Shavuot: è davvero la “festa del Dono della Torah”?

La festa di Shavuòt, nota anche come “Pentecoste”, è celebrata soprattutto in quanto anniversario della Rivelazione dei Dieci Comandamenti sul Monte Sinai, evento fondamentale per l’Ebraismo. Nella liturgia, Shavuot è infatti chiamata Z’man Matan Toratenu, cioè: “il tempo del Dono della nostra Torah”. Coerentemente con questa definizione, l’osservanza della festività prevede la lettura dei Dieci Comandamenti in Sinagoga e, presso molte comunità, lo studio della Torah durante l’intera notte.

Questa concezione della festa, tuttavia, sembra derivare unicamente dalla tradizione rabbinica. Nella Bibbia, infatti, Shavuot non viene mai messa in relazione al Dono della Torah, né ad altri eventi specifici della storia ebraica. Al contrario delle altre due solennità di pellegrinaggio (Pesach e Sukkot), di cui il testo biblico spiega chiaramente l’origine storica, Shavuot è presentata invece esclusivamente come “festa della mietitura“:

Celebrerai la festa di Shavuot, delle primizie della mietitura del grano (Esodo 34:22; vedi anche Esodo 23:16).

È possibile che, dal punto di vista strettamente biblico, una festività così importante abbia soltanto un significato agricolo? E da dove nasce allora l’idea della “festa del Dono della Torah”, divenuta da millenni predominante?

Un evento senza data

Per quanto possa apparire sorprendente, la Torah non riporta la data esatta in cui avvenne la Rivelazione sul Monte Sinai. Il Libro dell’Esodo ci rivela solo che “al terzo mese dall’uscita degli Israeliti dal paese d’Egitto, in questo giorno essi giunsero al deserto del Sinai” (19:1). Il verso, come spiegano molti commentatori, si riferisce al primo giorno del terzo mese; tuttavia, dalla narrazione che segue non è possibile dedurre chiaramente quanti giorni trascorsero tra l’arrivo degli Israeliti presso il Sinai e la Rivelazione. Persino tra i Maestri del Talmud (Shabbat 86a – 88a) esiste una divergenza di opinioni: secondo i Saggi, la Rivelazione avvenne il sesto giorno di Sivan, mentre per R. Yossi avvenne il settimo giorno.

Altrettanto sorprendente è poi il fatto che la Torah non fissa in maniera esplicita la data della festa di Shavuot (caso unico fra tutte le festività), ma ci dice solo di “contare sette settimane” dopo Pesach (Levitico 23:15). Spetta quindi a Israele, attraverso questo conteggio, stabilire la data della festa. Se si considera che nei tempi antichi i mesi del calendario ebraico non avevano una durata fissa – dal momento che ci si basava sull’osservazione diretta della luna e non su calcoli astronomici – ciò significa che la data di Shavuot poteva addirittura variare di anno in anno.

Anche dal punto di vista rabbinico, possiamo dunque affermare che Shavuot non sia un vero e proprio anniversario del Dono della Torah. La liturgia parla in effetti di Z’man (alla lettera: “stagione”) Matan Toratenu, e non di Yom (“giorno”) Matan Toratenu, quasi a indicare che ad essere celebrato è il “periodo” della Rivelazione, non la sua data esatta.

Il fatto che la Torah rifiuti di associare questo importante evento a un giorno preciso si può spiegare se comprendiamo che la Rivelazione non è qualcosa di limitato a un tempo e a uno spazio ben definiti: al contrario, essa deve rinnovarsi continuamente attraverso il Tabernacolo (che, come abbiamo spiegato in passato, rappresenta proprio una “versione artificiale” del Monte Sinai) e tramite l’osservanza dei precetti. L’idea è ben espressa in un’interpretazione omiletica (non letterale) di Esodo 19:1 che troviamo nel Midrash Tanchuma:

“Ben Zoma ha detto: «Il verso non dice ‘Al terzo mese… in quel giorno [essi giunsero al deserto del Sinai]’, bensì ‘in questo giorno’. Qual è il significato di ‘in questo giorno’? Ogni giorno in cui ti occupi della Torah, è come se proprio in quel giorno l’avessi ricevuta dal Sinai»”.

Shavuot e il Giubileo

Il significato biblico originario della festa di Shavuot può essere compreso notando i parallelismi che esistono tra questa celebrazione e un’altra ricorrenza della Torah: quella dello Yovel (Giubileo). A proposito di Shavuot, il Levitico afferma:

Conterete per voi, dal giorno dopo il Sabato, […] sette Sabati completi. […] Conterete cinquanta giorni (23:15-16).

E in riferimento allo Yovel, poco dopo:

Conterai per te sette Sabati di anni, [cioè] sette volte sette anni. […] Santificherete il cinquantesimo anno” (25:8-10).

L’analogia verbale e numerica è evidente. Le due formule iniziano entrambe con il verbo “contare” (safar), seguito dal numero sette, dal termine Shabbat e infine dal numero cinquanta. La differenza sta solo nel fatto che nel primo caso si parla di cinquanta giorni, mentre nel secondo di cinquant’anni.

Possiamo dunque affermare che Shavuot sia una sorta di “Giubileo annuale“, oppure, all’inverso, che il Giubileo sia una festa di Shavuot in scala temporale maggiore. L’analogia è anche concettuale: Nell’anno dello Yovel, ciascuno può nutrirsi dei frutti che i campi producono spontaneamente (25:12), secondo uno spirito egualitario. Lo Yovel è un momento di libertà, di gioia, condivisione e inclusione. Lo stesso si può dire di Shavuot, festa in cui si gioisce davanti ad HaShem con tutto il popolo, e durante la mietitura è obbligatorio lasciare parte del prodotto ai poveri e ai forestieri:

E gioirai davanti ad HaShem, il tuo Dio, tu, tuo figlio e tua figlia, il tuo servo e la tua serva, il Levita che è entro le tue porte, e lo straniero, l’orfano e la vedova che sono in mezzo a te, nel luogo che HaShem, il tuo Dio, ha scelto per farvi dimorare il suo nome. Ti ricorderai che fosti schiavo in Egitto e avrai cura di mettere in pratica questi statuti (Deuteronomio 16:11-12).

Quando mieterete la messe della vostra terra, non mieterai fino ai margini il tuo campo e non raccoglierai le spighe lasciate indietro del tuo raccolto; le lascerai per il povero e per lo straniero. Io sono HaShem, il vostro Dio (Levitico 23:22).

Tutto ciò ci riporta proprio alla Rivelazione sul Sinai, il momento in cui si realizza pienamente la libertà conquistata dagli Israeliti con l’uscita dall’Egitto. Non a caso, la parola Yovèl (“montone”), che ricorda il corno di montone il cui suono annunciava l’apertura dell’anno del Giubileo, compare per la prima volta proprio in Esodo 19:13, per indicare il suono udito dagli Israeliti ai piedi del monte. La Rivelazione sul Sinai è per Israele un momento di “Yovel”, di annuncio solenne e proclamazione della libertà.

In riferimento al Giubileo, Dio afferma in Levitico 25:23: “La terra non potrà essere venduta in modo permanente, poiché tutta la terra è mia, e voi siete presso di me come stranieri e residenti”. Come nota Rabbi David Fohrman, l’idea della sovranità di Dio sulla terra era stata già espressa proprio nel racconto del Sinai con gli stessi termini. In Esodo 19:5 leggiamo infatti: “Sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare, poiché tutta la terra è mia“.

Non sorprende dunque che quello che nel testo biblico è solo un collegamento implicito e indiretto, nella tradizione rabbinica sia divenuto invece il tema centrale della festa. In un’epoca in cui il popolo ebraico si era ritrovato a lungo senza una propria terra, privato di quella libertà celebrata dallo Yovel e da Shavuot, il significato originario della festa è stato spesso tralasciato (pur rimanendo vivo tramite la lettura liturgica del libro di Ruth nel giorno di Shavuot), per fare spazio alla celebrazione del Dono della Torah, evento la cui importanza non è mai stata eclissata dalle circostanze storiche.

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