Tu, o re, guardavi, ed ecco una grande statua. Questa statua, immensa e d'uno splendore straordinario, si ergeva davanti a te, e il suo aspetto era terribile. La testa di questa statua era d'oro puro; il suo petto e le sue braccia erano d'argento; il suo ventre e le sue cosce di bronzo; le sue gambe, di ferro; i suoi piedi, in parte di ferro e in parte d'argilla (Daniele 2:31-33).
Dopo aver introdotto i principali temi e le caratteristiche distintive del Libro di Daniele, in questa terza parte entreremo nel vivo dell’analisi addentrandoci nei misteri del testo e nel suo linguaggio allegorico. Parleremo infatti delle due statue menzionate nel Libro: la prima, quella sognata dal re di Babilonia in una visione profetica, e la seconda, quella che lo stesso sovrano fece poi costruire in proprio onore.
“La testa d’oro sei tu”
Il grande Nevukadnetsar è turbato da un sogno che ha fatto, ma che non vuole (o non può) raccontare a nessuno. Il re pretende che i maghi babilonesi riescano da soli a risalire a ciò che egli ha sognato, offrendone anche l’interpretazione. E davanti alla loro incapacità, si mostra addirittura pronto a far sterminare tutti i saggi del regno.
L’unico in grado di liberare il re dal suo tormento è il giovane Danièl, che si era già distinto alla corte di Babilonia per la sua saggezza (1:17-19). L’esule giudeo si presenta infatti da Nevukadnetsar dichiarando che Dio gli ha fatto conoscere il sogno e il suo significato. La cosa appare convincente al monarca, che si inchina davanti a Daniel e riconosce la grandezza del Dio degli Ebrei (2:46-47).
Veniamo però al contenuto del sogno. Il re ha visto una grande statua costituita da varie parti distinte, ciascuna composta da un diverso materiale: la testa d’oro, le braccia e il petto d’argento, il ventre di bronzo, le gambe di ferro e infine i piedi formati da un miscuglio di ferro e argilla. Man mano che si scende verso il basso, i metalli diventano dunque più solidi e resistenti, ma anche meno preziosi.
In seguito, nella visione compare una pietra “non spinta da una mano” (2:34) che si abbatte sui piedi della statua e la frantuma interamente. Mentre il vento porta via i residui della scultura, la pietra si accresce fino a diventare un monte che riempie tutta la terra.
La spiegazione del sogno ci è fornita già all’interno del testo: le varie parti di cui è composta la statua rappresentano quattro regni che si succederanno sulla terra, il primo dei quali è proprio l’impero babilonese, poiché Daniel dice al re: “la testa d’oro sei tu” (2:38).
Dopo Babilonia sorgeranno altri regni, sempre meno prestigiosi ma sempre più potenti. L’ultimo regno, quello del ferro, sarà poi diviso e diverrà in parte potente come il ferro e in parte debole come l’argilla. Infine, Dio farà sorgere un regno che “non sarà mai distrutto” e annienterà tutti gli altri.
L’idea di rappresentare la storia dell’uomo come un susseguirsi di metalli era già nota nel mondo antico. La sua formulazione più conosciuta è quella proposta dal poeta greco Esiodo, che descrive la mitica età dell’oro seguita dall’età dell’argento, del bronzo, degli eroi, fino ad arrivare agli uomini violenti e degenerati dell’epoca del ferro. Il Libro di Daniele presenta però due differenze essenziali:
- Nella versione greca, questa allegoria era usata per illustrare l’evoluzione dell’umanità a partire dai suoi albori in un’epoca mitica (l’età dell’oro) per giungere fino al presente. In Daniele, all’opposto, non si parte dall’origine dell’uomo, ma dal presente, e la visione si focalizza sui tempi futuri.
- Solo l’autore biblico introduce l’immagine della pietra che distrugge la statua, a rappresentare l’intervento divino che pone fine al dominio umano per inaugurare un regno messianico di pace e giustizia.
L’identificazione dei quattro regni
Mentre l’identità del primo regno (la testa d’oro) è svelata da Daniel stesso, su tutti gli altri esistono pareri discordanti tra gli studiosi e i commentatori, in particolare per quanto riguarda il ferro e l’argilla.
Non potendo qui dare spazio alle numerose congetture – spesso improbabili, fantasiose e poco oggettive – che sono state formulate nel corso dei secoli, ci limiteremo a semplificare il quadro riportando solo quelle che a buon diritto possono essere considerate le due interpretazioni principali della visione: quella della tradizione ebraica, espressa dai Maestri del Talmud e adottata (con alcune variazioni) dai rabbini successivi, e quella oggi predominante nel mondo accademico.
Parti della statua | Studiosi moderni | Tradizione ebraica |
1. Testa d’oro | Babilonia | Babilonia |
2. Braccia d’argento | Media | Media e Persia |
3. Ventre di bronzo | Persia | Grecia |
4. Gambe di ferro | Grecia | Roma |
5. Piedi di ferro e argilla | Regni ellenistici | Eredi dell’Impero romano |
Come si nota dallo schema, le due interpretazioni non appaiono perfettamente allineate. La tradizione rabbinica vede la Media e la Persia come un unico impero (l’argento), e identifica il quarto regno (il ferro) con Roma.
Nel mondo accademico si ritiene invece generalmente che la Media e la Persia siano indicati qui come due regni separati (argento e bronzo) e che il ferro sia quindi l’impero greco di Alessandro Magno, poi diviso tra i suoi eredi, i Diadochi, con la successiva nascita dei regni ellenistici.
La divergenza tra le due interpretazioni si basa principalmente su motivi cronologici: se il Libro di Daniele, nella sua redazione definitiva, risale all’epoca ellenistica (come la critica oggi ritiene), dal punto di vista accademico non è possibile asserire che il testo possa contemplare l’ascesa di Roma e la successiva divisione dell’Impero romano. Secondo la prospettiva religiosa tradizionale, invece, l’idea che Daniel abbia davvero predetto il futuro non pone alcuna difficoltà.
Quando in seguito analizzeremo le altre visioni allegoriche di Daniele (in particolare la visione delle quattro bestie), avremo modo di riflettere più a fondo su queste differenze e sull’identificazione dei quattro regni. Il Libro, infatti, tornerà più volte su questo tema, aggiungendo progressivamente nuovi dettagli che faranno luce sulle rivelazioni precedenti.
Ci basti per ora comprendere il messaggio metastorico del brano, che in ogni caso rimane invariato.
Per il Libro di Daniele, il potere umano è una costruzione artificiosa che genera turbamento, un’istituzione per nulla ideale. Ma la Storia, per quanto sembri procedere in senso pessimistico, è orientata verso un avvenire di speranza segnato dal trionfo di Dio sulle pretese umane di dominio.
La statua d’oro del re
Il re Nevukadnetsar fece costruire un'immagine d'oro, alta sessanta cubiti e larga sei cubiti, e la fece erigere nella pianura di Dura, nella provincia di Babilonia (Daniele 3:1).
Il racconto del sogno della statua si conclude con un insolito Nevukadnetsar che non esita a rendere omaggio al Dio d’Israele colmando di onori il saggio Daniel. Il capitolo successivo si apre tuttavia con un cambio di rotta: il re esalta sé stesso facendo costruire un’immensa scultura d’oro davanti a cui tutti i sudditi sono obbligati a prostrarsi. Chi si rifiuta di farlo dovrà essere gettato in una fornace ardente (3:6).
Sembra quindi che Nevukadnetsar, come a voler scongiurare l’adempimento del sogno, secondo cui Babilonia (la testa d’oro) sarebbe stata soppiantata da altri regni (l’argento, il bronzo e il ferro), abbia fatto prontamente realizzare una statua tutta d’oro, a rappresentare il dominio perpetuo dell’impero babilonese.
Ciò che accade a questo punto è piuttosto noto: i tre amici di Daniel, fedeli al monoteismo ebraico, si rifiutano di prostrarsi davanti alla statua del re, e vengono per questo denunciati e condannati a morte. Le fiamme non hanno però alcun effetto su di loro, che escono miracolosamente illesi dalla fornace, portando Nevukadnetsar a dichiarare: “Non c’è nessun altro dio capace di salvare in questo modo” (3:29).
Forse, però, l’elemento più interessante del racconto non è il miracolo, ma il modo in cui ci viene presentata la statua. Riguardo a quest’ultima, gli antichi Maestri del Midrash (Eichah Rabbah, Petichta 23) riportano che la sua base era stata costruita fondendo tutto l’oro che i Babilonesi avevano rubato da Gerusalemme durante la distruzione della città. A prima vista, sembrerebbe un dettaglio completamente estraneo al testo; eppure, tale affermazione dei Maestri può insegnarci qualcosa di fondamentale su questo brano.
Leggendo attentamente il racconto, si può dedurre che il monumento idolatrico di Nevukadnetsar sia descritto in maniera da rievocare il Bet HaMikdàsh, il Tempio di Gerusalemme:
- La statua d’oro era alta sessanta cubiti (3:1), esattamente l’altezza del Secondo Tempio in base a quanto riportato in Esdra 6:3.
- Il re di Babilonia convoca tutti i governatori e i funzionari del regno per partecipare all’inaugurazione (chanukkà’) della statua. Questo termine aramaico, insieme al suo corrispettivo ebraico (chanukkah), è usato nella Bibbia esclusivamente per indicare la dedicazione del Tempio (Numeri 7:10; Salmi 30:1; Esdra 6:17; Neemia 12:27).
- L’ordine di prostrarsi davanti alla statua è rivolto a “gente di ogni popolo, nazione e lingua” (Daniele 3:4). L’idea richiama la descrizione dell’era messianica espressa dai Profeti: “E avverrà che di novilunio in novilunio e di Shabbat in Shabbat ogni carne verrà a prostrarsi davanti a me, dice HaShem” (Isaia 66:23); “E avverrà che il residuo di tutte le nazioni venute contro Gerusalemme salirà di anno in anno ad adorare il Re, HaShem” (Zaccaria 14:16).
La statua d’oro si pone quindi come un’alternativa blasfema al Tempio di Dio, chiamato “casa di preghiera per tutti i popoli” (Isaia 56:7), diventando un simbolo dell’opposizione tirannica al vero culto e un rovesciamento dell’ideale messianico.
Affermando che la base della statua fosse stata composta impiegando l’oro di Gerusalemme, il Midrash non vuole tramandare un fatto storico, ma invitarci a riflettere sul contrasto, solo implicito nel testo, tra il Tempio e l’orgoglio dell’impero che l’aveva distrutto.
I quattro regni rappresentati dalla statua sono evidentemente gli imperi che dominarono su Israele. Molti studiosi ritengono che i primi tre sono quello babilonese, il medo-persiano, il macedone; io concordo con questa tesi. In quanto al quarto, raffigurato dalle gambe di ferro della statua e dai suoi piedi dello stesso metallo però mescolato all’argilla, le interpretazioni sono molteplici. Se teniamo conto dell’ordine storico cronologico, alla breve dominazione macedone su Israele (il ventre di bronzo) succedette quella di più lunga durata dei Seleucidi (le gambe di ferro).
L’impero seleucide, fondato da Seleuco, uno dei generali di Alessandro Magno, a mio parere NON può essere dimenticato nella conta dei quattro regni saltandolo a piè pari per identificare il quarto nell’egemonia romana. Tanto più che il sogno in questione identifica il suo punto debole – i piedi di ferro e di argilla – in un matrimonio fallimentare. In effetti, la potente, “ferrea” dinastia fondata da Seleuco divenne fragile proprio a causa di nozze che generarono guerre intestine.
Detta dinastia era stata in lotta con quella dei Tolomei, i quali erano altri macedoni che dominavano in Egitto. Antioco II, un monarca seleucide, tentò di instaurare la pace fra le due casate ripudiando sua moglie Laodice per sposare Berenice, figlia di Tolomeo II, il suo rivale che regnava in Egitto.
Ma questo matrimonio, anziché consolidare la pace, fu invece causa di rovina per Antioco: quando morì, infatti, scoppiò la guerra fra le due nazioni poiché egli aveva lasciato due mogli, una di stirpe tolemaica e l’altra seleucide, ciascuna delle quali con un figlio pretendente al trono rimasto vacante dopo la sua morte. Un’alleanza, quindi, avvenuta per seme umano; un’alleanza fra due dinastie in conflitto fra loro, incompatibili quanto il ferro lo è con l’argilla, che le rese perciò entrambe più fragili. A quel punto, secondo la profezia, una pietra mossa da mani non umane sarebbe rotolata sui deboli piedi della statua frantumandola: è la mano di Dio che mette così fine a tutte le dominazioni straniere su Israele simboleggiate dalla statua e fa sorgere un regno ebraico finalmente indipendente.
Il regno creato dalla rivolta dei maccabei.
Fu appunto in quegli anni di ritrovata libertà che, secondo la maggior parte degli studiosi, fu redatto il libro di Daniele, retrodatato di circa quattrocento anni all’epoca dell’esilio babilonese.
Secondo me, i versi profetici ivi contenuti avevano lo scopo di rassicurare i rivoltosi che il loro regno e la loro indipendenza sarebbero durati per sempre in quanto instaurati da Dio, che presto avrebbe annientato ogni altra potenza mondiale:
“Il Dio del cielo farà sorgere un regno che non sarà mai distrutto e non sarà trasmesso ad altro popolo: stritolerà e annienterà tutti gli altri regni, mentre esso durerà per sempre.” — Daniele 2: 44, CEI.
Una riflessione certamente condivisibile, solo che non ritengo accettabile l’idea che l’autore possa considerare il regno seleucide più potente di quello di Alessandro Magno. Al capitolo 8 e al capitolo 10 è scritto che il regno della Grecia (Alessandro) ha conquistato il mondo intero, e che i suoi successori (regni ellenistici, compreso quello dei Seleucidi) non hanno mai formato un regno paragonabile al primo. Questo è il motivo per cui nel mondo accademico la Grecia è identificata con il ferro, e il regno di Antioco in uno sviluppo del regno del ferro (che corrisponde al piccolo corno dei capitoli 7 e 8). Per far quadrare i conti, gli studiosi hanno quindi dovuto separare la Media e la Persia, facendo corrispondere alla prima l’argento e alla seconda il bronzo.
A me sembra che la successione delle parti metalliche della statua non indichi la potenza dei diversi regni ma rappresenti la differente raffinatezza delle rispettive civiltà, da quella aurea babilonese (si pensi ai suoi leggendari giardini pensili) ereditata in parte dai rudi medo-persiani con il loro argenteo impero, cui seguì la bronzea eleganza dei greci per terminare con la rusticità dei seleucidi paragonati a un metallo vile, oltre che al fango dei piedi. Non la potenza, quindi, si dovrebbe intendere, ma la preziosità dei costumi.
Poiché inoltre mi pare evidente che i quattro regni siano quelli che successivamente padroneggiarono nella regione palestinese prima che la “pietra smossa da Dio” mandasse in frantumi la statua, quest’ultima simbolo delle dominazioni straniere su Israele, terminate con la rivolta dei Maccabei e la restaurazione del regno indipendente di Giuda, direi che in tale contesto non abbia senso dividere i medi dai persiani. Sarebbe come dire che Israele fu assoggettata prima dai medi e poi dai persiani, il che non corrisponde ai fatti storici. La storia, invece, ci dice che sul Medio e Vicino Oriente (e quindi su Gerusalemme) dominarono prima i babilonesi, poi i medo-persiani unificati da Ciro il grande, quindi i greci guidati da Alessandro, infine la dinastia del diadoco Seleuco.
La quale dinastia e i suoi intrecci con la sorte di Israele sono persino citati nel libro di Daniele, al capitolo 11, dove è chiaro il riferimento all’accordo di pace fra il regno del mezzogiorno (l’Egitto tolemaico) e il regno del settentrione (la Babilonia seleucide) tramite quell’infausto matrimonio. Si accenna alla morte dell’egiziana Berenice, di suo figlio e del marito, il re Antioco, oltre che alla terza guerra siriaca fra queste due nazioni:
“Dopo diversi anni essi si alleeranno e la figlia del re del mezzogiorno (ossia Berenice figlia del re d’Egitto) verrà dal re del settentrione (ovvero dal seleucide re di Babilonia) per fare un accordo. Lei non conserverà la forza del suo braccio e nemmeno la sua discendenza resisterà; sarà messa a morte assieme ai suoi seguaci, ai figli e al marito” — Daniele 11:6, NR
L’esclusione dell’impero seleucide dal simbolismo della statua a me appare, anche per tale chiaro riferimento a quel periodo storico, una forzatura, credo originata dal desiderio di alcuni esegeti di dare credito alle profezie di Daniele, rapportate ovviamente ai tempi odierni o a imprecisate epoche future.
Non credo si possa dire che il regno del ferro sia semplicemente più vile o meno raffinato dei precedenti. La quarta bestia di Daniele 7, che corrisponde alle gambe e ai piedi della statua, e non a caso ha i denti di ferro, domina e schiaccia tutta la terra. La sua potenza supera di gran lunga quella delle bestie precedenti. Per questo gli studiosi oggi vedono in questa bestia la Grecia, e in quella precedente la Persia staccata dalla Media. Dividere i Medi dai Persiani non mi convince per niente, non ritengo abbia molto senso, anche se ci permette di identificare la sconfitta del regno del ferro (e della bestia dai denti di ferro) con la vittoria dei Maccabei.
Riflettendoci, ora mi sembra plausibile che l’autore del libro di Daniele abbia attribuito separatamente ai Medi il secondo regno e ai Persiani il terzo, cosicché il quarto non poteva che essere quello fondato da Alessandro il macedone. La mia considerazione precedente, che il quarto regno corrispondesse invece ai seleucidi, derivava dalle odierne e attendibili conoscenze storiche, le quali sono fondate su analisi scientifiche e incrociate di documenti e reperti archeologici. Ma l’autore biblico ha dovuto affidarsi, per retrodatare il libro di Daniele di cinque secoli, ossia all’epoca della caduta di Babilonia, alle limitate e confuse cognizioni storiche del suo tempo. Si pensi a Erodoto, definito il “padre della storia”, le cui storie sono una mescolanza di alcuni fatti reali con molte dicerie e leggende.
Il riferimento ai seleucidi è invece evidente dove è descritta la blasfemia di Antioco IV Epifane, il quale consacrò il tempio di Gerusalemme a Zeus, introducendovi una sua statua e illudendosi di poter costringere gli ebrei ad abbandonare la Torah e a convertirsi al paganesimo. Su questo punto l’autore non sbaglia trattandosi di avvenimenti a lui contemporanei.