Daniele – Parte 2: Un sognatore in esilio

Daniel cominciò a dire: «Sia benedetto il nome di Dio da sempre e per sempre, perché a lui appartengono la sapienza e la forza. Egli muta i tempi e le stagioni, depone i re e li innalza, dà la sapienza ai savi e la conoscenza a quelli che hanno intendimento» (Daniele 2:20-21).

Nella prima parte del nostro studio dedicato al Libro di Daniele, abbiamo messo in luce i vari elementi di novità che rendono questo testo un esempio atipico all’interno della Bibbia ebraica, proiettandolo verso gli sviluppi futuri dell’Ebraismo.

Questa volta vogliamo fare l’opposto: ci concentreremo sugli elementi di continuità che legano il Libro al passato, mostrando che la storia di Daniel ha numerosi punti in comune con una certa vicenda biblica narrata nella Genesi. Scopriremo poi che, proprio nei momenti in cui l’opera si mostra maggiormente radicata nel mondo della Torah, essa ci presenta anche alcune innovazioni.

Un nuovo Giuseppe

Il giovane ebreo Daniel non è il primo personaggio biblico a ottenere la fama in un paese straniero grazie alla sua abilità di interpretare i sogni di un re. Prima di lui, c’era stato infatti Yosèf (Giuseppe), figlio di Yaakòv (Giacobbe), eroe degli ultimi capitoli della Genesi.

Le analogie tra queste due personalità sono davvero evidenti, ma come vedremo, si notano in realtà anche delle importanti differenze.

Innanzitutto, sia Yosef (Gen. 39:6) che Daniel (Dan. 1:4) sono definiti “avvenenti (yafeh toar) e di bell’aspetto (yafeh/tov mareh)”. A questo proposito, dopo che Daniel e i suoi tre amici avevano rifiutato il cibo della mensa regale allo scopo di non contaminarsi (1:15), il testo ci dice che essi erano divenuti “più grassi nella carne” (b’rié basàr), un’espressione insolita che nella Bibbia compare, oltre che qui, soltanto nella storia di Yosef, per descrivere le “vacche grasse” sognate dal Faraone.

Yosef e Daniel vivono entrambi in esilio: il primo giunge in Egitto dopo essere stato venduto come schiavo, il secondo è condotto a Babilonia come servo tra i deportati del regno di Giuda. In terra straniera, ricevono entrambi un nuovo nome dal loro padrone: in Egitto, il Faraone rinomina Yosef Tzafnat-Paneach (Gen. 41:45), mentre a Daniel è imposto dal re di Babilonia il nome Beltshatzar (Dan. 1:7).

Il tema dei sogni profetici, come sappiamo, caratterizza ambedue le vicende. Sia Daniel che Yosef predicono infatti il futuro tramite visioni notturne, sia le proprie che quelle di altri. Ed entrambi, pur non parlando mai direttamente in nome di Dio, riconoscono sempre nell’Altissimo la fonte dell’interpretazione dei sogni.

I due eroi vengono inoltre gettati in una prigione sotterranea, o “fossa” (Gen. 41:14; Dan. 6:16), da cui escono però sani e salvi. Infine, dopo essersi guadagnati il favore dei rispettivi sovrani, ambedue ottengono una gloria immensa, passando dalla condizione di schiavi a quella di ministri del re (Gen. 41:40; Dan. 2:48).

È evidente dunque l’intento, da parte del testo, di presentarci Daniel come colui che ha seguito al meglio l’esempio virtuoso di Yosef, vincendo le tribolazioni dell’esilio e mantenendosi integro nella sua fede.

Tuttavia, pur restando immuni dall’influenza nociva dell’ambiente pagano che li circonda, Yosef e Daniel non si isolano dal mondo; anzi, riescono a mettere la loro saggezza al servizio della società, offrendo aiuto ai sovrani e alle loro nazioni. Yosef mette a punto un piano per salvare l’Egitto da una lunga carestia, mentre Daniel fornisce consigli al re Nevukadnetsar su come preservare la stabilità del regno ed espiare le proprie colpe (4:27).

Più in alto di Giuseppe

Daniel non si limita soltanto a seguire con successo le orme di Yosef, ma va anche oltre: da un confronto tra i due personaggi, sembra che Daniel abbia raggiunto risultati persino superiori a quelli del su antico modello.

Nel racconto della Genesi, è il Faraone a riferire i propri sogni, mentre a Yosef spetta il ruolo di svelarne il significato. Nel caso di Daniel, il re non racconta a nessuno ciò che ha sognato, forse perché aveva dimenticato i dettagli della visione (2:26); tuttavia, Daniel si mostra comunque in grado di scoprire il contenuto del sogno e di fornire l’interpretazione.

Inoltre, mentre Yosef non si reca volontariamente dal Faraone per interpretare i suoi sogni, ma viene convocato grazie al coppiere di corte (Gen. 41:9-13), Daniel prende l’iniziativa di presentarsi al re, promettendo subito di riuscire nell’impresa (Dan. 2:16). Fra i due, poi, Daniel è l’unico a pregare (2:17-23), cosa che Yosef (al contrario di suo padre Yaakov) non fa in nessuna occasione.

Attraverso l’interpretazione dei sogni del Faraone, Yosef preannuncia che vi saranno in Egitto sette anni di abbondanza e sette anni di grave carestia (Gen. 41:29-30). Non esattamente una buona notizia, ma nulla di irreparabile, considerando che Yosef fornisce prontamente anche una soluzione per evitare il peggio. Daniel, all’opposto, preannuncia a Nevukadnetsar che Babilonia è destinata a cadere, e che altri imperi prenderanno il suo posto (Dan. 2:39). Una predizione molto aspra che richiedeva un notevole coraggio per essere pronunciata dinanzi al re.

Da qui sembra scaturire anche un’altra interessante differenza: la predizione di Yosef è piuttosto limitata nel tempo e nello spazio, poiché si realizza in un arco di soli quattordici anni e riguarda solo l’Egitto e le regioni vicine. In contrasto, quella di Daniel appare molto più ampia e universale, avendo come oggetto il susseguirsi dei grandi imperi che si affermeranno nel Mediterraneo nel corso di vari secoli.

Dopo che i rispettivi sogni sono stati spiegati, i due sovrani reagiscono in modo differente. Il Faraone dice ai suoi servi: “Potremmo forse trovare un uomo pari a questo, in cui sia lo Spirito di Dio?” (Gen. 41:38); Nevukadnetsar, invece, dichiara: “In verità il vostro Dio è il Dio degli dèi, il Signore dei re e il rivelatore dei segreti, poiché tu hai potuto svelare questo mistero” (Dan. 2:47).

In altre parole, secondo il re d’Egitto non c’è nessuno pari a Yosef, mentre secondo il re di Babilonia non c’è nessuno pari a Dio. Soltanto Daniel arriva quindi tanto in alto da riuscire a far sì che i re pagani riconoscano apertamente la grandezza del Dio d’Israele, un risultato davvero non da poco, soprattutto se si considera che, per i Profeti, la condizione di esilio per il popolo ebraico è solitamente descritta come sinonimo di maledizione e di disprezzo agli occhi delle genti (vedi Ezechiele 36:20; Zaccaria 8:13), mentre qui avviene l’esatto contrario.

Il Dio della natura e della Storia

Da quanto abbiamo detto, potrebbe emergere quasi una sorta di contrasto tra la vicenda di Yosef e a quella di Daniel, dal momento che la seconda sembra apparire come una “versione migliorata” della prima. Da un’altra prospettiva, si comprende però che tali racconti possono essere letti in continuità, poiché contengono due messaggi complementari.

I sogni del Faraone, con la visione delle vacche e delle spighe, preannunciano un evento naturale: la carestia che si abbatte sull’Egitto e che pone fine a un lungo periodo di prosperità. Come Yosef stesso spiega, questo evento è stato determinato dalla volontà del Creatore:

"E Yosef disse al Faraone: [...] «Dio ha indicato al Faraone quello che sta per fare. [...] Il fatto che il sogno si sia ripetuto due volte per il Faraone vuol dire che la cosa è decretata da Dio e che Dio l'eseguirà presto" (Genesi 41:25-32).

Alla base della vicenda c’è dunque una concezione teologica secondo cui il Dio adorato da Yosef è il Sovrano dell’universo, Colui che controlla la natura.

Il sogno di Nevukadnetsar nel Libro di Daniele, come abbiamo già ricordato, anticipa la caduta di Babilonia e lo sviluppo di altri regni, anch’essi destinati un giorno a perire, fino all’istaurazione definitiva del regno di Dio che dominerà incontrastato. Da questa visione, si può quindi capire che Dio è colui che “depone i re e li innalza” (Dan. 2:21).

Yosef parla dunque della sovranità di Dio sulla natura, mentre Daniel di quella sulla Storia. Insieme, le due concezioni si completano, ma è la seconda a essere messa maggiormente in rilievo, in armonia con il pensiero biblico che, diversamente dalla mentalità politeista dominante, ha sempre visto la mano divina negli eventi storici ancor più che nei fenomeni naturali.

Come ha scritto il grande studioso delle religioni Mircea Eliade (Cosmos and History, 1959), “Si può dunque affermare dicendo il vero che gli Ebrei furono i primi a scoprire il senso della Storia come epifania di Dio”.

Un commento

  1. Caro redattore, solo un piccolo commento all’ultimo rigo, in cui citando un altro autore, dici che gli ebrei furono i primi a scoprire il senso della storia come epifania di Dio. Correggi il suo autore, se posso darti un consiglio , perché come hai detto lui è solo uno storico delle religioni…. perché è Dio a rilevare agli ebrei il senso della storia, come ci dimostrano Giuseppe e Daniele, che non si vantano affatto di se stessi. Sono stati i primi a cui Dio l’ha rilevato, perché sono il popolo eletto, il popolo della rilevazione. Ma è stato Dio a scegliere loro, non il contrario, anche se molti essendo solo degli storici vorrebbero loro condurre Dio nel corso della storia umana. so che mi capisci. tutto i resto va bene…. scherzo un pò, ma sai che conta il finale, le conclusioni che si traggono, chi si vanta, si vanti solo del signore sta scritto

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