Dieci Comandamenti, cinque principi

Asseret Hadevarim

E disse Hashem a Moshè: «Così dirai ai figli d’Israele: voi avete visto che dal cielo ho parlato con voi» (Esodo 20:22).

Le “Dieci Parole” (Asseret HaDevarìm, o Asseret HaDibberòt), conosciute soprattutto con il nome meno appropriato di “Dieci Comandamenti”, sono i fondamenti morali e religiosi della Torah, il fulcro basilare della Rivelazione sul Sinai e dell’etica biblica.

Il Libro dell’Esodo ci narra che esse furono incise su due tavole di pietra. Ciascuna tavola, secondo una tradizione molto conosciuta, conteneva cinque “Comandamenti”: sulla prima erano incisi i precetti che riguardano la relazione tra l’uomo e Dio, mentre sulla seconda si trovavano quelli relativi ai rapporti tra l’uomo e i suoi simili. Possiamo dire perciò che i primi cinque Comandamenti regolano le “relazioni verticali” (tra l’essere umano e ciò che sta al di sopra), mentre gli ultimi cinque si occupano delle “relazioni orizzontali” (tra gli uomini nella loro natura di parità).

Alcuni studiosi e commentatori rabbinici hanno individuato un sistema di corrispondenze parallele tra i Comandamenti della prima tavola e quelli della seconda: ogni Comandamento si lega al suo corrispondente sulla tavola opposta.

Si può dire quindi che esistano cinque principi morali, e che ciascuno di essi trovi una duplice espressione ramificandosi nel campo delle relazioni verticali e in quello delle relazioni orizzontali. La struttura delle “Dieci Parole” appare dunque tutt’altro che casuale, se si segue fedelmente il testo biblico e la numerazione ebraica, che la Chiesa Cattolica ha purtroppo alterato, creando una nuova lista dei Dieci Comandamenti differente da quella presentata dalla Torah.

Cerchiamo allora di scoprire i parallelismi fra le due tavole e di individuare i cinque principi che costituiscono lo spirito delle Asseret HaDevarìm.

1. Io sono Hashem (Y-H-V-H) il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa degli schiavi.

La prima delle “Dieci Parole”, l’affermazione della Sovranità di Dio, che fa da solenne preambolo e presupposto ai precetti che seguiranno, si lega al sesto Comandamento, il primo nella seconda tavola:

6. Non uccidere.

La corrispondenza è molto chiara alla luce della concezione biblica della natura dell’uomo. La prima proibizione esplicita dell’assassinio, nel Libro della Genesi, recitava infatti: “Chi sparge il sangue dell’uomo, dall’uomo il suo sangue sarà sparso, perché ad immagine di Dio Egli ha fatto l’uomo” (Genesi 9:6).

Se l’essere umano è creato a immagine di Dio, allora uccidere un uomo significa attaccare Dio stesso. Ad unire il primo e il sesto Comandamento è dunque il principio della sacralità dell’esistenza, sia quella della Divinità, sia quella degli esseri umani.


2. Non avrai altri dèi (Elohim) dinanzi a me. Non ti farai idolo né alcuna immagine di ciò che è lassù nei cieli né giù sulla terra, e di ciò che è nelle acque al di sotto della terra. Non ti inchinerai a loro e non li servirai, perché Io sono Hashem, il tuo Dio, un Dio geloso, che esamina la colpa dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione per coloro che mi odiano, e che fa grazia fino alla millesima generazione per coloro che mi amano e osservano i miei ordini.

La proibizione dell’idolatria trova una perfetta corrispondenza nel secondo Comandamento della seconda tavola:

7. Non commettere adulterio.

L’infedeltà a Dio, cioè l’adorazione di false divinità, creature o immagini, è simile all’infedeltà matrimoniale. Nel mondo delle relazioni verticali (uomo – Dio), l’idolatria ha infatti lo stesso ruolo occupato dall’adulterio nelle relazioni orizzontali.

Questo legame è spesso evidenziato dai Profeti, che paragonano il rapporto tra Dio e Israele ad una relazione amorosa tra due coniugi, descrivendo quindi l’idolatria come il tradimento di una sposa adultera.

Citeremo solo due tra centinaia di esempi:
“Va’, ama una donna che è amata da un altro ed è adultera, come il Signore ama gli Israeliti ed essi si rivolgono ad altri dèi” (Osea 3:1);
“Il loro cuore infedele si è allontanato da me e i loro occhi si sono prostituiti ai loro idoli” (Ezechiele 6:9).

Il principio che anima questi due Comandamenti è dunque quello della fedeltà nelle relazioni.


3. Non innalzerai il Nome di Hashem tuo Dio invano, perché Hashem non perdonerà colui che innalza il Suo Nome invano.

Il terzo Comandamento, che condanna l’uso irriverente del Nome di Dio, in particolare in riferimento ai giuramenti falsi (vedi Levitico 19:12), è collegato al divieto del furto:

8. Non rubare.

Entrambi i Comandamenti proibiscono di utilizzare qualcosa che non ci appartiene e di violare ciò su cui non abbiamo potere né autorità. Si individua così il principio del rispetto dei propri limiti, che insegna a distinguere ciò che ci spetta da ciò che è al di fuori dei nostri confini. La Mekhilta fa inoltre notare che l’atto di giurare il falso è proprio tipico dei ladri.


4. Ricorda il giorno di Shabbat per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai tutta la tua opera, ma il settimo giorno è Shabbat per Hashem tuo Dio. Non farai alcuna opera né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo e la tua serva, né il tuo bestiame, né lo straniero che è dentro le tue porte. Perché sei giorni Hashem fece i cieli e la terra, il mare e tutto ciò che è in essi e cessò nel settimo giorno. Perciò Hashem benedisse il giorno di Shabbat e lo santificò.

L’osservanza del riposo sabbatico, imposta allo stesso modo a uomini, donne, ricchi, poveri, servi, forestieri e persino animali, è presentata qui come una testimonianza della Creazione del mondo da parte di Dio. Non è quindi difficile comprendere il motivo per cui il quarto Comandamento sia messo in parallelo al nono:

9. Non dire falsa testimonianza contro il tuo prossimo.

Al popolo d’Israele è comandato di attestare la fede nel Creatore attraverso il rispetto dello Shabbat, e disobbedire a tale precetto è come rifiutare di svolgere questa testimonianza. Si rivela così un principio che potremmo chiamare “impegno nella salvaguardia della verità”.


5. Onora tuo padre e tua madre, in modo che si prolunghino i tuoi giorni nella terra che Hashem tuo Dio ti ha dato.

Il fatto che questo Comandamento sia incluso tra le norme relative al rapporto tra l’uomo e Dio non deve sorprendere. Secondo un’affermazione contenuta nel Talmud, l’uomo ha infatti tre creatori: il padre, la madre e Dio. I genitori ci hanno donato la vita, e il rispetto che spetta a loro deriva da quello dovuto al Creatore. “Onora tuo padre e tua madre” è perciò il Comandamento idoneo per compiere la transizione tra la prima e la seconda tavola. Ad esso è associata la proibizione dell’invidia:

10. Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue o il suo asino, né tutto ciò che è del tuo prossimo.

Il legame tra questi Comandamenti non è immediatamente comprensibile. Secondo Rabbi David Fohrman, invidiare gli altri significa desiderare di vivere la loro vita e disprezzare la propria.

Disonorare i genitori, coloro che ci hanno permesso di esistere e che ci hanno dato un’identità, è ugualmente un modo di disprezzare la propria vita. I due Comandamenti ci insegnano ad accettare ciò che siamo e a riconoscere il valore di noi stessi. Inoltre, come spiega Rabbi Avrohom Chaim Feuer, “il desiderio consumistico porta a trascurare l’amore più importante, quello verso gli uomini, e in particolare verso i genitori”.

2 commenti

  1. Secondo me le corrispondenze individuate da alcuni fra i precetti delle due tavole del Decalogo sono semplici forzature. A eccezione però del secondo e del settimo comandamento che, con tutta evidenza, si possono correlare fra loro. In proposito scrivi:

    “L’infedeltà a Dio, cioè l’adorazione di false divinità, creature o immagini, è simile all’infedeltà matrimoniale. Nel mondo delle relazioni verticali (uomo – Dio), l’idolatria ha infatti lo stesso ruolo occupato dall’adulterio nelle relazioni orizzontali. Questo legame è spesso evidenziato dai Profeti, che paragonano il rapporto tra Dio e Israele ad una relazione amorosa tra due coniugi, descrivendo quindi l’idolatria come il tradimento di una sposa adultera.”

    In effetti, il legame fra HaShem e il popolo eletto avviene con le medesime modalità del sistema matrimoniale mediorientale di quei tempi lontani e che, purtroppo, sussiste ancora oggi in molti paesi, vale a dire:
    lo sposo sceglie la donna che vuole per moglie, la compra e ne diviene il proprietario. Dunque: l’uomo fa una scelta, la donna no. Un esempio biblico è la contrattazione matrimoniale fra Giacobbe e il padre di Rachele. Giacobbe, già sugli ottanta anni d’età sebbene per quei tempi ancora vigoroso, era innamoratissimo di Rachele; questa, che era solo una ragazzina vergine, è oggetto di compravendita fra i due uomini. Mi domando quindi: quali sentimenti poteva nutrire Rachele verso quello sposo, o verso chiunque altro suo padre l’avesse destinata?

    Ugualmente, stando a questa correlazione, è HaShem che ha scelto di “sposare” il popolo ebreo, non curandosi dei sentimenti INDIVIDUALI di ciascun ebreo, di quella generazione e di tutte le altre del tempo avvenire.
    Ci sarebbe, è vero, il patto sinaitico, ma avvenuto nel bel mezzo del deserto, dove circa tre milioni di persone prive di casa e patria potevano sopravvivere unicamente grazie ai prodigi del contraente celeste. Rifiutare la proposta divina non sarebbe stato prudente, e di certo, dopo che fu accettata, non fu accolta dagli israeliti con vera convinzione ed entusiasmo come è dimostrato dalla circostanza che appena poche settimane dopo essi decisero di adorare un idolo.

    Ciò che tengo a evidenziare è che quell’impegno a essere per sempre un popolo santo sarebbe valso anche per tutti i loro discendenti, indipendentemente dalla vocazione di ciascuno. Così come ogni figlio di sacerdote levita era obbligato a divenire a sua volta sacerdote, quindi non per vocazione, allo stesso modo l’intera stirpe di quegli israeliti usciti dall’Egitto era vincolata a essere una nazione santa e di sacerdoti non per vocazione ma per volontà del padre celeste. Sottolineo il termine “vocazione” perché i sentimenti di amore e fede, pretesi verso di sé da HaShem dalla sua “sposa”, sono umanamente una questione del tutto intima e personale vincolata alla volontà individuale, non estendibile contrattualmente anche a tutti gli eredi.

    In quanto all’adulterio, la legge di Mosè condannava pesantemente solo la moglie e non il marito, il quale era libero di riempire il proprio gineceo di altre mogli e concubine. Stando a tali regole, prendiamo ad esempio una ragazza israelita comprata in moglie da un uomo sconosciuto di trenta o quarant’anni più vecchio di lei: poteva accadere che, per le leggi della natura, costei s’innamorasse di un qualche giovane e si legava a lui. Allora dovremmo domandarci: una donna precettata a essere moglie contro la sua volontà, commetteva davvero tradimento o, in realtà, stava solo facendo la sua scelta legittima e naturale?
    Il tradimento coniugale è da considerare realmente tale nel nostro mondo poiché oggigiorno le coppie sono formate da persone che, in piena libertà, hanno stretto fra di loro un vincolo, spesso generato da amore reciproco.

    Tornando alla “sposa” Israele e al suo “sposo” celeste, vorrei porre l’accento sul fatto che oggi le leggi occidentali garantiscono a ogni individuo la libertà di religione, il che comporta il diritto di cambiare eventualmente religione. Ciò da noi è inteso come operare una scelta e non di mettere in atto un tradimento. All’opposto, il Tanakh redarguisce di continuo l’infedeltà di Israele, attribuendo peraltro a tutti gli ebrei di quell’epoca, salvo rare eccezioni, una sola testa, un solo cuore, una sola volontà.
    Ad ogni modo, pur volendo ammettere che quando il popolo israelita adorava le divinità straniere lo facesse davvero unanimemente, perché comunque si dovrebbe parlare di tradimento? Per me era solo una scelta.

    Certo, la Torah non tollera l’apostasia perché si autoincensa perfetta, sebbene le sue leggi sono le medesime arcaiche delle culture e religioni coeve. A volte, anzi, anche più arcaiche rispetto a quelle: per esempio, presso greci e romani perfino i loro dei erano monogami. Bisogna riconoscere che la monogamia in uso nel mondo greco-latino di sicuro rappresentava un bel passo avanti rispetto alla poliginia, e la Bibbia non fa mistero degli harem appartenenti ai monarchi e ai potenti d’Israele, quei luoghi cioè dove centinaia di giovani donne erano imprigionate a vita per il piacere di un solo uomo. Nemmeno Giove, costretto a insidiare le donne mortali travestito da pioggia o da cigno e all’insaputa della consorte Giunone, aveva tale prerogativa!
    Devo anche dire che trovo appropriato il titolo di questo articolo: “Dieci Comandamenti, cinque principi.” Direi che i comandamenti siano effettivamente solo i primi cinque, quali fondamento della teocrazia instaurata dagli esuli rimpatriati da Babilonia.

    1. Quello che dici riguardo il matrimonio “forzato” tra Dio e Israele è assolutamente vero ed è una questione sottolineata anche dai Maestri, in particolare nel Midrash secondo cui Dio sospese il Monte Sinai sopra gli Israeliti, pronto a farlo crollare sulle loro teste nel caso avessero rifiutato la Torah. La storia, che non è da prendere alla lettera, vuole proprio evidenziare il problema da te posto: il Patto del Sinai non è stato accettato in maniera libera dagli Ebrei, ma è stato (quasi) imposto. I Maestri aggiungono però che la libera scelta che mancò al tempo di Moshè avvenne molti secoli dopo, in seguito alla distruzione del Tempio e all’esilio, quando gli Ebrei scelsero di seguire Dio malgrado si potesse legittimamente credere che Egli li avesse abbandonati del tutto.
      Il discorso sul cambio di religione, che a tuo parere non dovrebbe essere inteso come un tradimento, non è invece pertinente nel contesto biblico. L’idea che abbiamo noi oggi di religione non coincide infatti con quella presentata dalla Torah, dove la religione è un Patto, una Legge. Quindi piuttosto che paragonare l’idolatria a un “cambio di religione” nel senso odierno, dovremmo paragonarlo a un tradimento della patria, a un venire meno al rispetto della Costituzione, o ad accordi internazionali firmati dai nostri padri. La popolazione italiana di oggi non ha mai scelto di instaurare una repubblica piuttosto che una monarchia, né ha avuto voce in capitolo quando la legge dello Stato italiano ha preso forma, eppure siamo tutti obbligati a rispettare ciò che altri hanno deciso, per il solo fatto di appartenere a una certa nazione. Lo stesso vale per gli Israeliti di epoca biblica.
      Un’ultima nota su Giove: gli dèi greco-romani erano monogami soltanto in teoria, come dimostrano le molte scappatelle di Zeus da te ricordate. Chi invece è davvero monogamo, pur essendo paradossalmente adorato in un contesto che accettava la poligamia, è proprio il Dio d’Israele. Come dice spesso Rabbi Menachem Leibtag nelle sue lezioni, quello tra Dio e Israele è un matrimonio cattolico.

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