Fornire a chi non è Ebreo una guida pratica per imparare a vivere seguendo i precetti universali della Torah, senza convertirsi all’Ebraismo. Con quest’obiettivo è stata realizzata l’opera Brit Shalom (“patto di pace”), il nuovo libro del rabbino Oury Cherki, fondatore del Noahide World Center, associazione nata nel 2011 allo scopo di divulgare i valori morali e spirituali dell’Ebraismo al mondo non ebraico.
Convinti che il libro (per ora distribuito solo in versione digitale tramite il sito dell’associazione) possa rappresentare un’interessante novità nel mondo del Noachismo, abbiamo deciso di offrire ai nostri lettori una panoramica dell’opera.
L’idea di una guida incentrata sui principi universali dell’Ebraismo non è in realtà del tutto nuova: nel 2008, Rabbi Moshe Weiner aveva già pubblicato il libro The Divine Code, proponendo un’analisi dettagliata delle leggi noachidi. Il testo di Cherki si distingue però da quello di Weiner per la maggiore chiarezza e concisione, essendo indirizzato anche a un pubblico che non possieda alcuna familiarità con la letteratura rabbinica.
Inoltre, mentre The Divine Code presenta per lo più il punto di vista del movimento Chabad, il nuovo libro è espressione di un’altra linea di pensiero: quella del moderno “Sionismo religioso”. Entrambe le opere, è bene precisare, hanno comunque ricevuto l’approvazione del Gran Rabbinato d’Israele e di altre autorità ebraiche.

Molto più che sette precetti
Molti ritengono che i sette precetti noachidi, per il loro numero esiguo e la loro semplicità, costituiscano un sistema etico piuttosto riduttivo e non siano quindi sufficienti a rappresentare gli obblighi morali e religiosi dell’intera umanità.
Nel suo libro, Rabbi Oury Cherki chiarisce che questa idea non corrisponde alla vera realtà del Noachismo, mostrando innanzitutto come i sette precetti racchiudano al loro interno molti altri obblighi. Un esempio significativo è l’onore dovuto ai genitori, uno dei Dieci Comandamenti che a prima vista non sembra trovare corrispondenza tra i precetti noachidi.
A questo proposito, Rabbi Cherki riporta il principio espresso dagli antichi Maestri (Talmud, Kiddushin 30b), secondo cui il rispetto per il padre e la madre, nostri “creatori”, è strettamente legato alla riverenza nei confronti del Creatore. Per questo motivo, l’autore include l’onore dovuto ai genitori all’interno della proibizione della bestemmia (uno dei precetti noachidi), precisando inoltre che “onorare il padre e la madre è un aspetto della moralità umana accettato in tutto il mondo” (VII, 9).
Proprio a questo proposito, Rabbi Cherki afferma che, oltre ai sette precetti con tutti i loro dettagli e ramificazioni, ai Noachidi è richiesta l’osservanza di “tutti gli obblighi divini che risultano coerenti con le norme etiche, il buon senso e la condotta appropriata” (II, 4).
Nel capitolo XV si parla poi delle “leggi aggiuntive”, ossia altri precetti che alcuni Maestri hanno incluso tra gli obblighi dell’intera umanità. Fra questi, in particolare, spicca il precetto della beneficenza (tzeddakah), la cui validità universale è confermata dall’esempio biblico di Sodoma e Gomorra, che secondo Ezechiele 16:49 furono distrutte proprio per la loro mancanza di compassione per i poveri.
Osservanza opzionale di altri comandamenti
Può un non-Ebreo osservare, oltre ai propri obblighi universali, anche altri precetti della Torah, come la kasherut (norme alimentari ebraiche) e le festività? Sulla scia di Maimonide (Hilkhot Melakhim 10:10), Rabbi Cherki risponde che ciò è possibile, e che una simile scelta comporta una “ricompensa spirituale” (XVI, 1).
In questo aspetto, l’approccio di Cherki si differenzia da quello di Weiner, che nel suo Divine Code aveva invece consentito ai Noachidi di osservare solo i precetti ebraici dal chiaro significato razionale e quelli da cui è possibile trarre in qualche modo dei benefici concreti.
Cherki riporta tuttavia alcune eccezioni: un Noachide non può realizzare un Sefer Torah, né le pergamene contenute nella mezuzah o nei tefillin. A proposito dei tefillin, ai Noachidi non è consentito indossarli (XVI, 3).
Tra i comandamenti legati alle festività sono ricordati in particolare il suono dello shofar, il digiuno di Kippur, il risiedere in capanne durante la festa di Sukkot, l’accensione dei lumi di Chanukkah e la lettura del libro di Ester durante Purim (XVI, 7).
Lo Shabbat e i Noachidi
Uno dei temi più controversi all’interno del Noachismo riguarda il riposo dello Shabbat, da molti rabbini ritenuto tradizionalmente un comandamento esclusivo per il popolo ebraico, in quanto esso è definito dalla Torah come un “segno del Patto” tra Dio e Israele (Esodo 31:16-17).
Il settimo giorno ha però anche una dimensione cosmica e universale, in quanto la sua consacrazione, pur senza alcun comandamento rivolto all’uomo, risale già al racconto della Creazione nella Genesi. Per questo motivo, alcune fonti rabbiniche (tra cui The Divine Code) hanno proposto una sorta di “osservanza parziale” dello Shabbat per i non-Ebrei: un giorno da dedicare alla famiglia e alla vita religiosa, ma senza il completo rispetto delle numerose norme sul riposo sabbatico.
Sulla base del commento di Rashi al Tamud (Yevamot 48b), secondo cui lo straniero che risiede in Terra d’Israele deve osservare lo Shabbat come segno della sua rinuncia all’idolatria, Rabbi Cherki apre tuttavia alla possibilità che anche i Noachidi possano osservare pienamente lo Shabbat, ma purtroppo non approfondisce ulteriormente la questione.
Studiare la Torah
È permesso a un non-Ebreo dedicarsi allo studio dell’intera Torah, anche al di là dei sette precetti e degli argomenti ad essi correlati? La questione, già dibattuta nel Talmud, è riassunta da Cherki in questo modo:
“Esiste una divergenza di opinioni tra i Saggi in merito alla misura adeguata con cui un Noachide dovrebbe studiare la Torah. Alcuni hanno limitato lo studio solo alle parti della Torah che hanno rilevanza universale e che trattano dei principi della fede, della moralità e della legge, che sono particolarmente indicate ai Noachidi. Altri, invece, pongono una distinzione tra il non-Ebreo che non ha accettato le sette leggi noachidi, ed è quindi soggetto a limitazioni nel suo studio, e un Noachide vero e proprio, a cui è permesso studiare l’intera Torah. Questa seconda opinione è quella che prevale” (Brit Shalom, XIV, 19).
Anche in questo caso, il testo va in una direzione diversa rispetto al punto di vista di Weiner e del movimento Chabad, secondo cui ai Noachidi è permesso studiare l’intera Bibbia e i fondamenti basilari della legge ebraica, ma non i dettagli più profondi dei precetti.
Rabbi Cherki sceglie invece di seguire l’approccio di Menachem Meiri (1249 – 1315) e Rav Yechiel Weinberg (1884 – 1966), i quali affermano che la limitazione sia rivolta solo a coloro che vorrebbero servirsi della Torah per fondare una nuova religione. Se però lo studio è mosso da un intento genuino, non esiste alcuna proibizione.
Sono molto interessato all’acquisto del libro ma purtroppo il link da voi indicato non funziona.
Qui puoi trovare il link alla traduzione italiana: https://sguardoasion.com/2021/05/13/brit-shalom-ora-disponibile-la-traduzione-italiana-della-guida-pratica-al-noachismo/#more-6326
Un cattolico che voglia aderire al noachismo può farlo, o il suo credere in Gesù figlio di Dio e alla Trinità lo pone al di fuori?
Il Cristianesimo è generalmente inteso come una sorta di shittuf, cioè un culto in cui la fede nel Dio unico è “associata” a quella in un’altra entità. Se un non-ebreo aderisce a uno shittuf dal punto di vista della fede, secondo molti rabbini non può essere considerato un peccatore, ma se oltre a credere in quest’altra entità la adora come si fa con Dio, allora questo comportamento rientra nell’idolatria. Al di là delle questioni più tecniche, in genere il Cristianesimo non è considerato compatibile con il noachismo.