Pesach: cinque falsi miti sull’Esodo

La Pasqua ebraica sta arrivando. Come di consueto, questo periodo dell’anno porterà molti a discutere e a riflettere sui temi principali della festa di Pesach, e in particolare sulla vicenda biblica dell’Esodo.

Come tutte le grandi storie che da millenni appassionano l’umanità, anche l’Esodo porta con sé molti falsi miti, idee errate e nozioni fuorvianti che nel corso del tempo gli sono stati associati a causa di interpretazioni scorrette o imprecise del testo della Torah. Armiamoci allora di obiettività e cerchiamo di scoprire come stanno realmente le cose, affinché la festa di Pesach sia per noi anche una liberazione dai luoghi comuni.

1. Gli schiavi ebrei costruirono le piramidi

Nel 1977, durante la sua storica visita ufficiale in Egitto, il primo ministro israeliano Menachem Begin affermò con orgogliosa convinzione: “Noi Ebrei abbiamo costruito le piramidi”.

L’idea che gli Israeliti schiavi del Faraone fossero impiegati nei lavori di costruzione dei più celebri monumenti dell’antico Egitto, in tempi recenti rilanciata anche da Hollywood, non ha tuttavia alcun fondamento storico.

Oltre a essere molto più antiche dell’epoca dell’Esodo biblico, le piramidi furono costruite da sudditi egizi che non erano neppure schiavi, ma lavoratori liberi e regolarmente retribuiti, come gli archeologi oggi deducono da alcune iscrizioni funerarie.

La Bibbia, del resto, non menziona mai le piramidi, ma ci racconta che gli schiavi israeliti “costruirono per il Faraone le città-deposito, cioè Pitom e Ramses” (Esodo 1:11). 

2. Mosè fu abbandonato dalla madre nelle acque del Nilo

In una scena del famosissimo colossal cinematografico I dieci comandamenti (1956), vediamo la madre di Mosè affidare suo figlio alle acque del Nilo per sottrarlo alla persecuzione del Faraone, piena di fiducia nel fatto che Dio avrebbe in qualche modo tratto in salvo il bambino.

Il film d’animazione del 1998 Il principe d’Egitto mostra addirittura la cesta con il piccolo Mosè fluttuare a lungo nel Nilo tra animali e varie insidie, prima di essere finalmente raccolta dalla figlia del Faraone.

Per quanto emozionanti e ben rappresentate, queste scene non rispecchiano fedelmente il contenuto del racconto biblico, e hanno contribuito a trasmettere al grande pubblico un’immagine non accurata della storia dell’Esodo.

Secondo la narrazione della Torah (Esodo 2:1-10), la madre di Mosè non abbandonò suo figlio, ma lo pose in una cesta che poi nascose all’interno di un canneto (in ebraico suf), sotto la sorveglianza di sua figlia maggiore Miriam. La cesta fu rinvenuta dalla figlia del Faraone proprio nello stesso canneto, senza aver per nulla viaggiato in balia delle acque. A questo proposito, vi invitiamo a consultare il nostro articolo “Le origini di Mosè“.

4. Dio rivelò per la prima volta il suo nome al tempo di Mosè

Dio parlò a Moshè dicendo: «Io sono Y-H-V-H. Sono apparso ad Avraham, a Yitzchak e a Yaakov come El Shadday, ma con il Mio Nome Y-H-V-H non fui conosciuto da loro (Esodo 6:2-3).

Nell’ambito della critica biblica accademica, questo verso è da sempre interpretato come una chiara indicazione del fatto che i patriarchi del Libro della Genesi non conoscessero il Nome proprio di Dio (il Tetragramma sacro la cui esatta pronuncia è sconosciuta), poiché tale nome divino fu rivelato solo al tempo dell’Esodo.

Come spiegare allora i numerosi versi della Genesi in cui alcuni personaggi usano già il Tetragramma? (vedi Genesi 4:26; 15:17; 22:14; 28:13). La critica risponde affermando che la Torah è stata composta mettendo insieme documenti appartenenti a tradizioni contrastanti: secondo la cosiddetta “tradizione sacerdotale”, il Nome sacro era noto già prima del Diluvio, mentre secondo la “tradizione jahvista” il Tetragramma fu rivelato per la prima volta a Mosè.

Benché alcuni importanti studiosi accettino tuttora questa teoria, altri hanno invece fatto notare che l’espressione “con il Mio Nome Y-H-V-H non fui conosciuto da loro” assume un significato ben diverso alla luce del linguaggio tipico degli autori biblici.

Conoscere il nome di Dio“, infatti, non significa conoscere un appellativo in senso letterale, bensì fare esperienza diretta di ciò che quel nome rappresenta, ovvero sperimentare la fedeltà di Dio alle sue promesse.

Troviamo un esempio significativo in Isaia 52:6: “Perciò il mio popolo conoscerà il mio nome; perciò saprà, in quel giorno, che sono io che ho parlato”. In questo caso, Dio annuncia che redimerà il popolo d’Israele dall’oppressione e dall’esilio, affermando appunto che “in quel giorno” (cioè quando sarà redento) il popolo conoscerà il suo nome, cioè sperimenterà la sua fedeltà. Di certo il profeta non si riferisce qui alla conoscenza del Tetragramma sacro, che agli Israeliti era già noto da secoli.

Nel racconto dell’Esodo, dunque, gli Ebrei schiavi in Egitto sperimentano la fedeltà di Dio alle sue promesse di liberazione che erano già state rivelate ai patriarchi, ma che non si erano mai adempiute al loro tempo. In questo senso, essi saranno i primi a “conoscere il nome di Dio”, come è confermato da ciò che è scritto poco più avanti, nello stesso capitolo: “Io vi prenderò come mio popolo e diventerò il vostro Dio. Voi saprete che io sono Y-H-V-H, il vostro Dio, che vi sottrarrà dall’oppressione degli Egizi” (Esodo 6:7). 

5. Mosè esortò il Faraone a liberare gli Ebrei

Lascia andare il mio popolo!“. È questa la frase che risuona subito nella mente di molte persone (Ebrei, Cristiani, ma anche atei e membri di altre religioni) quando si parla dell’Esodo e della Pasqua ebraica. Una frase di emancipazione che evoca con efficacia la giustizia sociale e l’opposizione alla tirannia.

In tanti saranno però immensamente sorpresi di scoprire che, secondo la Bibbia, Mosè non ha mai pronunciato questa frase, né ha mai esortato in alcun modo il Faraone a liberare gli schiavi ebrei. Ebbene sì.

Questa volta non dobbiamo scomodare i vocaboli originali del testo ebraico, né le espressioni figurate del linguaggio biblico, e neppure chiamare in causa interpretazioni complesse. Una presunta richiesta di liberazione rivolta al Faraone è chiaramente e semplicemente assente dalla Bibbia.

Qual era allora la vera esortazione che Mosè e Aronne rivolsero al re d’Egitto? Da quanto si legge nell’Esodo, si trattava della pura richiesta di concedere una breve vacanza per motivi religiosi: “E ora lasciaci andare per un cammino di tre giorni nel deserto, perché possiamo offrire sacrifici al Signore, nostro Dio” (Esodo 3:18); “Andremo nel deserto per un cammino di tre giorni e sacrificheremo al Signore, nostro Dio, come Egli ci ordinerà” (8:27).

Soltanto in seguito all’uscita dall’Egitto, quando gli Israeliti non seguirono l’itinerario previsto, gli Egizi si resero conto dell’inganno e dissero: “Che cosa abbiamo fatto? Poiché [in questo modo] abbiamo lasciato andare Israele via dal nostro servizio!” (Esodo 14:5).

Ma per quale motivo la liberazione dalla schiavitù dovette avvenire per mezzo di una simile strategia? Ne abbiamo parlato nel nostro articolo “Lascia andare il mio popolo: la frase mai detta”, a cui rimandiamo per approfondimenti.

5. Durante la festa di Pesach, si mangia pane azzimo perché gli Ebrei in Egitto non ebbero il tempo di far lievitare il pane

La Haggadah di Pesach riporta: “Questa matzah (pane azzimo) che mangiamo, per quale motivo [la mangiamo]? Poiché l’impasto dei nostri padri non ebbe il tempo di lievitare prima che il Re dei re, il Santo Benedetto, si rivelasse a loro per redimerli”.

L’idea secondo cui il precetto di non cibarsi di lievito nei giorni di Pesach derivi dalla partenza affrettata degli Israeliti dall’Egitto non è di per sé errata, come attestato anche da un verso della Torah (Deut. 16:3). Si tratta però di un’affermazione quantomeno incompleta, poiché tale precetto fu trasmesso in realtà ancora prima della decima piaga (Esodo 12:15).

Nella Torah, inoltre, proibizione del lievito non è limitata solo alla festa di Pesach: qualsiasi oblazione di cibo consacrata nel Santuario, secondo Levitico 2:11, doveva infatti essere priva di lievito. Il precetto sembra dunque racchiudere anche un valore indipendente dalle circostanze in cui si verificò la partenza dall’Egitto.

Da dove nasce allora la messa al bando del lievito? Anche in questo caso rimandiamo a un nostro articolo precedente, in cui abbiamo discusso dettagliatamente di questo interessante argomento.

4 commenti

  1. 5 cose che credevo acquisite da risistemare🤣🤣🤣. Grazie di cuore in ogni caso, ora sono aggiornato!!! (fino alla prossima)

  2. Buongiorno vorrei capire meglio la traversata del mar rosso, da parte degli ebrei.
    Ho letto da qualche parte che la fuga degli ebrei seguì un itinerario a U quindi non è vera la storia dell’apertura del mar rosso e l’annegamento degli egiziani.
    Certo di un riscontro, vi ringrazio in anticipo

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