“Allora si cominciò a invocare il Nome di HaShem”

E Adam conobbe ancora sua moglie, ed ella generò un figlio e lo chiamò Shet: «Poiché Dio ha stabilito (shat) per me un altro seme al posto di Hevel, che Kayin ha ucciso».
E anche a Shet nacque un figlio, ed egli lo chiamò Enosh. Allora si cominciò a chiamare con il nome di HaShem
(Genesi 4:25-26).

Dopo averci narrato la storia di Kayin (Caino), e della sua stirpe di uomini progrediti nell’arte e nella tecnica -ma non altrettanto nella moralità, come si evince dal canto del violento e sanguinario Lemekh -, il Libro della Genesi ritorna a parlare della coppia umana originaria, Adam e Chavah (Adamo ed Eva), per raccontarci di un’altra genealogia che si sviluppa in parallelo a quella del fratricida Kayin.
Shet, il cui nome significa “Fondamento”, inaugura un nuovo inizio per la famiglia colpita dal lutto per la morte di Hevel (Abele). Egli genera a sua volta un figlio, chiamato Enosh, cioè “Uomo”, un nome umile che rappresenta probabilmente la nuova disposizione interiore di un’umanità che desidera ripartire dalle sue origini.

Proprio a riguardo dell’epoca di Enosh, la Torah ci dice che “Allora si cominciò a chiamare (altri traducono “invocare”) con il nome di HaShem (Y-H-V-H)”. Cosa significa questa frase?

Secondo l’opinione prevalente tra gli studiosi di ambito accademico, il testo vuole dirci che, dopo la nascita di Enosh, gli uomini iniziarono a invocare il Nome di Dio (Y-H-V-H) per la prima volta nella storia. Eppure, la Genesi ha già menzionato il Nome in tante occasioni nei brani che precedono questo verso, e Chavah stessa l’aveva pronunciato nel partorire Kayin, quando aveva dichiarato con fierezza: “Ho creato (o “acquistato”) un uomo con HaShem” (Genesi 4:1). Come si può allora ritenere che prima dell’epoca di Enosh il Nome non fosse invocato?

Rashi, basandosi sul Midrash, nota che il verbo chalal (“cominciare”) ha anche il significato di “profanare”, e afferma quindi che, al tempo di Enosh, il Nome divino fu dissacrato a causa dell’idolatria. Secondo tale spiegazione, gli uomini iniziarono in questo periodo ad adorare gli astri e le forze della natura, per poi costruirsi idoli a cui attribuire il Nome di Dio, istituendo così un culto illegittimo. L’idea, tuttavia, non sembra corrispondere al significato letterale del brano, poiché non appare coerente con il contesto del racconto.

Una soluzione più lineare e logica sembra essere quella offerta da Umberto Cassuto, il quale, nel suo commentario, fa notare che, nell’ebraico antico, non esiste alcuna distinzione tra un’azione completamente nuova e il suo ripetersi in un tempo successivo. “Costruire” (banah), ad esempio, può assumere anche il significato di “ricostruire” (vedi Salmi 51:18). Secondo Cassuto, il verbo “cominciare” indicherebbe, nel nostro caso, l’atto di ricominciare a chiamare il Creatore del mondo con il suo Nome, il nome specifico che indica la  dimensione personale di Dio nel suo essere vicino alle sue creature.

Quando Chavah aveva dato alla luce Kayin, futuro assassino di suo fratello, aveva espresso il suo orgoglio di madre dichiarando “Ho creato un uomo con HaShem” (4:1), presentando se stessa come una socia attiva del Creatore nel dare vita a un essere umano. In seguito, nell’assegnare un nome al suo terzo figlio (Shet), la donna utilizza invece un linguaggio più umile e dimesso, dichiarando: «Poiché Dio ha stabilito (shat) per me un altro seme al posto di Hevel, che Kayin ha ucciso».
In questo secondo caso, al posto del Nome divino, Chavah adopera il titolo generico e quasi impersonale di Elohìm (“Dio”, “il Giudice”), come a voler esprimere una separazione tra lei e il Creatore, una distanza che non le consente più di chiamare Dio per nome.
Il profeta Isaia, parlando delle sofferenze del popolo d’Israele, scrive: “Non c’è più alcuno che invochi il tuo Nome, […] perché tu ci hai nascosto il tuo volto” (Isaia 64:7); e Amos, descrivendo l’immagine di un uomo posto dinanzi a enormi sciagure, fa dire a costui: “Silenzio! Non si deve menzionare il nome di HaShem” (Amos 6:10). L’idea che la disperazione renda gli uomini quasi incapaci di menzionare il Nome sacro trova quindi conferma anche nei Profeti.

Con la nascita di Enosh, avviene però un cambiamento positivo. Shet, il figlio generato “al posto di Hevel”, riesce a dare vita a una propria stirpe, facendo sì che la famiglia superi il lutto per la morte di Hevel e accolga con gioia le nuove benedizioni.  Allora si cominciò [di nuovo] a chiamare con il nome di HaShem: la consolazione e la speranza per il futuro rendono il cielo e la terra di nuovo vicini.

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