L’Ebraismo cerca di avvicinarci a Dio attraverso il pensiero e le azioni. La superstizione cerca invece di aggirare la potenza di Dio tramite l’utilizzo di formule o rituali magici.

L’Ebraismo cerca di avvicinarci a Dio attraverso il pensiero e le azioni. La superstizione cerca invece di aggirare la potenza di Dio tramite l’utilizzo di formule o rituali magici.
La Bibbia parla di Rosh HaShanah, o meglio del “giorno del clamore” (Yom Teruah), in maniera decisamente enigmatica, senza rivelarne esplicitamente l’origine o il significato, e senza dirci neppure ciò che la festa celebra o commemora.
Oggi molto più che in passato, parlare di “popolo eletto” non è per niente facile. Gli orrori compiuti dai regimi totalitari nel secolo scorso, insieme alla crescente sensibilità egualitaria, ci mostrano quanto possa essere aberrante credere che una nazione, ma anche una qualsiasi comunità, sia intrinsecamente “superiore”.
È possibile che, dal punto di vista strettamente biblico, una festività importante come Shavuot abbia soltanto un significato agricolo? E da dove nasce l’idea della “festa del Dono della Torah”, divenuta da millenni predominante?
Tra gli usi religiosi più noti e rappresentativi dell’Ebraismo c’è sicuramente il precetto dei Tefillìn, gli astucci di cuoio in cui sono contenute delle pergamene che riportano alcuni versi della Torah.
Ma qual è l’origine di questi strumenti sacri? La tradizione rabbinica sostiene che l’obbligo di indossare i Tefillin sia espresso nel testo biblico.
Per quale motivo la Torah prescrive di astenersi dal lievito (chametz) durante i sette giorni dell’importante celebrazione di Pesach? La questione è tutt’altro che banale.