzare la scrittura leggendo quello che gli pare dimostrando così tutta la sua ottusità e microcefalia mentale. Non vale proprio la pena perdere tempo!

    Peccato che non si possa rispondere a tono a questo illuminato e stimato signore perché si verrebbe censurati…

    1. Peccato, sì, che siano passati i bei tempi, quando gli scrittori che criticavano le verità eterne se non abiuravano finivano al rogo e i loro scritti erano messi all’indice.
      Anche a un filosofo ebreo, di nome Baruch Spinoza, capitò di essere qualificato, pressapoco, ottuso e microcefalo mentale proprio dalla comunità ebraica. Questa lo scomunicò per le sue idee non allineate.
      Un altro filosofo ha scritto “Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderei fino alla morte il tuo diritto a dirlo.” (Frase attribuita a Voltaire). Questo principio fa parte del nostro mondo democratico, poiché si è compreso che la critica è il motore del progresso. Non per niente i regimi totalitari non ammettono la libertà d’opinione.

      Da come scrivi, fai velatamente pensare che non difenderesti fino alla morte il diritto di mettere in discussione le tue granitiche certezze.

      1. Illustre Marco, la critica seria e corretta, è il motore del progresso ma NON un’accozzaglia di dichiarazioni confuse e sconnesse come le tue, che NON separano la verità dalla menzogna!
        È facile criticare il monoteismo Abramitico, ritenuto fonte di violenza e di intolleranza mentre si dimentica che il Novecento è stato teatro di sistemi politici e sociali, non certo teisti, ma radicalmente atei come lo sei tu, impegnati solo ad imporre una visione del mondo aberrante e disumana.. Sono criminali atei come Hitler, Stalin, Mao, Pol Pot, … che hanno creato Auschwitz, i gulag e i campi di sterminio di massa, leggi e dogmi razziali ecc.. altro che la Torah è immorale!!!!. Immorale è questo modo di criticare, e pensare!! E’ questi sono esempi di ciò che accade quando gli esseri umani rifiutano Dio. Non per niente nella storia dell’umanità, la violenza pare crescere, paradossalmente, diciamo così, non con la “religione”, che ha piuttosto una funzione moderatrice o inibitoria, bensì con l’applicazione di una razionalità emancipata, libera, sicura di sé come quella odierna. E’ proprio la depravazione dell’uomo che ha introdotto la violenza nella storia, non certo Dio. E hai il coraggioi di fare una morale da strapazzoi come un boy-scout? Ma sùvvia siamo seri….sei imbarazzante…

        E che dire poi del fatto che che descrivi il Dio della Torah come sanguinario istigatore della pulizia etnica, razzista, infanticida, genocida, violento ecc… un Dio che avrebbe pianificato a tuo dire, una vera e propria pulizia etnica, volta all’eliminazione di popoli che appartenevano a una razza diversa da quella ebraica …. mentre come ti ha già detto Sguardo a Sion, la punizione divina sui Cananei non viene mai ricondotta nella Bibbia, alla loro identità razziale, ma è piuttosto dovuta alla malvagità delle loro azioni e alla loro tenace dedizione a pratiche immorali e intollerabili fra cui, quella di sacrificare i figli alle divinità?
        La punizione divina, e la privazione della terra, ha semplicemente messo un argine a quest’usanza, vietata categoricamente da HaShem anche agli stessi Israeliti.
        Inoltre, l’ordine impartito da Dio a Israele va inteso come un “unicum” un caso isolato e irripetibile nel contesto di una vicenda biblica. Anche le dimensioni della conquista di Canaan da parte degli Israeliti, del resto, sono state regolate da HaShem stesso: infatti non si sarebbe trattato di un’espansione indiscriminata come quella dei grandi imperi dell’antichità, ma dell’acquisizione di un territorio per il quale Dio aveva fissato dei precisi confini (vedi Giosuè 1.3-4; Deut. 11v.24; Giosuè 13.1-7). Inoltre la pazienza di Dio nei confronti dei Cananei si era manifestata anche nella lentezza con cui Egli ha messo in atto il proprio giudizio, con un “ritardo” di centinaia di anni rispetto al tempo in cui aveva già espresso ad Abramo il proprio disappunto per i peccati di questi popoli (Genesi 15.13-16). In seguito poi, la pazienza di HaShem ha unito la Sua giustizia, che è perfetta in quanto imparziale, come conferma il fatto che Egli non abbia esitato a denunciare e a punire le colpe di quanti nello stesso popolo d’Israele, erano arrivati ad agire peggio dei Cananei (2 Re 21.6-11).
        Per quanto riguarda la schiavitù mettendo a confronto il sistema sociale delineato della Torah, con gli ordinamenti in vigore presso altre società, per esempio quella dell’antica Roma, si deve riconoscere che solo presso gli Ebrei agli schiavi erano garantiti diritti come quello di godere del giorno del riposo sabbatico (Deut. 5.13-14) di essere rimessi in libertà nel caso in cui il padrone avesse provocato loro un danno fisico (Esodo 21.26-27). Inoltre chi avesse accolto uno schiavo fuggito dal suo padrone, non era tenuto a non riconsegnarlo a quest’ultimo (Deut. 23.-15-16), un trattamento ben più umano rispetto a quello documentato presso altri popoli mi sembra. Non trovi?
        Per quanto riguarda gli ebrei che diventavano schiavi invece, in genere per povertà, consegnandosi essi stessi a un padrone allo scopo di essere mantenuti, alloggiavano presso di lui e venendo forniti di cibo e vestiario, o ebrei che per debiti contratti che non riuscivano a pagare, risarcivano così il creditore con il proprio lavoro fino all’anno sabatico. Analogamente un ladro che non poteva restituire il valore del furto commesso, indennizzava il derubato con il lavoro da schiavo fino all’anno sabatico….
        Un altro caso particolare di scelta della schiavitù per uscire dalla miseria era quello del padre che vendeva la figlia, prima dei dodici anni, con la prospettiva che il compratore la tenesse poi,una volta cresciuta, come moglie, quindi con un vantaggio di condizione per lei rispetto alla ristrettezza della casa paterna. Era una vendita per prospettato matrimonio. E se il padrone, dopo averla acquistata, non trovava attrazione in lei o se non la voleva destinare in moglie al figlio, non poteva venderla ad altro acquirente. O se il padrone sposava un’altra donna,doveva non farle mancare il vitto, il vestiario e l’alloggio, sottinteso un alloggio decente, evidentemente in cambio di un servizio, ma non umiliante e non troppo gravoso. E se non adempiva e a queste tre condizioni, doveva liberarla gratuitamente, senza indugio e senza riscatto. Dovè l’immoralità a tuo dire in tutto questo?

        Che dire poi del Levitico, (cap. 25, v, 39) che esorta, alla sensibilità fraterna, a trattare bene ogni connazionale che si sia consegnato in schiavitù per povertà, presumibilmente intendendo anche uno schiavo straniero? Lo schiavo straniero, per quanto non tutelato come lo schiavo ebreo, invece, godeva sotto il padrone ebreo tra l’altro del riposo sabbatico… e inoltre al Giubileo anche gli schiavi non ebrei potevano esser liberati….

        Per il non uccidere invece, bisogna tenere conto della differenza di criterio tra il precetto di non uccidere, dato ai singoli per trattenerli dagli impulsi di aggressività in casi di privata litigiosità o a scopo di rapina o di vendetta, e la comminazione della pena capitale per punizione dell’avvenuto omicidio, con giudizio emesso in nome dell’ordine nella collettività. Bisogna comunque distinguere il nemico personale entro una stessa società dal nemico internazionale…., è la stessa logica di guerra, quando la conciliazione diventa impossibile diventa lecito uccidere con una violenza “giusta”per combattere una violenza “ingiusta” e a mio avviso, è più che legittimo e motivato…

        Certo, la Torah non si spinge certo all’amore del nemico, ma però induce a gesti di lealtà, (e non è poco), che possono avvicinare la conciliazione: è scritto se tu trovi il toro del tuo nemico o il suo asino smarrito, abbi cura di ricondurglielo. Se tu scorgi l’asino del tuo nemico soccombente sotto il proprio peso, guardati bene dall’abbandonarlo, al contrario lo aiuterai a scaricarlo…..

        Pertanto le tue critiche fin qui, non sono altro che gratuite mistificazioni e distorsioni del testo biblico frutto di ignoranza oltre che di pregiudizi e mancanza studi seri e approfonditi.

        Ps: per quanto riguarda Spinoza, che è stato un caso limite, devi sapere che nella cultura ebraica c’è sempre stato spazio anche per posizioni di minoranza rispetto ad altre religione… Sì, ho granitiche certezze su HaShem e la Torah, perché la Torah è ricchezza, è luce, è vita… è un libro di riferimento da studiare e commentare per tutta la vita, oltre che un codice di leggi da rispettare. E’ come un cosmo entro cui vivere la propria esistenza…

  4. Dunque, cerchiamo di andare con ordine…

    Obiezione 1: Come futura residenza per questo popolo di sacerdoti, infatti, Dio scelse una terra dove vi aveva già insediato sette popolazioni numerose fissando i confini delle nazioni.

    Risposta: Biblicamente parlando, i Cananei non dovevano essere scacciati per far posto al popolo eletto, ma per la loro malvagità. Non a caso il testo ci dice che al tempo di Avraham questi popoli non meritavano ancora di essere espulsi: Dio gli diede altri 400 anni di tempo per ravvedersi. Al termine di questo periodo, lo stesso Dio che aveva dato quella terra ai Cananei decretò di privarli di tale eredità.

    Obiezione 1: La notevole differenza fra schiavo ebreo volontario, che non era lecito uccidere perché sarebbe tornato a essere un libero cittadino, e lo schiavo straniero che si poteva trattare con durezza e quindi uccidere

    Risposta: Come tu possa balzare da “Potrete trattarli con severità” a “Potrete liberamente ucciderli” è un autentico mistero della fede. Di certo questa non è la conclusione tratta dalla tradizione ebraica, che ha sempre applicato la proibizione di uccidere uno schiavo a tutti gli schiavi, non solo agli Ebrei. E non è neppure una conclusione ragionevole alla luce del solo testo biblico, che esorta solennemente gli Israeliti a trattare gli stranieri ricordando di essere stati schiavi nella terra d’Egitto. E non dimentichiamo le parole di Giobbe: “Se ho negato i diritti del mio schiavo e della schiava in lite con me, cosa farò, quando Dio si alzerà, e quando mi chiederà conto, cosa risponderò? Chi ha fatto me nel seno materno, non ha fatto forse anche lui? Non fu lo stesso Dio a formarci nel grembo?” (31:13-15).

    Obiezione 3: La prostituta Raab fu accolta con la sua famiglia dagli israeliti NON per essersi schierata con Israele; la ragione fu che costei aveva estorto un giuramento alle due spie israelite e i giuramenti erano sacri in quei tempi.

    Risposta: Giuramento motivato appunto dal fatto che Rachav si era schierata dalla parte degli Israeliti. Ed è chiaro che il testo ci presenta Rachav in chiave positiva, tracciando parallelismi tra la sua salvezza e quella degli Israeliti risparmiati dalla decima piaga (panno scarlatto = sangue dell’agnello pasquale); ma questa è un’altra storia.

    Obiezione 4: Ma gli scrittori biblici, data la loro arcaicità, non riuscivano ancora a distinguere fra il singolo e la collettività.

    Risposta 4: Questi scrittori selvaggi e arcaici che dipingi pongono al contrario spesso molta enfasi sul contrasto tra la collettività corrotta e il singolo innocente. Certo, ciò avviene per mezzo del linguaggio iperbolico e categorico tipico dei popoli semiti, che sembra ignorare le vie di mezzo e gli stadi intermedi quando narra fatti o descrive situazioni.

    Obiezione 5: Molte storie bibliche vogliono dimostrare l’effetto contaminante del “germe” pagano

    Risposta: Non troviamo nel testo biblico alcun rimprovero divino verso gli Israeliti per non aver sterminato fino all’ultimo Cananeo. Piuttosto, il testo li rimprovera per non aver demolito i loro altari e per essere scesi a compromessi con loro (compromessi religiosi e culturali). Del resto, se la Torah pretendesse davvero una pulizia etnica totale per purificare la terra, non prescriverebbe agli Israeliti di offrire prima di tutto la pace (o meglio “la resa”) ai nemici.

    Obiezione 6: Inoltre, se i comandamenti sono iperbolici e quindi da non prendere alla lettera, ciò dovrebbe valere pure per il “Non uccidere”

    Risposta: Non ho interpretato arbitrariamente in senso iperbolico i comandi relativi allo sterminio. Mi sono invece basato sul linguaggio militare convenzionale dell’epoca, che appunto descriveva grandi vittorie nei termini di genocidi. Per cui non possiamo applicare la stessa idea a piacimento a qualsiasi precetto.

    Obiezione 7: Perché non esiste, in tutto il Tanakh, almeno una frase, altrettanto universale, che vieti i sacrifici umani?

    Risposta: Probabilmente per lo stesso motivo per cui la Torah condanna solo la strega e non lo stregone, o parla di buoi, asini o capretti e non di altri animali, non per questo limitando l’applicazione di tali precetti alle sole categorie espressamente menzionate.

    Sicuramente ho tralasciato qualcosa, ma confido che non mancherà occasione per discutere ulteriormente.

    1. Scrivi:
      “Biblicamente parlando, i Cananei non dovevano essere scacciati per far posto al popolo eletto, ma per la loro malvagità. Non a caso il testo ci dice che al tempo di Avraham questi popoli non meritavano ancora di essere espulsi: Dio gli diede altri 400 anni di tempo per ravvedersi. Al termine di questo periodo, lo stesso Dio che aveva dato quella terra ai Cananei decretò di privarli di tale eredità.”

      400 anni di tempo perché i cananei si ravvedessero: ma da cosa? Dalla cultura in cui ciascun individuo nasce ed è allevato a credere come onorevoli i canoni cui è stato formato? Come fa un cannibale a capire che mangiare la carne dei propri nemici è male se gli hanno sempre insegnato che è disonorevole non mangiarla? I cananei erano un popolo sottoposto a monarchie assolutiste; era gente analfabeta, composta per la massima parte di contadini e pastori schiacciati anche nella psiche dal potere dei ceti dominanti. Come potevano capire che i propri parametri culturali erano “malvagi”? Non avrebbero potuto cambiarli né in 400 anni né in 400 secoli senza una forza esterna che intervenisse a divulgare e a insegnare modelli culturali differenti.
      Nella storia i mutamenti culturali dei popoli, quando avvengono, dipendono da dinamiche complesse. Ancora oggi vi sono popolazioni rimaste alla cultura tribale del sapiens di ventimila anni fa.
      Sottolineo questa tua affermazione: “Lo stesso Dio che aveva dato quella terra ai Cananei decretò di privarli di tale eredità.”
      Il colonialismo occidentale, oggi universalmente condannato, ha applicato questa medesima logica alle popolazioni autoctone delle Americhe, dell’Africa, dell’Australia, dell’India, del Giappone, della Cina, della Polinesia. La “colpa” di quelle popolazioni schiavizzate, espropriate, sterminate, sfruttate dal colonialismo è stata di non avere la cultura “superiore” dei bianchi. Tali culture erano etichettate come malvagie perché idolatriche, politeiste, antropofaghe, selvagge ecc., mentre gli invasori occidentali si consideravano superiori anche per la loro religione rivelata.
      Questi argomenti, in realtà, andrebbero presentati agli antichi scrittori biblici, che erano ignari delle attuali scienze antropologiche e di molto altro. Per giustificare il loro modo di pensare, è proprio necessario ragionare come loro?

      Scrivi:
      “Come tu possa balzare da “Potrete trattarli con severità” a “Potrete liberamente ucciderli” è un autentico mistero della fede. Di certo questa non è la conclusione tratta dalla tradizione ebraica, che ha sempre applicato la proibizione di uccidere uno schiavo a tutti gli schiavi, non solo agli Ebrei. E non è neppure una conclusione ragionevole alla luce del solo testo biblico, che esorta solennemente gli Israeliti a trattare gli stranieri ricordando di essere stati schiavi nella terra d’Egitto. E non dimentichiamo le parole di Giobbe: “Se ho negato i diritti del mio schiavo e della schiava in lite con me, cosa farò, quando Dio si alzerà, e quando mi chiederà conto, cosa risponderò? Chi ha fatto me nel seno materno, non ha fatto forse anche lui? Non fu lo stesso Dio a formarci nel grembo?” (31:13-15).”

      Non è un mistero della fede ma logica commerciale; se la tua auto è diventata un rottame, tu continui a mantenerla? Che fine facevano gli schiavi legati ai remi delle galere quando non erano più in grado di remare? Anche l’ebreo padrone di uno schiavo straniero indebolito non aveva convenienza a mantenere una bocca inutile da sfamare per il resto dei suoi giorni. Se pure non lo uccideva di persona, di sicuro lo sfruttava fino all’ultimo perché era suo denaro. Che il trattamento delle due tipologie di schiavi in Israele fosse paritario è un’asserzione dogmatica. Divieti specifici di “rottamare” gli schiavi stranieri diventati improduttivi non ve ne sono nella Torah, che ammonisce solamente a non trattare gli schiavi ebrei volontari come “schiavi”.
      Il rispetto per gli stranieri riguardava solo quelli liberi, cioè i visitatori, i commercianti, i mestieranti, i mercenari, insomma individui che trasmettevano informazioni, merci, tecnologie ecc, e che erano sacri in ogni parte del globo. La norma biblica che sancisce il rispetto del forestiero non c’entra nulla con gli schiavi stranieri: come in ogni altra nazione antica, c’era il distinguo fra gli schiavi da sfruttare e i liberi viandanti da rispettare.
      Riguardo alle parole di Giobbe, la maggior parte delle versioni della Bibbia non traduce “schiavo” ma usa espressioni più verosimili: “servitore” o servo”. Giobbe, che non era ebreo ma viveva nel paese di Uz, era sottoposto alle leggi e alle consuetudini del Vicino Oriente, dove è assai improbabile che gli schiavi avessero diritti e che potessero litigare col padrone. Però, in tutto il mondo antico, oltre agli schiavi c’erano i servi, che erano uomini liberi salariati; essi erano insignificanti per la loro povertà rispetto all’uomo ricchissimo, tuttavia avevano diritti che potevano far valere in lite col padrone. Giobbe, un ricco orientale, si dimostra “democratico” e sensibile verso i diritti dei suoi dipendenti plebei.

      Scrivi:
      “Giuramento motivato appunto dal fatto che Rachav si era schierata dalla parte degli Israeliti. Ed è chiaro che il testo ci presenta Rachav in chiave positiva, tracciando parallelismi tra la sua salvezza e quella degli Israeliti risparmiati dalla decima piaga (panno scarlatto = sangue dell’agnello pasquale); ma questa è un’altra storia.”

      Quel giuramento era motivato dal fatto che i soldati di Gerico erano informati che le spie israelite si trovavano da Raab e stavano per irrompere in casa sua. Fu lei a dirottarli altrove. Ma se quelle spie avessero rifiutato di giurare di risparmiare lei e la sua famiglia, Raab li avrebbe salvati comunque? O piuttosto avrebbe minacciato di gridare per far tornare le guardie?
      La Torah giudica positivamente quella donna perché, in cambio della pelle, vendette la propria gente… ma a favore d’Israele! La Torah, col canto di Deborah, addirittura esalta un’altra donna straniera e pagana, una certa Iael, che assassinò nel sonno un nemico non del suo popolo bensì d’Israele che si era rifugiato nella sua tenda. Costui non era finito lì per caso: il marito di questa Iael, assente nel frattempo, era amico di quell’uomo.
      Durante la seconda guerra mondiale molti ebrei, partigiani e paracadutisti alleati trovarono rifugio nelle case di contadini che rischiarono la vita per aiutarli. Se fra quei contadini ci fosse stata una qualche Iael, che nascondeva ma poi denunciava i rifugiati, chi avrebbe cantato le sue lodi?
      Le lodi di parte verso azioni tanto spregevoli quanto quelle compiute dalle donne menzionate, non le giustificano certamente.

      Scrivi:
      “Questi scrittori selvaggi e arcaici che dipingi pongono al contrario spesso molta enfasi sul contrasto tra la collettività corrotta e il singolo innocente. Certo, ciò avviene per mezzo del linguaggio iperbolico e categorico tipico dei popoli semiti, che sembra ignorare le vie di mezzo e gli stadi intermedi quando narra fatti o descrive situazioni.”

      Infatti: da una parte c’è l’intera umanità antidiluviana corrotta tranne il solo Noè; poi tutta la popolazione peccaminosa delle cinque città della pianura eccetto il solo Lot; infine tutti gli israeliti adoratori del vitello d’oro e che Dio intendeva sterminare, all’infuori di Mosè. Queste “iperboli” sarebbero solo vezzi narrativi, o sono generate da scrittori appartenenti a un’umanità tutt’altro che evoluta?

      Scrivi:
      “Non troviamo nel testo biblico alcun rimprovero divino verso gli Israeliti per non aver sterminato fino all’ultimo Cananeo. Piuttosto, il testo li rimprovera per non aver demolito i loro altari e per essere scesi a compromessi con loro (compromessi religiosi e culturali). Del resto, se la Torah pretendesse davvero una pulizia etnica totale per purificare la terra, non prescriverebbe agli Israeliti di offrire prima di tutto la pace (o meglio “la resa”) ai nemici.”

      Nessun rimprovero? Re Saul sterminò gli amaleciti ma, avendone risparmiato solamente uno, cioè il loro re Agag, fu biasimato da Samuele e poi anche castigato da Dio. Il profeta colmò la sua mancanza: “Samuele quindi tagliò a pezzi Agag davanti all’Eterno a Ghilgal.” (1 Samuele 15: 33, ND)
      Il comando divino di pulizia etnica c’era e riguardava unicamente la terra di Canaan. Le proposte di resa si dovevano avanzare solo alle nazioni lontane per renderle tributarie. Questo distinguo è espresso con grande chiarezza in Deuteronomio 20: 10-18.

      Alla mia domanda: ‘Perché non esiste, in tutto il Tanakh, almeno una frase, altrettanto universale, che vieti i sacrifici umani?’ Hai risposto:
      “Probabilmente per lo stesso motivo per cui la Torah condanna solo la strega e non lo stregone, o parla di buoi, asini o capretti e non di altri animali, non per questo limitando l’applicazione di tali precetti alle sole categorie espressamente menzionate.”

      Nella linguistica, l’indicazione della parte per il tutto è una figura retorica chiamata “sineddoche”. Sarei d’accordo con te se la condanna dei sacrifici umani espressa però con la sineddoche ‘Non immolare i tuoi figli’ fosse presente una volta soltanto nel Tanakh. Ma lo è per 25 volte e riguarda un argomento che non è un’inezia, tanto più che il più grave peccato dei popoli votati allo sterminio sarebbe stato proprio il culto dei sacrifici umani.
      Ti ricordo, inoltre, che hai definito rivoluzionario e universale il generico “Non uccidere” (che non è una sineddoche) rispetto al codice di Hammurabi che invece specificava i differenti casi di uccisioni. Se per te l’espressione generalizzata di un comandamento è indice di universalità e di profondità, allora sarebbe incongruente il divieto specifico e martellante di immolare la prole.

      1. Non è vero che una cultura non può cambiare. Esistono rivoluzioni, innovazioni etiche, evoluzioni della sensibilità collettiva innescate da pensatori fuori dal gregge. Nella concezione della Torah esiste un minimo di moralità universale imprescindibile che deve essere osservato da tutta l’umanità, una moralità a cui i Cananei non si conformavano.

        Fortunatamente l’Ebraismo, al contrario del colonialismo occidentale, storicamente non ha usato i testi sacri come un pretesto per sopraffare e massacrare altre popolazioni. Gli antichi Maestri e i giuristi ebrei dei secoli successivi concordano nel ritenere i precetti dello sterminio dei Cananei inapplicabili in qualsiasi altra situazione, anche futura o ipotetica. E persino nei confini della sua applicabilità originaria, il precetto non aveva nulla a che fare con la presunta superiorità degli Israeliti.

        Riguardo gli schiavi, la tua “logica commerciale” cinica non è conforme all’idealismo del testo biblico. Il rispetto per lo straniero non è circoscritto solo agli uomini liberi, ma anche agli schiavi. L’esortazione a ricordare di essere stati schiavi (sottolineo: schiavi) in Egitto è infatti legata in modo diretto alla proibizione di ledere il diritto dello straniero e di altre categorie di disagiati (Deut. 24:17-18). E nel capitolo precedente troviamo il precetto di accogliere lo schiavo straniero che è venuto a rifugiarsi tra gli Israeliti, con il divieto di restituirlo al padrone. Insomma, credere che lo schiavo straniero possa essere ucciso quando non riesce più a lavorare significa rinnegare l’intera Torah.

        Per quanto riguarda la frase di Giobbe, mi permetto di dire che ti è sfuggito il messaggio centrale di questi versi. Il motivo per cui Giobbe afferma di dover rispettare il suo Eved (la lingua ebraica non fa differenza tra servo e schiavo) non è “perché in fondo è un uomo libero” oppure “perché sono un ricco che ha compassione dei plebei”, bensì: “Chi ha fatto me nel seno materno, non ha fatto forse anche lui?”. Questo vale per i servi, per gli schiavi, per gli orfani e per le vedove: è semplicemente e grandiosamente la nascita della dignità umana.

        L’analogia che proponi tra il tiranno Sisera, ucciso dall’eroica Yael (che era una kenita, popolo da sempre alleato di Israele), e gli Ebrei perseguitati dai nazisti è a dir poco offensiva. Forse, a tuo parere, se qualche gerarca nazista, in fuga dopo la sconfitta definitiva della Germania, si fosse rifugiato nella casa di un uomo che simpatizzava per i tedeschi, e in quell’occasione fosse stato ucciso con l’inganno dalla moglie del padrone di casa, questo atto sarebbe stato da condannare.

        La proposta di pace andava avanzata anche alle popolazioni cananee. Il testo in Deut. 20 non afferma quanto dici: la distinzione tra città cananee e città lontane riguardava solo il fatto che nella guerra contro queste ultime era lecito uccidere solo i maschi adulti, prendere il bottino ecc. (cfr. Nachmanide in loco e Rambam nel Mishneh Torah). La tua lettura è invece smentita se consideriamo la proposta di pace avanzata da Moshè a Sichon (ora mi dirai che era una farsa perché HaShem indurì il suo cuore, ma anche se così fosse, ciò non cancella il fatto che anche ai Cananei era offerta prima di tutto la pace).

        Ribadisco che in nessun caso gli Israeliti sono stati rimproverati per la mancata “pulizia etnica”. Il caso di Shaul non è pertinente: la sua disobbedienza sta nell’aver voluto trarre gloria personale dalla guerra, una pretesa che trova espressione nella scelta di risparmiare il re. E di fatto gli amalekiti non furono realmente estitnti dopo quella battaglia, ma continuarono ad esistere per più di un secolo. Ma il discorso è lungo e complesso e per questo lo tratterò in futuro. Per il momento, chi fosse interessato può consultare il commento di Amnon Bazak ai libri di Samuele.

        Dal momento che hai precedentemente coltivato la convinzione che la Torah accetti di buon grado i sacrifici umani, allora insisti nel limitare la proibizione ai sacrifici della prole. Ma chi ha studiato le norme sui sacrifici della Torah sa quali sono i sacrifici permessi: tutto il resto è un esh zara, un fuoco estraneo non richiesto.

  5. Gli piace discutere a sguardo da Sion, ma a proposito di Raab la prostituta, è proprio il caso di dire che ama molto l’umorismo l’autore biblico.
    Pensate un pò che gli ebrei che uscirono dall’Egitto videro ogni cosa. Videro anche Dio eppure mangiarono e bevvero restando in vita. Avevano visto grandi prodigi e segni, le voci di Dio che parlava dal fuoco, ogni sorta di miracoli, ascoltato la sua voce e ricevuto la sue legge con la quale aveva creato il mondo. .Non contenti a Corna vollero pure andare ad esplorare la terra promessa, e videro che era bella cosi come il Signore gli aveva promesso. Ma videro anche i giganti e per paura di perdere la loro vita, ripudiarono il nome del Signore, e si dissero l un l’altro, facciamoci un re e ritorniamo in Egitto.. Volendo conoscere prima ogni cosa, videro tutto il bene e il male possiamo dire, il bene promesso oltre se stessi ed il male presente vicino a se stessi, e cosi per paura del male non entrarono nella terra promessa, pur conoscendo ed avendo visto ogni cosa. Non entrarono gli esploratori mandati da Mosè, ma quelli che invece mandò Giousuè, sembra che invece di andare a esplorare la terra promessa, andarono a prostitute, ed entrarono anche grazie a loro nella terra promessa, solo per fede. fanno sempre bella figura nella Bibbia le prostitute , tanto che figurano anche nella genealogia del Messia, che ai dottori ricordava che i ladri e le prostitute gli sarebbero passati davanti nel regno dei cieli.
    Morale della favole, al di là se ci credete o meno.
    Caro Marco, tu che con la tua intelligenza vorresti esplorare e capire ogni cosa, forse é meglio che andresti a puttane, perché anche se nemmeno loro sono come quelle descritte nella Bibbia, conoscendo qualcosa degli uomini, chissà se possono dirti qualcosa di interessante e forse aiutarti a capire te stesso nella tua nudità.
    Chissà se questo me lo banna sguardo da Sion, o farà compagnia a Marco.

  6. Caro redattore,

    scrivi:
    “Non è vero che una cultura non può cambiare. Esistono rivoluzioni, innovazioni etiche, evoluzioni della sensibilità collettiva innescate da pensatori fuori dal gregge. Nella concezione della Torah esiste un minimo di moralità universale imprescindibile che deve essere osservato da tutta l’umanità, una moralità a cui i Cananei non si conformavano.”

    Infatti, oggi vi è un minimo di moralità imprescindibile che deve essere osservato da tutta l’umanità: un esempio è il ripudio della guerra sancito nella Costituzione di ogni Stato civile. Oggi, i vecchi ministeri della “guerra” hanno mutato il nome in ministeri della “DIFESA”, perché il ripudio è verso la guerra d’aggressione contro altre nazioni.
    Diversamente, la Torah, oltre all’invasione di Canaan, decreta PURE l’aggressione a nazioni lontane. La proposta di resa prescritta dalla norma biblica è chiaramente sbandierata per voler dimostrare la sua eticità, non considerando, però, che TUTTI gli aggressori della storia proponevano di regola la resa alle città fortificate. Ciò si faceva non per umanità ma per pragmatismo: logorarsi in lunghi assedi e dissanguarsi negli assalti, sovente senza riuscire a espugnare la fortezza nemica, non conveniva. Per tale ragione ai difensori era posta la scelta:
    1) aprite le porte per lasciarvi derubare e, in compenso, non vi sarà torto un capello;
    2) oppure opponete resistenza, ma se soccomberete sarete tutti trucidati e le vostre donne saranno violentate e trascinate via in schiavitù.

    In Europa le guerre d’invasione sono durate fino al ventesimo secolo, ma già dal Diciottesimo la regola come quella sancita nella Bibbia era gradatamente abbandonata perché considerata barbara. Durante le guerre napoleoniche, per esempio, ci furono innumerevoli invasioni ma nessuna strage dei difensori che facevano resistenza. Il Messico, invece, era ancora arretrato su questo piano: quando il generale Santa Anna si trovò di fronte alla fortezza di Alamo, propose la resa con l’alternativa dell’eccidio di tutti i combattenti. Questi rifiutarono di arrendersi e per questo furono passati tutti per le armi. Ma credo che in seguito non ci siano stati altri episodi di questo tipo di barbarie.
    Tu asserisci che il genocidio dei cananei fu comandato da Dio perché le loro leggi non osservavano un minimo di moralità universale. Considerando, però, che la norma divina in questione sancisce la guerra d’aggressione con in più l’ “aut aut” agli aggrediti di farsi rapinare supinamente o di essere massacrati se si difendono, viene da chiedersi: quale sarebbe il livello minimo di moralità universale imprescindibile?

    Scrivi:
    “Fortunatamente l’Ebraismo, al contrario del colonialismo occidentale, storicamente non ha usato i testi sacri come un pretesto per sopraffare e massacrare altre popolazioni. Gli antichi Maestri e i giuristi ebrei dei secoli successivi concordano nel ritenere i precetti dello sterminio dei Cananei inapplicabili in qualsiasi altra situazione, anche futura o ipotetica. E persino nei confini della sua applicabilità originaria, il precetto non aveva nulla a che fare con la presunta superiorità degli Israeliti.”

    Storicamente, gli ebrei non hanno mai massacrato nessuno, nemmeno i cananei trattandosi di narrazioni immaginarie. I Maestri, come gli ebrei di oggi, hanno ragionevolmente preso le distanze dai genocidi narrati nel Tanakh dichiarandoli inapplicabili in qualsiasi altra situazione. Il punto è che sono inapplicabili in TUTTE le situazioni, principalmente nelle storie bibliche, perché lì sarebbero stati comandati dall’Essere Supremo. Questa inconciliabilità, aggiunta al paradosso dei popoli prima sterminati e poi tornati in vita, rivela la natura fantasiosa e anche molto distratta della redazione biblica.
    Scrivi:
    “Riguardo gli schiavi, la tua “logica commerciale” cinica non è conforme all’idealismo del testo biblico. Il rispetto per lo straniero non è circoscritto solo agli uomini liberi, ma anche agli schiavi. L’esortazione a ricordare di essere stati schiavi (sottolineo: schiavi) in Egitto è infatti legata in modo diretto alla proibizione di ledere il diritto dello straniero e di altre categorie di disagiati (Deut. 24:17-18). E nel capitolo precedente troviamo il precetto di accogliere lo schiavo straniero che è venuto a rifugiarsi tra gli Israeliti, con il divieto di restituirlo al padrone. Insomma, credere che lo schiavo straniero possa essere ucciso quando non riesce più a lavorare significa rinnegare l’intera Torah.”
    Riguardo agli schiavi, direi che la mia “logica commerciale” cinica non è conforme, più che all’idealismo, se mai alla “idealizzazione” del testo biblico.
    Hai precisato che la lingua ebraica non fa differenza tra servo e schiavo perché il termine usato è sempre “Eved”. L’equivoco nasce appunto da qui, per cui le norme di Esodo 21, che nella prima parte si riferiscono palesemente agli schiavi ebrei volontari, nella seconda, pur riferendosi sempre a questi, sono facilmente estesi (ma solo dall’esegesi) anche agli stranieri. Nel passo di Levitico 25:39-46 detto equivoco è però chiarito.

    In quanto al precetto di accogliere come rifugiato lo schiavo fuggitivo, il testo biblico è oscuro:

    “Non consegnerai al suo padrone uno schiavo che, dopo essergli fuggito, si sarà rifugiato presso di te. Rimarrà da te nel tuo paese, nel luogo che avrà scelto, in quella città che gli parrà meglio; non lo molesterai.” (Deuteronomio 23:16-17, CEI)

    In primo luogo, questi versi fanno subito pensare allo schiavo di un padrone ebreo che si rifugia da un altro ebreo; chiaramente, così intesa, detta norma sarebbe insensata. Considerando questa notevole imprecisione della normativa, per darle un senso è necessario colmare la sua lacuna espressiva presumendo sia la nazionalità del padrone sia quella dello schiavo in fuga. Il padrone dovrebbe essere straniero. Lo schiavo che fugge da lui dovrebbe essere un ebreo (ricordiamo che Giuseppe, venduto dai fratelli, era schiavo in Egitto).
    Il ritorno in Israele di uno schiavo ebreo fuggito da un padrone straniero, non avrebbe fatto di lui automaticamente un uomo libero, specialmente se non aveva più una famiglia cui tornare. Il precetto in questione, pertanto, avrebbe prima di tutto lo scopo di decretare la condizione di libertà dello schiavo ebreo fuggitivo. Di conseguenza vieta che sia riconsegnato dietro compenso ai cacciatori di schiavi fuggiaschi venuti a riprenderselo.
    Con le opportune integrazioni, la norma biblica diventerebbe:

    “Non consegnerai al suo padrone straniero uno schiavo ebreo che, dopo essergli fuggito, si sarà rifugiato presso di te.”

    Scrivi:
    “L’analogia che proponi tra il tiranno Sisera, ucciso dall’eroica Yael (che era una kenita, popolo da sempre alleato di Israele), e gli Ebrei perseguitati dai nazisti è a dir poco offensiva. Forse, a tuo parere, se qualche gerarca nazista, in fuga dopo la sconfitta definitiva della Germania, si fosse rifugiato nella casa di un uomo che simpatizzava per i tedeschi, e in quell’occasione fosse stato ucciso con l’inganno dalla moglie del padrone di casa, questo atto sarebbe stato da condannare.”

    Definisci eroica Yael (o Iael o Giaele) solo perché è glorificata dalla Bibbia? Dici che i keniti erano da sempre alleati con Israele. La Storia, però, rivela che le alleanze tra i popoli non sono eterne. L’amico di oggi è il nemico di domani, e viceversa. All’epoca di Sisera, a quanto pare, le alleanze si erano ribaltate, almeno da parte di Eber il kenita:

    “Intanto Sisara era fuggito a piedi verso la tenda di Giaele, moglie di Eber il Kenita, perché vi era pace fra Iabin, re di Cazor, e la casa di Eber il Kenita. Giaele uscì incontro a Sisara e gli disse: «Fermati, mio signore, fermati da me: non temere».” (Giudici 4:17-18 CEI).

    A proposito di ribaltamenti, nel mio esempio avevo parlato di ebrei e di partigiani in fuga, non di gerarchi nazisti fuggitivi! Chiarisco quindi meglio la mia analogia: pensiamo a un ebreo inseguito dalla Gestapo che fugge verso la casa di un uomo che sa essere simpatizzante degli ebrei, ma non trova lui bensì sua moglie; questa, come Yael, gli dice: «Fermati, mio signore, fermati da me: non temere». Quella donna lo rifocilla, lo rassicura, lo nasconde. Ma poi, mentre l’ebreo dorme, lo consegna ai nazisti; salvo che, “eroicamente”, emulando la biblica Yael, non lo assassini nel sonno. Certamente, per questo suo gesto, costei sarebbe stata encomiata… ma da chi?
    Se si parla di comportamenti etici universali imprescindibili, allora quello di Yael va giudicato oggettivamente. Per la Bibbia è “encomiabile” solo perché era a danno dei nemici d’Israele.

    Scrivi:
    “La proposta di pace andava avanzata anche alle popolazioni cananee. Il testo in Deut. 20 non afferma quanto dici: la distinzione tra città cananee e città lontane riguardava solo il fatto che nella guerra contro queste ultime era lecito uccidere solo i maschi adulti, prendere il bottino ecc. (cfr. Nachmanide in loco e Rambam nel Mishneh Torah). La tua lettura è invece smentita se consideriamo la proposta di pace avanzata da Moshè a Sichon (ora mi dirai che era una farsa perché HaShem indurì il suo cuore, ma anche se così fosse, ciò non cancella il fatto che anche ai Cananei era offerta prima di tutto la pace).”

    Dici che la mia lettura delle leggi di guerra dettate in Deuteronomio 20 sarebbe “smentita” da una proposta di pace che, però, tu stesso definisci una farsa. Il gesto puramente formale, ipocrita, menzognero, avrebbe comunque valore?
    Trovo, invece, che la mia lettura sia confermata dalla motivazione sullo sterminio contenuta nella medesima legge: “Perché essi non v’insegnino a commettere tutti gli abomini che fanno per i loro dèi e voi non pecchiate contro il Signore vostro Dio.”
    Supponiamo allora che tutti i re delle sette nazioni di Canaan avessero chiesto la pace e questa fosse stata loro accordata dagli israeliti, quale sarebbe stata la conseguenza? Ovviamente l’apostasia, che è già annunciata dalla motivazione anzidetta. Inoltre è pure illustrata da alcuni aneddoti di supporto: in passato le donne moabite e madianite avevano traviato in massa gli ebrei con i loro idoli; perfino l’uomo più saggio mai esistito, Salomone, sarebbe divenuto idolatra a causa di donne pagane.
    Ma se insisti che la mia lettura sul comando divino di sterminio è erronea, bisogna dire che anche gli antichi gabaoniti avevano scambiato fischi per fiaschi quando risposero a Giosuè:

    “Era stato riferito ai tuoi servi quanto il Signore Dio tuo aveva ordinato a Mosè suo servo, di dare cioè a voi tutto il paese e di sterminare dinanzi a voi tutti gli abitanti del paese; allora abbiamo avuto molto timore per le nostre vite a causa vostra e perciò facemmo tal cosa.” (Giosuè 9:24, CEI)

    1. Caro redattore,

      scrivi:
      “Per quanto riguarda la frase di Giobbe, mi permetto di dire che ti è sfuggito il messaggio centrale di questi versi. Il motivo per cui Giobbe afferma di dover rispettare il suo Eved (la lingua ebraica non fa differenza tra servo e schiavo) non è “perché in fondo è un uomo libero” oppure “perché sono un ricco che ha compassione dei plebei”, bensì: “Chi ha fatto me nel seno materno, non ha fatto forse anche lui?”. Questo vale per i servi, per gli schiavi, per gli orfani e per le vedove: è semplicemente e grandiosamente la nascita della dignità umana.”

      Penso tu sappia che vi sono correnti di pensiero ebraico che credono nella reincarnazione, rilevandone chiari accenni nel libro di Giobbe:

      “Nudo uscii dal seno di mia madre,
      e nudo vi ritornerò.” (Giobbe 1:21, CEI)

      Per l’ermeneutica cristiana questa frase sibillina significa soltanto il ritorno dell’uomo alla terra da cui è stato tratto, tanto che la Nuova Riveduta, anziché attenersi alla traduzione letterale come fanno tutte le altre versioni della Bibbia, traduce: “Nudo sono uscito dal grembo di mia madre, e nudo tornerò in grembo alla terra.” Ma l’autore biblico parla chiaramente di ritorno nel seno materno, non alla terra, tanto più che i morti non sono seppelliti nudi. È assai improbabile una sua banale distrazione filologica in uno scritto filosofico così accurato, tanto più che in un altro punto sembra che egli insista su tale concetto, e qui la Nuova Riveduta traduce come tutte le altre poiché questa volta i versi si possono pure interpretare come risurrezione dei morti, concezione cara alle dottrine cristiane:

      “Se l’uomo muore, può egli tornare in vita?
      Aspetterei fiducioso tutti i giorni della mia sofferenza,
      finché cambiasse la mia condizione.”
      (Gb 14: 14, NR)

      Secondo l’idea, in qualche modo democratica, della reincarnazione, chi in questa vita agisce da oppressore nella prossima sconterà il male compiuto rinascendo da oppresso. Pertanto, sempre secondo la corrente di pensiero ebraica che accoglie quest’idea, assume un significato karmico la frase di Giobbe da te citata:

      “Se ho negato i diritti del mio schiavo e della schiava in lite con me, cosa farò, quando Dio si alzerà, e quando mi chiederà conto, cosa risponderò? Chi ha fatto me nel seno materno, non ha fatto forse anche lui? Non fu lo stesso Dio a formarci nel grembo?”

      Il libro di Giobbe contesta la tesi che le disgrazie degli uomini siano il castigo inflitto loro da Dio per colpe commesse da loro stessi o dai propri antenati. Giobbe, nella sua sofferenza, rifiuta questa tesi – che è avanzata dai suoi amici – sostenendo di non aver mai peccato in vita sua. Quando Giobbe sembra mettere in discussione la giustizia divina, Dio gli parla, ma senza spiegargli nulla, salvo a dirgli che vi sono ragioni profonde (tra le righe: la reincarnazione) all’apparente ingiustizia riguardante l’incongrua distribuzione di fortune e disgrazie nella vita umana.
      Sembra che l’autore di questo libro, forse influenzato dai filosofi greci che sostenevano l’idea della metempsicosi, abbia accolto questa concezione per risolvere l’evidente incongruenza fra il Dio che punisce le colpe dei padri nei figli e l’opposta asserzione di profeti, come Ezechiele, secondo i quali ciascun individuo paga solo per le proprie colpe.
      Già, ma i profeti non spiegano perché spesso i malfattori vivono nel benessere mentre i giusti patiscono nella miseria. Se tutto viene da Dio (il cristianesimo avrebbe poi introdotto la figura del Satana per spiegare la presenza del male), allora Dio sarebbe ingiusto.
      Se, però, le colpe dei padri sono in realtà le proprie colpe commesse in una vita precedente, allora tutto diventa congruente, e così la teodicea può fare a meno della figura contrapposta del diavolo.

      Comunque si vogliano interpretare le parole di Giobbe, sta di fatto che la Bibbia dice davvero tutto e il contrario di tutto. Ciò perché è stata redatta da autori differenti, non ispirati come si vuol credere, ma ciascuno influenzato dalla propria cultura e dalla propria epoca.
      Se la Torah avesse rispetto per la dignità umana si sarebbe distinta dalle consuetudini dei popoli coevi proibendo la schiavitù COATTA, che è in tutti i casi un abominio.

      1. Trovo sorprendente il tuo tirare in ballo la reincarnazione, concetto di cui non c’è la minima traccia nel libro di Giobbe, come pure in tutto il Tanakh e nel Talmud, pur di non guardare a ciò che i versi da me citati dicono in maniera molto semplice e diretta: Vaykhunnenu barechem echad. Alla lettera: “ci ha formati nell’utero uno solo”. Secondo Giobbe, servo e padrone hanno lo stesso identico Creatore, la stessa origine e la stessa natura. Da qui deriva il rispetto che entrambi meritano. Questa idea non è che la naturale estensione del concetto rivoluzionario che troviamo già in Genesi 1, passo in cui l’intera umanità è definita “immagine di Dio”, mentre questo onore era riservato, nel Vicino Oriente, solo ed esclusivamente al monarca.

    2. Certo, tutti ripudiano la guerra, ma di fatto tutti ne fanno ancora ricorso quando lo ritengono necessario. Da quanto mi risulta, i primi a ripudiare la guerra parlando di un futuro ideale in cui nel mondo regnerà soltanto la pace sono stati i Profeti d’Israele (non a caso un verso di Isaia campeggia sul muro della sede newyorkese dell’ONU). La Torah è stata anche la prima legge a porre un limite alle barbarie della guerra, disciplinando l’impeto violento dei guerrieri. La Torah inoltre non “decreta” l’invasione di nazioni lontane. Scrivendo così fai credere che nella Torah vi sia qualcosa di simile a un imperativo colonialista volto ad andare in giro per il mondo ad attaccare popoli inermi. Nulla di più falso. Le guerre legittimamente combattute da Israele nei tempi biblici erano volte contro nemici che minacciavano l’annientamento della nazione ebraica, ed era in ogni caso vietato conquistare territori al di fuori di quelli assegnati da Dio a Israele. Inoltre ribadisco che la Torah non ammette lo stupro delle donne prigioniere. So già che non sei d’accordo, ma questo è ciò che il testo letteralmente dice nel libro del Deuteronomio.

      Avendo studiato la struttura del testo biblico in tutta la sua complessità, con simmetrie, parallelismi e l’impiego delle parole chiave in un numero determinato di occorrenze, mi riesce impossibile credere che gli autori biblici fossero distratti e schizofrenici come li descrivi, e come la critica li ha spesso concepiti almeno fino agli sviluppi più recenti. Non c’è infatti alcun paradosso e alcuna contraddizione quando si parla di “popoli prima sterminati e poi tornati in vita”. Semplicemente, come dicono i Maestri, “dibra Torah kelashon bené Adam”, ovvero, in questo caso, la Torah si esprime secondo la retorica dell’epoca in cui fu scritta, come ho spiegato nell’articolo.

      Il precetto di Deuteronomio 23 è per te “oscuro” solo perché contraddice il tuo assunto non biblico secondo cui gli schiavi stranieri fossero delle bestie da uccidere liberamente. Per correre ai ripari affermi che questo schiavo sia un ebreo, ma il testo di fatto non lo dice. Anzi, in Deuteronomio, quando si parla dello schiavo ebreo il testo usa sempre il termine “achikha”, che qui non compare. Il fatto che il testo affermi che lo schiavo fuggito debba essere accolto “nelle tue città”, e “nel luogo che egli ha scelto”, dimostra la sua provenienza esterna a Israele.

      Riguardo a Sisera, avevo capito bene il tuo esempio, e ti ripeto che lo trovo oltraggioso. Non puoi paragonare il violento oppressore Sisera che fugge dalla battaglia alle vittime della Shoah che cercavano rifugio. Seriamente, non ti sembra un’analogia offensiva? Per questo ti ho invitato a paragonare il Cananeo a un gerarca nazista in fuga per avere una similitudine più calzante.

      Non ho definito una farsa la proposta di pace fatta da Moshè a Sichon, ho solo detto che per te, secondo quanto hai scritto altrove, era una farsa (non per me, in quanto nel linguaggio biblico “Dio indurì il suo cuore” non indica una privazione del libero arbitrio, come ho già spiegato). Il solo fatto che Moshè abbia proposto la pace a Sichon (a prescindere dai successivi “risvolti metafisici”) dimostra di per sé che anche ai Cananei bisognava proporre la pace prima dell’attacco. Persino il caso dei Gabaoniti non smentisce questa interpretazione, anzi la conferma.
      La tradizione ebraica sostiene che Giosuè inviò lettere ai regni dei Cananei prima di iniziare la guerra, in cui proponeva appunto la resa. In questo caso, dovremmo ipotizzare che i Gabaoniti non si erano arresi a tempo debito. Ma a prescindere da questa tradizione, il solo fatto che la Bibbia ritenga comunque valido il giuramento prestato ai Gabaoniti dimostra che la possibilità di risparmiare coloro che si arrendevano non era contraria al precetto mosaico. Infatti, se un ebreo giurasse di mangiare maiale, di adorare Baal o di disonorare i propri genitori, un tale giuramento non avrebbe valore agli occhi della Torah (la parola di Dio ha più autorità rispetto a quella degli uomini). Invece, nel caso in questione, leggiamo addirittura che Dio punì Israele quando Saul iniziò a infrangere il giuramento trucidando i Gabaoniti.

      1. Scrivi:
        “La Torah è stata anche la prima legge a porre un limite alle barbarie della guerra, disciplinando l’impeto violento dei guerrieri.”

        Mi piacerebbe molto sapere dove sono scritti questi bei precetti. L’impeto violento dei guerrieri mi pare sia disciplinato solo verso gli alberi. Dovevano essere trattati bene gli alberi perché… non sono persone!

        “Quando cingerai d’assedio una città per lungo tempo, per espugnarla e conquistarla, non ne distruggerai gli alberi colpendoli con la scure; ne mangerai il frutto, ma non li taglierai, perché l’albero della campagna È FORSE UN UOMO, per essere coinvolto nell’assedio?” (Dt 20:19, CEI)

        C’è poi un ammonimento in Geremia, che non limita ma incita alla violenza:

        “Maledetto chi compie fiaccamente l’opera del Signore,
        maledetto chi trattiene la spada dal sangue!” (Geremia 48:10, CEI)

        Scrivi:
        “La Torah inoltre non “decreta” l’invasione di nazioni lontane. Scrivendo così fai credere che nella Torah vi sia qualcosa di simile a un imperativo colonialista volto ad andare in giro per il mondo ad attaccare popoli inermi. Nulla di più falso. Le guerre legittimamente combattute da Israele nei tempi biblici erano volte contro nemici che minacciavano l’annientamento della nazione ebraica, ed era in ogni caso vietato conquistare territori al di fuori di quelli assegnati da Dio a Israele”

        Se è come affermi, vuol dire che tutte le traduzioni sono sbagliate sulla norma biblica scritta in Deuteronomio 20: 10-15. Qui si parla di aggressione a popoli molto lontani, che non si trovavano in Canaan, e la ragione della guerra non era la difesa ma l’asservimento di quelle popolazioni e il “pizzo” che dovevano pagare:

        “11 Se accetta la pace e ti apre le sue porte, tutto il popolo che vi si troverà TI SARÀ TRIBUTARIO E TI SERVIRÀ.
        15 Così farai per tutte le città CHE SONO MOLTO LONTANE DA TE e che non sono città di queste nazioni.”

        Scrivi:
        “Inoltre ribadisco che la Torah non ammette lo stupro delle donne prigioniere. So già che non sei d’accordo, ma questo è ciò che il testo letteralmente dice nel libro del Deuteronomio.”

        Se ciò è scritto letteralmente, vorrei sapere dove.
        In Deuteronomio vi è il passo del capitolo 22, ai versi 23-29, che tratta unicamente dello stupro delle vergini israelite. Riguardo alla violenza carnale sulle donne israelite non vergini la Torah tace. (Solo il Talmud “scova” il divieto di stupro verso qualsiasi donna nelle pieghe nascoste del precetto di… non rubare!)
        Se le stesse donne d’Israele NON erano protette dalla Torah riguardo alla violenza carnale, perché avrebbero dovuto esserlo le donne nemiche?
        Se ti riferisci alla prigioniera di guerra destinata al matrimonio, trascuri, però, quelle altre donne che si dovevano ammazzare, e queste erano in gran parte le cananee. Di regola, i guerrieri sciamavano impazziti di rabbia nelle città espugnate per la resistenza dei difensori e per le perdite subite, esaltati dal delirio di potenza e dalla libidine repressa. Perché mai dovevano sgozzare dolcemente le donne nemiche? Ciò che avveniva realmente e abitualmente ovunque, almeno fino al diciassettesimo secolo, erano nell’ordine: stupri, sevizie, sventramenti delle donne incinte, sfracellamento di feti e neonati. Ciò è ampiamente illustrato proprio dalla Bibbia.
        Un salmo, ispirato ovviamente, auspica queste violenze alla città di Babilonia:

        8 Figlia di Babilonia devastatrice,
        beato chi ti renderà quanto ci hai fatto.
        9 BEATO chi afferrerà i tuoi piccoli
        e li sbatterà contro la pietra.
        (Salmo 136: 8-9, CEI)

        Scrivi:
        “Il precetto di Deuteronomio 23 è per te “oscuro” solo perché contraddice il tuo assunto non biblico secondo cui gli schiavi stranieri fossero delle bestie da uccidere liberamente. Per correre ai ripari affermi che questo schiavo sia un ebreo, ma il testo di fatto non lo dice.”

        Veramente il testo non assegna una nazionalità neppure al padrone dello schiavo né al luogo della sua provenienza. Presa alla lettera, la norma esprime un paradosso: che uno schiavo può fuggire dal suo padrone ebreo per rifugiarsi dall’ebreo vicino di casa di costui e qui riacquistare la libertà. Lo farebbero con molta facilità tutti gli schiavi e pertanto la schiavitù non esisterebbe.
        Poiché occorre congetturare per rendere comprensibile il testo, ognuno può metterci le congetture che trova più coerenti con le altre norme della Torah.

        Scrivi:
        “Riguardo a Sisera, avevo capito bene il tuo esempio, e ti ripeto che lo trovo oltraggioso. Non puoi paragonare il violento oppressore Sisera che fugge dalla battaglia alle vittime della Shoah che cercavano rifugio. Seriamente, non ti sembra un’analogia offensiva? Per questo ti ho invitato a paragonare il Cananeo a un gerarca nazista in fuga per avere una similitudine più calzante.”

        Per me è offensivo verso l’umanità paragonare un generale nemico a un mostro. I gerarchi nazisti scelsero di aderire a una dottrina mostruosa sorta in una nazione civile dove non tutti erano nazisti (un esempio sono gli studenti della “Rosa Bianca” giustiziati nel 1943). Anche in Italia, altro paese civile, non tutti scelsero di aderire al fascismo.
        I cananei, invece, erano tali NON per scelta, ma per nascita. Ammesso che la loro cultura fosse mostruosa (e ammesso, ma non concesso, che quella israelita non fosse pressappoco allo stesso livello), chi era nato e cresciuto in quel tipo di cultura non lo poteva sapere. Per secoli i romani si sono divertiti a guardare la gente ammazzarsi nell’arena, ma senza sapere che ciò é mostruoso.
        Sisera era soltanto un cananeo, capo di un esercito, poiché tutti gli eserciti devono avere un capo. Che la sua armata avesse invaso Israele, nella storia ciò è stato nella consuetudine di tutti i popoli, incluso Israele. In più, quell’oppressione fu voluta da Dio, che indusse e permise ai cananei di opprimere gli israeliti per castigarli.
        L’equivalenza dogmatica: Sisera = cananeo = malvagio = gerarca nazista è inaccettabile e contraddice il tuo assunto che l’aggressione ai popoli di Canaan non si configura come razzista.
        Se non c’è razzismo nello stigma biblico che i cananei sono tutti malvagi, allora Sisera è da considerarsi un essere umano vittima di una carognata non meno delle vittime della Shoah. Forse sul piano personale costui poteva non essere una perla ma non perché fosse cananeo; e, statisticamente, anche tra i milioni di vittime della Shoah non tutti potevano essere delle perle. Ma pur si sempre di vittime si tratta.

        Avevi scritto che tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio, ma, poiché trovi oltraggioso paragonare un uomo non ebreo assassinato a un ebreo assassinato, fai venire in mente ciò che scrive Orwell nella “Fattoria degli animali”:
        “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”.

        Scrivi:
        “Il solo fatto che Moshè abbia proposto la pace a Sichon (a prescindere dai successivi “risvolti metafisici”) dimostra di per sé che anche ai Cananei bisognava proporre la pace prima dell’attacco.”

        Torno a menzionare le leggi di guerra della Torah, ripetendo che, stando a ciò che dici, sembrerebbe che tutte le traduzioni siano errate:

        “10 Quando ti avvicinerai a una città per attaccarla, LE OFFRIRAI PRIMA LA PACE.
        15 Così farai per tutte le città che sono molto lontane da te e che NON SONO CITTÀ DI QUESTE NAZIONI.

        16 soltanto nelle città di questi popoli che il Signore tuo Dio ti dà in eredità, NON LASCERAI IN VITA ALCUN ESSERE CHE RESPIRI; 17 ma li voterai allo sterminio: cioè gli Hittiti, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei e i Gebusei, come il Signore tuo Dio TI HA COMANDATO di fare. 18 perché essi non v’insegnino a commettere tutti gli abomini che fanno per i loro dèi e voi non pecchiate contro il Signore vostro Dio.” (Deuteronomio 20: 10-18)

        Se il comando è di uccidere tutti, però soltanto nella terra di Canaan, affinché non contaminino gli israeliti con i loro idoli, che senso ha proporre prima la pace? Pur volendo accettare che tale proposta era fatta ANCHE alle città di Canaan, doveva necessariamente essere solo formale.
        Una proposta farsa, quindi, in primo luogo sul piano linguistico; l’espressione corretta dovrebbe essere: “Li voterai allo sterminio SE non accettano la proposta di pace.”
        Guarda caso, questa è proprio l’espressione usata riguardo ai popoli lontani, ai quali è concessa la resa ma con l’eccidio di tutti i maschi se è rifiutata.
        Una proposta farsa, in secondo luogo, sul piano logico: se la pace fosse accettata, il comando di sterminio si annullava, e il proposito di creare una nazione santa e di sacerdoti cadeva per la presenza di milioni di idolatri vivi e contenti.

        Sorgono quindi le seguenti domande:
        • Dio non sa esprimersi quando dà un comando, soprattutto se è uno di tale portata?
        • Dice A ma vuole intendere Zeta?
        • Dio ama l’ipocrisia dei gesti puramente formali? A me non pare, poiché per bocca dei profeti condannò l’atteggiamento solo formale del culto verso di lui da parte degli israeliti.
        • Oppure le traduzioni sono errate?

  7. In Italia sotto i Borgia per 30 anni hanno avuto guerre, tirannia, assassini, massacri e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento.
    In Svizzera, hanno avuto amore fraterno e 500 anni di pace e democrazia, e cosa hanno prodotto? Gli orologi a cucú! Ah ahah…

    1. Stupenda osservazione, tanto più perché è fatta da un personaggio di un film straniero, “Il terzo uomo”, interpretato da Orson Welles.
      Sul seguente link è possibile udire, col doppiaggio italiano, queste straordinarie parole.

  8. Sguardo a Sion Marco ha inteso Giobbe 1:21: “Nudo ho lasciato il ventre di mia madre e nudo ritornerò lì”. Chi torna nel ventre della propria madre? Ecco la reincarnazione. Ahahahah…
    Per non dire di coloro che affermano che HaShem si è reincarnato in un essere umano?
    Di cosa ti stupisci ancora Sguardo a Sion? Se ne sentono veramente tante di mostruosità in giro che è meglio stendere un velo pietoso. E poi dicono che è colpa della Bibbia che dice davvero tutto e il contrario di tutto. Pazzesco!

    1. Questo commento dovresti indirizzarlo ai molti rabbini che scrivono, da secoli, sulla dottrina della reincarnazione. Attualmente è in vendita l’opera di Rabbi Avraham Arieh Trugman, “Ritorna Ancora – Le Dinamiche della Reincarnazione”.

      1. Scrivi:
        “Trovo sorprendente il tuo tirare in ballo la reincarnazione, concetto di cui non c’è la minima traccia nel libro di Giobbe, come pure in tutto il Tanakh e nel Talmud”

        Rabbi Avraham Arieh Trugman, autore del libro “Ritorna Ancora – Le Dinamiche della Reincarnazione”, sostiene che esiste un’antica tradizione ebraica su questa credenza.

        Inoltre il sito ebraico, il cui indirizzo riporto appresso, cita alcuni passi biblici, anche dal libro di Giobbe, a sostegno di tale dottrina:

        https://it.chabad.org/library/article_cdo/aid/3499322/jewish/Da-dove-proviene-il-concetto-della-reincarnazione.htm

        Un altro sito ebraico afferma che la dottrina della reincarnazione divenne una delle più importanti della Cabala, secondo la quale: “L’intero libro di Giobbe e la soluzione del mistero della sua sofferenza, furono interpretati in termini di trasmigrazione.” Questa frase l’ho tratta dal sito il cui indirizzo è:

        http://www.e-brei.net/index.php?mact=CGBlog,cntnt01,detail,0&cntnt01articleid=595&cntnt01returnid=51

        Oppure si può consultare Wikipedia alla voce “Reincarnazione”, la cui pagina dedica moltissimo spazio a tale dottrina nell’ebraismo. Chiaramente tu puoi non condividerla – lo stesso vale anche per me – ma di sicuro l’idea della reincarnazione è molto presente nella letteratura rabbinica.

      2. E chi ha detto che non è presente nella letteratura rabbinica? Quest’ultima parte dall’epoca del Secondo Tempio e arriva fino ai giorni nostri. Ho detto che non è presente nel Tanakh e nel Talmud, e lo confermo (meno che mai in Giobbe). La dottrina del ghilgul (reincarnazione) appartiene allo Zohar e alle successive opere kabballistiche. Chi accetta questa dottrina cita anche versetti biblici, ma non secondo il loro senso autentico (pshat), bensì secondo il sod (interpretazione mistica non letterale). A me interessa soltanto il pshat e su questo sito ci occupiamo solo del senso contestuale della Bibbia.

      3. Basta consultare il web alla voce: ebraismo e reincarnazione it.chabad.org

        Il sito ebraico, il cui link non riporto perché non mi viene pubblicato da Sguardoasion, cita alcuni passi biblici, anche dal libro di Giobbe, in risposta alla domanda: “Da dove proviene il concetto della reincarnazione?”.

        Un altro sito ebraico afferma che la dottrina della reincarnazione divenne una delle più importanti della Cabala, secondo la quale: “L’intero libro di Giobbe e la soluzione del mistero della sua sofferenza, furono interpretati in termini di trasmigrazione.” Questa frase l’ho tratta dal sito: e-brei.net

        Oppure si può consultare Wikipedia alla voce “Reincarnazione”, la cui pagina dedica moltissimo spazio a tale dottrina nell’ebraismo. Chiaramente tu puoi non condividerla – lo stesso vale anche per me – ma di sicuro l’idea della reincarnazione è molto presente nella letteratura rabbinica.

  9. Caro redattore

    Scrivi che per la Bibbia:
    “L’intera umanità è definita “immagine di Dio”, mentre questo onore era riservato, nel Vicino Oriente, solo ed esclusivamente al monarca.”

    Ripeto che Giobbe viveva nel Vicino Oriente, una terra dove, a tuo dire, non esistevano diritti umani. Là Giobbe era un importante notabile, forse un giudice. Come poteva, quindi, parlare di diritti dello schiavo? Diritti che quest’ultimo poteva far valere in lite (giudiziaria, si presume) contro il suo padrone, proprio lì, nel Vicino Oriente?!
    Si dovrebbe supporre che l’idea ugualitaria di Giobbe era soltanto sua, perché esulava certamente dalle leggi secolari del Vicino Oriente, così come esulava dalle leggi in vigore nell’antico Israele.
    Insomma, le parole di Giobbe sono soltanto BELLE PAROLE.
    Come quelle del libro di Genesi che dice:
    “Dio creò l’uomo a sua immagine” ma afferma pure:
    “L’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”.
    Entrambi tali postulati della Creazione NON sono per nulla rispettati nella Torah: con tutta evidenza non lo è il secondo, poiché la legge mosaica non solo non vieta ma regolamenta con diverse norme la poligamia; inoltre alcuni patriarchi furono poligami. Dio addirittura premiò Davide concedendogli un nutrito harem e, se non gli fosse bastato, vi avrebbe aggiunto anche altro:
    “Così dice il Signore, Dio d’Israele: Io ti ho unto re d’Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul, 8 ti ho dato la casa del tuo padrone E HO MESSO NELLE TUE BRACCIA LE DONNE DEL TUO PADRONE, ti ho dato la casa di Israele e di Giuda e, se questo fosse troppo poco, io vi avrei aggiunto anche altro.” (2Samuele 12:7-8, CEI).

    Il matrimonio monogamico decretato in Genesi non è rispettato nelle leggi della Torah e nemmeno negli atti di Dio riguardanti la storia d’Israele poiché è avallata la poligamia. Ugualmente, il principio che tutti gli uomini sono stati creati a immagine di Dio, affermato in Genesi, NON è rispettato poiché è avallata la schiavitù. Questa, morbida o dura che fosse, è consentita dalla legge mosaica. H.D. Thoreau scrisse:
    “La prigione è l’unico posto che si convenga a un cittadino onesto in uno stato in cui è legalizzata e tutelata la schiavitù.”
    La Torah permette la schiavitù dura per gli stranieri. Questo non sono io ad affermarlo: è scritto a chiare lettere in Levitico 25: 39-46.

    Tu basi la tua interpretazione solo sulle belle parole. Io, sui codici biblici che le contraddicono.

    1. Il libro di Giobbe non è un reportage giornalistico né un resoconto storico, ma una storia filosofica fittizia. Benché l’autore abbia ambientato la vicenda al di fuori di Israele (per conferirle un carattere universale), l’etica espressa da Giobbe è quella della religione ebraica. Quindi per quale motivo sottolineare che nel Vicino Oriente gli schiavi erano trattati male? Non è un’obiezione pertinente: Giobbe esprime una propria etica che è quella della Torah. In questa etica, lo ripeto, tutti gli esseri umani, schiavi o liberi, sono considerati figli della medesima divinità.

      La Torah non contiene “belle parole”, bensì principi morali da cui scaturiscono i suoi precetti. Ma quando un principio ideale incontra una realtà concreta imprescindibile, spesso sono necessari compromessi, ed è il caso della schiavitù, un’istituzione che la Torah erode dal suo interno. Mi citi Thoreau, ma io in verità ti dico (mi perdonino i cristiani per l’espressione) che nella concezione biblica la prigione è considerata molto peggiore della schiavitù. Un uomo segregato, infatti, non è affatto più libero (anzi!) di un uomo assoggettato a un altro.

      PS: “I due saranno una sola carne” non dice nulla sulla monogamia. Questo verso, nel suo senso letterale, allude al rapporto sessuale che ricongiunge l’unità originaria dell’uomo.

      1. Scrivi:
        “E chi ha detto che non è presente nella letteratura rabbinica? Quest’ultima parte dall’epoca del Secondo Tempio e arriva fino ai giorni nostri. Ho detto che non è presente nel Tanakh e nel Talmud, e lo confermo (meno che mai in Giobbe). La dottrina del ghilgul (reincarnazione) appartiene allo Zohar e alle successive opere kabballistiche. Chi accetta questa dottrina cita anche versetti biblici, ma non secondo il loro senso autentico (pshat), bensì secondo il sod (interpretazione mistica non letterale). A me interessa soltanto il pshat e su questo sito ci occupiamo solo del senso contestuale della Bibbia.”

        Neanche io ho detto che la tesi della reincarnazione si trova nel Talmud; ho parlato di correnti di pensiero ebraiche che la sostengono. Tu l’hai rigettata come se questa dottrina, assente nel Talmud, fosse per questo assente in toto nell’ebraismo.
        Dubito, però, che gli ebrei sostenitori della Cabala ritengano la loro “interpretazione mistica non letterale” della Scrittura uno sterile gioco di fantasie privo di qualsiasi valore.
        Per la cronaca, la Cabala interessò molto anche grandi pensatori non ebrei, come Pico della Mirandola, contribuendo allo sviluppo del Rinascimento.

        Scrivi:
        “Il libro di Giobbe non è un reportage giornalistico né un resoconto storico, ma una storia filosofica fittizia. Benché l’autore abbia ambientato la vicenda al di fuori di Israele (per conferirle un carattere universale), l’etica espressa da Giobbe è quella della religione ebraica. Quindi per quale motivo sottolineare che nel Vicino Oriente gli schiavi erano trattati male? Non è un’obiezione pertinente: Giobbe esprime una propria etica che è quella della Torah. In questa etica, lo ripeto, tutti gli esseri umani, schiavi o liberi, sono considerati figli della medesima divinità.”

        Che il libro di Giobbe sia una storia filosofica fittizia sono in molti a pensarlo, primi fra tutti quegli ebrei sostenitori della Cabala e della dottrina della reincarnazione.
        In fondo questo libro non rivela nulla, almeno non in maniera esplicita: non insegna neppure la lealtà assoluta verso Dio in qualsiasi condizione poiché Giobbe, dopo che fu colpito pure nella carne, perse alla fine la sua proverbiale pazienza e contestò la giustizia divina. Allora Dio gli parlò, ma solo per ammonirlo che la creatura non può discutere con il suo Creatore. Tuttavia Giobbe fu premiato, mentre i suoi tre amici, fautori dell’idea che tutte le disgrazie umane sono castighi per colpe proprie o degli antenati, ebbero una tirata d’orecchie.
        Non stupisce, quindi, che i cabalisti, alla ricerca di verità esoteriche, abbiano ravvisato in quest’opera – in apparenza inconcludente – una spiegazione recondita attraverso la teoria della metempsicosi. Io non ci credo, ma sono d’accordo con l’interpretazione cabalistica.

        Scrivi:
        “La Torah non contiene “belle parole”, bensì principi morali da cui scaturiscono i suoi precetti. Ma quando un principio ideale incontra una realtà concreta imprescindibile, spesso sono necessari compromessi, ed è il caso della schiavitù, un’istituzione che la Torah erode dal suo interno. Mi citi Thoreau, ma io in verità ti dico (mi perdonino i cristiani per l’espressione) che nella concezione biblica la prigione è considerata molto peggiore della schiavitù. Un uomo segregato, infatti, non è affatto più libero (anzi!) di un uomo assoggettato a un altro.”

        Auspicavo che l’aforisma di Thoreau fosse chiaro: lui NON dice che la prigione è preferibile alla schiavitù ma che sceglierebbe la prigionia piuttosto che vivere da uomo libero in uno stato che legittimi la schiavitù! Per lui, se un uomo è onesto, ha il dovere di combattere leggi inique pur sapendo che sarà imprigionato o che finirà sul patibolo.
        Migliaia di americani hanno perso la vita nella guerra civile per abrogare la schiavitù dei neri.
        Le suffragette del primo Novecento si incatenavano davanti alle sedi dei Parlamenti a dimostrare che preferivano la prigione all’acquiescenza verso istituzioni NON egualitarie; in carcere molte ci sono finite davvero. Una di loro morì per protesta facendosi travolgere dai cavalli in un ippodromo sotto gli occhi dei monarchi inglesi. Jan Palach e altri suoi amici immolarono le loro vite bruciandosi vivi per contestare l’asservimento all’Unione Sovietica.
        Quegli uomini e quelle donne hanno messo in pratica, sulla propria pelle, la riflessione di Thoreau.

        Diversamente, il Dio biblico non si è sforzato poi tanto, nonostante tu dica che le sue leggi siano rivoluzionarie. Di sicuro vi è ben poco di rivoluzionario nell’erodere dall’interno l’istituto della schiavitù quando invece il vero rinnovamento sarebbe stato la sua abolizione.
        Dici che la schiavitù era necessaria nei tempi passati. Se ciò fosse vero, non si comprenderebbe perché dopo la caduta dell’impero romano essa fu abrogata nell’Europa cristiana per essere sostituita dalla servitù della gleba nelle zone rurali; nel tredicesimo secolo si cominciò ad abolire anche la servitù della gleba, che rimase in vigore solo nella retrograda Russia zarista.
        L’asservimento di esseri umani, a quanto pare, non è mai stato una necessità concreta imprescindibile. L’istituto della schiavitù è espressione di antiche barbarie di cui l’umanità, con l’evoluzione etica, poco per volta ha saputo liberarsi.
        Tu parli di “erosione” che la Torah avrebbe effettuato all’interno di tale istituzione disumana, come se ciò bastasse a giustificarla. Tale “erosione dall’interno” è comunque una tua interpretazione della Bibbia che necessita di una condizione primaria: che sia cancellato per intero un pezzo della Torah, vale a dire il passo di Levitico 25: 29-46, dove la (crudele) distinzione di trattamento fra schiavo ebreo volontario a tempo determinato, da una parte, e schiavo straniero coatto vita natural durante, dall’altra, è decretata a chiare lettere.

        Scrivi:
        “I due saranno una sola carne” non dice nulla sulla monogamia. Questo verso, nel suo senso letterale, allude al rapporto sessuale che ricongiunge l’unità originaria dell’uomo.”

        Questa è la tua interpretazione alla quale, anche ora, ti rispondo con tesi non mie ma giudaiche: mi riferisco ai giudei che fondarono il cristianesimo (un fenomeno inizialmente ebraico poi esportato nel mondo pagano). Secondo il c.d. Nuovo Testamento (opera interamente ebraica) la vergogna della poligamia sarebbe stata concessa agli israeliti solo “per la durezza dei loro cuori”, ma l’iniziale proposito di Dio era che il matrimonio dovesse essere monogamico.
        Anche nell’ambito matrimoniale, la Torah si rivela tutt’altro che rivoluzionaria consentendo all’uomo potente un numero illimitato di mogli e il concubinato. Davide ebbe decine di mogli e di concubine, Salomone addirittura mille, ossia mille prigioniere sorvegliate da uomini castrati apposta per essere i loro guardiani. Se anche quel re avesse avuto tempo ed energie per dedicarsi a ciascuna delle sue donne, una per ogni notte, ognuna di loro avrebbe dovuto attendere mille notti, ossia quasi tre anni, prima di ricevere nuovamente le attenzioni di un marito così troppo oberato.
        In realtà i giudei proto cristiani non riformarono alcunché essendo la monogamia da sempre l’istituto matrimoniale esistente presso greci e romani; ma occorreva spiegare perché il Dio biblico fosse rimasto talmente indietro in quest’ambito. Pertanto la frase “I due saranno una sola carne”, se anche non dicesse nulla sulla monogamia, perlomeno tenta di giustificare l’arretratezza delle leggi divine.

      2. Non ho mai parlato dell’esistenza della dottrina della reincarnazione nell’Ebraismo. So bene che esiste e che oggi è molto diffusa, ma in passato non era così. Maimonide e Ibn Ezra, ad esempio, la rigettano in quanto credenza non ebraica. E intendere il libro di Giobbe alla luce di questa dottrina che nell’Ebraismo si è insinuata nel 1200 è anacronistico e fuorviante. Giobbe non soffre per le sue colpe in una vita passata, ma perché Dio lo aveva messo alla prova per verificare i suoi meriti (la famosa scommessa con il Satàn). Cosa ciò significhi realmente, a livello filosofico e spirituale, è un discorso a cui potremmo dedicare interi libri, ma non ha nulla a che fare con la reincarnazione.

        L’abolizione della schiavitù è avvenuta progressivamente con il mutare delle condizioni sociali e dell’assetto culturale dei vari popoli. Abolire la schiavitù 3000 anni fa era semplicemente impossibile e anacronistico. Ciò che invece era possibile, ed è stato compiuto dalla Torah, era introdurre questa istituzione in una dimensione etica fondata sulla sacralità della vita e sul rispetto che ogni essere umano merita in quanto “chi ha formato me nel grembo ha fatto anche lui”. Certo, ci piacerebbe trovare nella Bibbia la dichiarazione universale dei diritti umani dell’ONU, o le Convenzioni di Ginevra, ma dobbiamo sottrarci alla tentazione di leggere un testo così antico alla luce delle concezioni politiche e culturali moderne. La Bibbia va letta nel suo contesto, e solo dopo averla confrontata con i codici coevi o più antichi è possibile riconoscere la direzione morale in cui la Torah si muove. Consiglio a questo proposito la lettura del libro del Prof. Joshua Berman “Created Equal: How the Bible Broke with Ancient Political Thought”.
        Ricordo inoltre che, al di là dei dettagli legalistici, il Dio della Bibbia è il Dio che libera gli schiavi, che ascolta il grido degli oppressi per redimerli, che innalza il povero e umilia gli arroganti. Questo è l’ideale biblico, non quello della tirannia, dell’oppressione o del dominio delle classi sociali più elevate (che troviamo invece in tutto il Vicino Oriente antico).

        Per quanto riguarda “i due saranno una sola carne”, mi risulta che il c.d. Nuovo Testamento da te citato applichi la frase “per la durezza dei vostri cuori Mosè vi ha concesso questo” solo al concetto del divorzio, che Gesù intende come una concessione all’uomo che non rispecchia l’ideale divino (un po’ come il cibarsi di carne). Neppure il N.T. abolisce la poligamia, seppure una delle epistole paoline, se non erro, presenta il matrimonio monogamo come il più appropriato a un uomo irreprensibile chiamato a vegliare sulla comunità. La Torah stessa in Devarim afferma comunque che il re non dovrà avere molte mogli, prescrizione chiaramente infranta da Shelomò, insieme a molte altre purtroppo.

  10. Scrivi:
    “L’abolizione della schiavitù è avvenuta progressivamente con il mutare delle condizioni sociali e dell’assetto culturale dei vari popoli. Abolire la schiavitù 3000 anni fa era semplicemente impossibile e anacronistico.”

    Sarebbe stato “impossibile e anacronistico” introdurre, che so, l’automobile 3000 anni fa.
    Fare a meno della schiavitù, invece, era senz’altro possibile, giacché gli uomini del Medioevo, il cui assetto economico e sociale non era per nulla differente dai tempi più antichi, ci sono riusciti benissimo. Anche la poligamia, il ripudio della moglie e il prezzo della sposa non erano istituti fondamentali, poiché gli antichi greci e romani, nel loro diritto matrimoniale li hanno vietati – mentre erano permessi dalla Torah.
    Sono d’accordo che non è stato il Nuovo Testamento a mutare le regole mosaiche sul matrimonio. Tale mutamento dipese dal fatto che il cristianesimo, sorto nella Giudea ma diffusosi tra gli abitanti dell’impero romano, doveva adattarsi alle leggi di Roma.

    Scrivi:
    “Non ho mai parlato dell’esistenza della dottrina della reincarnazione nell’Ebraismo. So bene che esiste e che oggi è molto diffusa, ma in passato non era così. Maimonide e Ibn Ezra, ad esempio, la rigettano in quanto credenza non ebraica. E intendere il libro di Giobbe alla luce di questa dottrina che nell’Ebraismo si è insinuata nel 1200 è anacronistico e fuorviante. Giobbe non soffre per le sue colpe in una vita passata, ma perché Dio lo aveva messo alla prova per verificare i suoi meriti (la famosa scommessa con il Satàn). Cosa ciò significhi realmente, a livello filosofico e spirituale, è un discorso a cui potremmo dedicare interi libri, ma non ha nulla a che fare con la reincarnazione.”

    Credo che Ebraismo e Protestantesimo abbiano una cosa in comune: l’assenza di un vertice come la figura del Papa nel Cattolicesimo. Ciò, di conseguenza, nell’uno come nell’altro caso ha generato una pletora di correnti dottrinali reciprocamente molto contrastanti.
    Già al tempo di Cristo il giudaismo era frammentato: c’erano i farisei, i sadducei, gli zeloti, i samaritani, i battisti, gli erodiani, gli esseni, questi distinti in nazareni e ossaeani e che vivevano in comunità di tipo monacale. Queste correnti erano in polemica, se non in lotta fra loro; il cristianesimo si aggiunse a esse, e si rivelò una delle più litigiose.
    Pertanto, ciò che Maimonide e Ibn Ezra affermano, in contrasto alle posizioni dottrinali di altri ebrei, sono nulla più che opinioni di parte, non verità ispirate. Gli ebrei seguaci della reincarnazione ritengono che lo scrittore biblico volesse suggerire un significato esoterico in una storia che, in superficie, appare inconcludente. Ad ogni modo, è solo la Cabala che risale al Medioevo, ma il concetto della trasmigrazione delle anime esisteva in Grecia, terra a due passi dalla Palestina, all’epoca in cui la Torah fu redatta. Secondo me, l’autore del libro di Giobbe aveva ravvisato nella filosofia platonica la chiave per spiegare le troppe incongruenze dei redattori che lo avevano preceduto.
    Che gli ebrei del post-esilio fossero largamente influenzati da idee provenienti dall’estero è provato dalla loro stessa frammentazione in sette aderenti a concezioni importate. Fra queste, rilevanti sono: la risurrezione dei morti, l’apocalittica, l’aldilà, il diavolo. Tutte queste concezioni sono senz’altro presenti nel proto cristianesimo giudaico e, in parte, anche nelle altre fazioni.
    Il Tanakh risente molto dei rimaneggiamenti che autori diversi, in epoche diverse, vi hanno apportato con i loro scritti per “ammorbidire” il pensiero arcaico dei loro predecessori.
    Un esempio è il censimento illecito ordinato da Davide:

    “La collera del SIGNORE si accese di nuovo contro Israele e incitò Davide contro il popolo in questo modo: «Su, fa’ il censimento d’Israele e di Giuda.»“ — 2Samuele 24:1, CEI.

    Quando fu scritto il libro di Samuele, la fede monoteistica era assoluta: si credeva che il bene e il male derivassero entrambi dal Dio unico. Inoltre, era umiliante accettare che le proprie disgrazie fossero sempre “meritati” castighi per i propri peccati. Il monoteismo estremo addebitava a Dio comportamenti assurdi e patologicamente tortuosi come il verso sopra riportato. Vale a dire che: Dio spinse il re a commettere una violazione alla sua stessa Legge allo scopo di avere una scusa per castigare, a causa di quel peccato INDOTTO, il popolo d’Israele.
    Circa tre secoli dopo, quando fu scritto il libro di Cronache, la figura del diavolo come responsabile dei mali era ormai stata accolta da molti giudei (l’idea della metempsicosi non si affermò essendo troppo ostica in quell’epoca perché fosse accettata dalle masse). Il redattore di questo libro non esitò a correggere, per renderla un po’ razionale, la storia del censimento sostituendo il soggetto agente: non più Dio ma Satana.

    “SATANA insorse contro Israele. Egli spinse Davide a censire gli Israeliti.” — 1Cronache 21, CEI.

    Con questo rifacimento la frase acquista un senso e il Dio biblico riappare adesso in una luce più verosimile. Il Tanakh è quindi tutt’altro che unitario. I suoi redattori che si sono susseguiti nel corso dei secoli, osservando criticamente il lavoro dei loro predecessori ma non potendovi apportare rettifiche, vi hanno aggiunto nuovi scritti finalizzati a “mitigare” e a perfezionare i testi precedenti.
    Ciò consente ai lettori della Bibbia di vederci tutto il bello che desiderano vedervi, purché chiudano gli occhi su tutto il resto.

    Scrivi:
    “Dio lo aveva messo alla prova per verificare i suoi meriti (la famosa scommessa con il Satàn)”

    Chi era questo Satàn così potente e arrogante da mettere alla prova le certezze di Dio, tanto da obbligarlo a competere con lui?

    1. Sulla schiavitù: non dico che abolire la schiavitù fosse impossibile a priori, ma che tale istituzione era parte fondamentale del sistema economico del mondo antico, e come dice Maimonide “Non è possibile per l’uomo passare in un attimo da un estremo all’altro”. E di fatto la schiavitù nella Torah non era vera schiavitù: lo schiavo israelita era tale per un periodo molto limitato, aveva molte tutele ed era considerato un fratello (da trattare come tale). Lo schiavo straniero poteva lavorare duramente, ma veniva automaticamente liberato in caso di danni fisici permanenti, chi lo uccideva doveva essere messo a morte (impensabile altrove per qualsiasi schiavo!), doveva riposare di Sabato, non poteva essere restituito al padrone in caso di fuga, e infine gli Israeliti dovevano rapportarsi con lui ricordando la propria dolorosa esperienza nazionale. Erano schiavi in perpetuo, ma era prassi comune liberarli, almeno all’epoca del Secondo Tempio, in base al principio della mitzvah de-rabim. Certo, nel Medioevo fu abolita la schiavitù vera e propria, ma ciò avvenne soprattutto grazie all’influenza dei valori cristiani che hanno avuto origine proprio dalla Torah.

      La poligamia non è stata abolita nell’Ebraismo a causa delle leggi romane. La poligamia continua a essere permessa dai Maestri del Talmud, e ancora Maimonide e in seguito lo Shulkhan Arukh la permettono, seppure con l’obbligo di non fare discriminazioni tra le varie mogli. Si trattava però di una concessione quasi del tutto teorica, in quanto di fatto nessuno aveva più mogli (Rabbenu Gershom aveva bandito la poligamia per fini pratici nel mondo ashkenazita). Inoltre, nell’Ebraismo esiste il principio “Dina deMalkhuta Dina”, ossia: la legge dello Stato in cui l’ebreo vive deve essere rispettata.

      Ciascuno può liberamente credere nelle proprie concezioni filosofiche e mistiche e cercare di incastonare queste ultime nel testo biblico, ma sta di fatto che il libro di Giobbe non parla mai di reincarnazione. A me interessa ciò che il testo biblico dice, non ciò che gli altri gli hanno fatto dire ricorrendo a idee che si sono diffuse molto più tardi.

  11. Ragioni e scrivi, ma fai sfoggio solo del tuo sapere. Ma sapere non significa affatto capire le cose, e te l ho detto e te lo ripeterei sempre che nella Bibbia Dio se ne ride della sapienza ed intelligenza umana. Devi leggere e capire e risolvere razionalmente l’episodio del peccato originale se vuoi capire la Bibbia. Almeno la razionalità del suo autore se non credi in Dio e nella vita eterna. Gli scrittori biblici ( del tanak) non hanno rimaneggiato un bel niente nel corso dei secoli perché tutto era già previsto e spiegato all inizio del racconto. Il bene e il male è confuso su quell’albero, e i tuoi ragionamenti ne sono una piena conferma, perché sono tutti confusi e contraddittori. Hai pure scritto che il cristianesimo si è dovuto adattare alle leggi romane con riguardo al matrimonio, essendo invece perfettamente il contrario. Eppure sai bene che per il cristianesimo la salvezza non può venire dalla legge, ma dall’amore,, perché in principio non fu cosi diceva Gesù. In principio, prima che l ‘uomo si cibasse del bene e del male….. perché solo dopo ha bisogno di una legge, e le leggi come tu scrivi sono mutevoli nel tempo e cambiano con la cultura nel corso della storia umana, e come dimostri possono solo litigare gli uomini in base alla legge, accusarsi a vicenda, perché sono convinto che la legge è fatta per gli ingiusti non per i giusti diceva San Paolo.
    Hai voglia di stare a discutere e confrontarsi sulla legge, quale sia più giusta o meno, ma certamente ne morirai ha detto il Signore. credi nella metempsicosi e non nella resurrezione? O forse non credi in niente, non si capisce. Tu stesso, da solo fai come tutto gli ebrei che hanno teorie e diverse interpretazioni, ma almeno loro ( anche se nemmeno questo si capisce bene) sanno che solo il messia gli può far conoscere la verità. Ci vorrebbe solo umiltà, o magari ricordarsi del detto socratico e dei sapienti di Giobbe, evitando di prendere le difese di Dio rischiando di parlare di lui con inganno, dando adito a te di smontare i loro ragionamenti. Le loro tante interpretazioni, ma di certo nn la rivelazione di Gesù.
    Dico anche io sempre le stesse cose
    Vado a cenare che è meglio
    Ciao

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