Toledot: Il potere delle benedizioni

beracha

Nella Parashah di Toledot (Genesi 25:19 – 28:9) compare un tema controverso che può risultare di difficile comprensione ai lettori moderni: quello delle benedizioni e delle maledizioni pronunciate dagli esseri umani. La seguente spiegazione, tratta dal Commentario biblico di Umberto Cassuto  (1883 – 1951), chiarisce alcuni aspetti di questo complesso argomento.

Nell’antico Oriente esisteva una credenza molto diffusa secondo cui le benedizioni e le maledizioni, una volta pronunciate dagli uomini, si adempissero da sole grazie al potere magico delle parole. Se però un’altra forza vi si opponeva, allora il potere di questi incantesimi poteva essere annullato. Ciò spiega il motivo per cui nelle religioni orientali, in particolare nei culti dei popoli mesopotamici e degli Ittiti,  fosse riservata tanta importanza alle formule magiche dei sacerdoti, il cui scopo era quello di neutralizzare i poteri degli anatemi lanciati dalle divinità e degli esseri umani.

Le credenze basate sul potere delle benedizioni e delle maledizioni erano comuni anche nel popolo d’Israele, non solo nel periodo biblico ma anche in epoca talmudica (vedi ad esempio Megillah 15a), e si sono protratte fino al tempo presente. La Bibbia attribuisce queste convinzioni popolari ai pagani, come nel caso del re di Moab, che credeva nel potere magico delle imprecazioni di Bilaam (Numeri 22:6: Poiché io so che colui che tu benedici è benedetto, e colui che tu maledici è maledetto), ma anche, in alcuni casi, agli stessi Israeliti. Ad esempio, la madre di Micah, che aveva maledetto colui che le aveva rubato una somma di denaro, dopo aver udito che il ladro era in realtà suo figlio, si affrettò ad annullare l’effetto della maledizione tramite una benedizione: Benedetto sia mio figlio dal Signore (Giudici 17:2). Allo stesso modo, quando Giacobbe temeva che suo padre lo maledisse dopo aver scoperto che si era presentato da lui spacciandosi per suo fratello, fu rassicurato immediatamente da Rebecca, che gli disse: Questa maledizione ricada su di me, figlio mio! (Genesi 27:13), in maniera da attirare l’effetto negativo su sé stessa invece che sul proprio figlio.
I casi appena citati riguardano soltanto singoli individui del popolo ebraico. Nel raccontare le loro vicende, la Bibbia riporta le loro credenze, che erano comuni tra la gente dell’epoca, ma che tuttavia non rispecchiano la vera fede d’Israele. Dal punto di vista della Torah, infatti, sarebbe impossibile immaginare che la parola di un essere umano possa avere un potere indipendente dalla Volontà di Dio, poiché nella concezione biblica il bene e il male derivano unicamente dal Creatore. Le benedizioni degli uomini sono da considerarsi, secondo la Torah, soltanto come auspici e preghiere espressi nella speranza che Dio voglia realizzarli. Anche le imprecazioni umane, quando non sono parole inique, rappresentano in realtà delle preghiere affinché Dio agisca in una determinata maniera. Il Creatore, ovviamente, può non esaudire le richieste delle persone che benedicono o maledicono, a seconda del proposito della Sua Volontà, come è scritto nei Salmi: Essi malediranno, ma tu benedirai; quando si innalzeranno, resteranno confusi, ma il tuo servo si rallegrerà (Salmi 109:28).

La grande differenza tra le superstizioni popolari e i principi basilari della Torah è dimostrata anche dalla formulazione con cui nella Bibbia vengono espresse le benedizioni e le maledizioni; in essa infatti i verbi appaiono molto spesso in una forma che nelle lingue semitiche indica un desiderio, una richiesta o una supplica. Inoltre, nel contesto delle benedizioni e delle maledizioni, il bene e il male sono attribuiti principalmente a Dio, come è evidente dalle parole di Isacco:
Dio ti dia la rugiada dei cieli e la fertilità della terra e abbondanza di frumento e di vino (Genesi 27:28).

In questo e in molti altri casi, siamo davanti a una semplice preghiera espressa da un uomo giusto, che proprio in virtù della sua giustizia si esprime in accordo con la Volontà del Giudice della terra, e le sue parole vengono perciò realizzate.

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