
Dio udì la voce del ragazzo e l’angelo di Dio chiamò Hagar dal cielo e le disse: «Che hai, Hagar? Non temere, perché Dio ha udito la voce del ragazzo là dov’è. Alzati, prendi il ragazzo e tienilo per mano, perché io farò di lui una grande nazione (Genesi 21:17).
Hagar, la serva egiziana della casa di Abramo, è un personaggio che può apparire alquanto marginale all’interno del quadro delle vicende dei patriarchi della Genesi, ma che in realtà, con la sua storia, ci conduce a un’importante riflessione sui valori morali della Torah.
Il testo biblico narra che Sarah (chiamata all’epoca Sarai), essendo sterile, offre a suo marito Abramo (Avram) la propria serva, Hagar, affinché egli la prenda come seconda moglie e ottenga grazie a lei una discendenza. Per quanto tutto ciò possa sembrare insolito ai nostri occhi, dalle fonti giuridiche dell’antichità si comprende che questo procedimento era considerato completamente lecito. Dopo essere rimasta incinta, Hagar diviene però orgogliosa nei confronti della padrona sterile, la quale inizia a trattare la sua serva con durezza (vedi Genesi 16:6). Hagar fugge allora sulla via di Shur, dove un angelo di Dio le appare per esortarla a tornare dalla sua padrona e per consolarla con la promessa di una discendenza numerosa.
In seguito alla nascita di Ishmael (Ismaele) e poi di Yitzchak (Isacco), figli, rispettivamente, di Hagar e Sarah, la rivalità tra le due donne si riaccende: Sarah vide che il figlio partorito ad Avraham da Hgar, l’Egiziana, rideva. Allora disse ad Avraham: «Caccia via questa serva e suo figlio, perché il figlio di questa serva non dev’essere erede con mio figlio» (Genesi 21:9-10).
Ishmael deride il piccolo Yitzchak, e Sarah decide quindi che Hagar e suo figlio devono andarsene al più presto. La situazione provoca un grande dispiacere nel cuore di Avraham, ma alla fine il patriarca esaudisce la richiesta di Sarah, dopo che Dio lo ha rassicurato promettendo che anche Ishmael diventerà il fondatore di una nazione (Genesi 21:11-13). Divenuta ormai una vagabonda, Hagar rischia di morire nel deserto assieme a suo figlio. Ma Dio ascolta la voce del ragazzo (Genesi 21:17) e fa sì che i due si salvino e che Ishmael riceva l’adempimento delle promesse.
L’intero racconto appare problematico: i padri del popolo d’Israele, spesso citati come esempi di giustizia e fedeltà, agiscono in maniera moralmente discutibile nei confronti della serva maltrattata molto più di quanto meritasse. Benché Sarah e Yitzchak siano i depositari del Patto divino, il testo biblico sembra voler indirizzare la compassione dei lettori verso Hagar e Ishmael. Sono questi ultimi, infatti, a rappresentare le vittime del dramma e dell’umiliazione. A questo proposito, Rabbi Jonathan Sacks presenta un’interessante osservazione: quella dell’afflizione di Hagar nel deserto è la prima scena del Libro della Genesi in cui viene menzionato il pianto. Si tratta del primo racconto biblico in assoluto in cui le emozioni dei personaggi sono descritte esplicitamente nel testo. Nachmanide, senza temere di mettere in cattiva luce gli eroi della Torah, scrive nel suo Commentario: “Sarah nostra madre peccò nell’opprimere [Hagar], e anche Avraham, per averle permesso di agire in questo modo. E Dio udì la voce [di Hagar] e le diede un figlio che sarebbe divenuto un uomo selvaggio, per infliggere ogni sorta di sofferenza alla discendenza di Avraham e Sarah”. In un tono ancora più severo, Radak (Rabbi David Kimchi) afferma: “In tale questione Sarah si comportò in una maniera che non era né morale né giusta”.
Per una comprensione profonda della storia di Hagar, è utile soffermarsi innanzitutto sulle parole che Dio comunica all’egiziana sulla via di Shur. Partiamo dunque dalla prima esortazione che la donna riceve dall’angelo: L’angelo di Hashem le disse: «Torna dalla tua padrona e umiliati sotto la sua mano» (Genesi 16:9). Se il discorso si fermasse qui, potremmo credere che il Sovrano dell’universo sia dalla parte di Sarah, e che ad Hagar non spetti altro che un rimprovero. Tuttavia l’angelo continua: «Io moltiplicherò grandemente la tua discendenza e non la si potrà contare, tanto sarà numerosa». Alla prima esortazione segue quindi una ricompensa: la dura sottomissione sarà premiata tramite una discendenza. Ma non è tutto: L’angelo di Hashem le disse: «Ecco, tu sei incinta e partorirai un figlio a cui metterai il nome di Ishmael, perché Hashem ti ha udita nella tua afflizione. Egli sarà un uomo selvaggio; la sua mano sarà contro tutti, e la mano di tutti contro di lui, e abiterà di fronte a tutti i suoi fratelli» (Genesi 16:11-12).
L’espressione perè adàm (uomo selvaggio), secondo il Targum Onkelos, si riferisce al fatto che Ishmael si ribellerà contro tutto il genere umano. Ibn Ezra aggiunge che Ishmael sarà colui che, tra tutti i popoli, non conoscerà restrizioni. Molti interpretano questa caratteristica in senso negativo, ma qui, nel contesto del brano, la promessa deve avere agli occhi di Hagar un valore positivo che possa donarle consolazione. Il termine perè è impiegato nella Bibbia per indicare un asino selvatico che vive libero nel deserto e “non ode le grida di un padrone” (Giobbe 39:7). L’angelo promette quindi ad Hagar che Ishmael, benché figlio di una schiava, sarà un uomo indomabile: la discendenza di Hagar otterrà la libertà. Inoltre, egli riceverà anche il diritto ad una propria terra: “abiterà di fronte a tutti i suoi fratelli” (16:12).
Sorprendentemente, gli elementi contenuti nelle parole dell’angelo ad Hagar si trovano in maniera analoga nel brano del “Patto tra le parti”, in cui Dio rivela le Sue promesse ad Avraham: anche gli Israeliti, prima della redenzione, dovranno essere oppressi e ridotti in schiavitù (Genesi 15:13); a ciò si accompagna, come avviene poi con Hagar, la promessa di una moltitudine di discendenti (versi 5-6), della liberazione dal giogo dei padroni e di una terra da ereditare (versi 14-16).
Queste corrispondenze non sono casuali né isolate: tutta la vicenda di Hagar è infatti segnata da parallelismi velati con la storia dell’Esodo, come nota Rabbi David Fohrman:
- Hagar è egiziana, e il suo nome richiama in ebraico il termine gher (straniero). Hagar l’Egiziana è la serva nella casa degli antenati d’Israele, e, all’inverso, gli Israeliti saranno schiavi stranieri (gherim) nella terra d’Egitto.
- L’afflizione degli Israeliti in schiavitù è indicata con il termine ynui (Genesi 15:16), lo stesso utilizzato per descrivere l’oppressione di Hagar a causa di Sarah (16:6).
- Hagar parte dalla casa dei suoi padroni portando con sé del pane, e si ritrova a vagare nel deserto, esattamente come i figli d’Israele alla loro partenza dall’Egitto con le matzot (pane azzimo).
- Sia Hagar che gli Israeliti redenti soffrono la sete e ottengono l’acqua attraverso un intervento divino.
- La località in cui Hagar si reca quando fugge da Sarah è la stessa in cui gli Israeliti soffrono per la prima volta la sete: il deserto di Shur (Genesi 16:7; Esodo 15:22).
- Dio redime gli Israeliti dopo aver “udito il loro grido” (Esodo 3:7), come in precedenza aveva udito il grido di Ishmael nel deserto (Genesi 21:17).
Ed ecco l’aspetto più interessante di questa figura biblica e del suo dramma troppo spesso sminuito. Nel rappresentare una prefigurazione del futuro Esodo dall’Egitto, la storia di Hagar dimostra quanto il valore della libertà e la condanna dell’oppressione ingiusta non siano limitati dalla Torah unicamente al popolo ebraico. Questo insegnamento assumerà un significato ancora più ampio e universale nelle parole del Profeta Amos, che presenta Dio come Colui che redime i popoli: «Non siete voi per me come i figli degli Etiopi, o figli d’Israele?», dice Hashem. «Non ho io fatto uscire Israele dal paese d’Egitto, i Filistei da Kaftor e i Siri da Kir? (Amos 9:7).
Ciò contribuisce a dare un fondamento ancora più solido a un imperativo ripetuto più volte nella Torah, e che da solo può riscattare la problematica mancanza di moralità che abbiamo riscontrato nel racconto di Hagar: “Non opprimerai lo straniero, poiché voi conoscete l’animo dello straniero, perché siete stati stranieri nel paese d’Egitto” (Esodo 23:9).
Chiarificatore questo commento. La storia di hagar mi aveva molto rattristata, specialmente quando la donna cacciata dice “che io non veda morire il fanciullo”. E’ terribile.