Genesi ed ecologia: “Dominate la terra”

Nel 1967, sulla prestigiosa rivista “Science”, lo storico Lynn White Jr. pubblicò un articolo intitolato “Le radici storiche della nostra crisi ecologica”. In esso l’autore affermava che, al contrario delle religioni pagane con la loro pura devozione verso la natura, l’Ebraismo e il Cristianesimo hanno creato un contrasto tra l’essere umano e la terra, gettando le basi della moderna emergenza ambientale e favorendo secoli di sfruttamento scellerato delle risorse naturali.

White sosteneva che, secondo il racconto biblico della Creazione, «Dio ha creato l’universo esplicitamente per il bene dell’uomo, in modo che questi potesse godere del mondo e governarlo»; e quindi, concludeva: «La crisi ecologica peggiorerà fino a quando non rifiuteremo l’assioma secondo cui la natura non ha altra ragione di esistere se non quella di servire l’uomo».

Alla luce delle attuali riflessioni sullo sviluppo sostenibile e sui cambiamenti climatici, la questione sollevata da White oltre cinquant’anni fa ha assunto oggi rilevanza ancora maggiore, per cui vale la pena interrogarsi sulla correttezza della sua tesi: la Bibbia contiene davvero un messaggio contrario al rispetto dell’ambiente?

Tutto è stato fatto per l’uomo?

Il Libro della Genesi insegna che l’intero universo è stato creato “per il bene dell’uomo”, o addirittura “per servire l’uomo“, oppure no? Contrariamente a quanto asserito da White, il testo biblico non dichiara tale concetto esplicitamente: benché il primo capitolo della Genesi narri la creazione dell’essere umano in termini molto solenni e con grande enfasi, in nessun verso si afferma che l’uomo, posto indubbiamente al culmine dell’opera creativa, sia anche lo scopo o il fine ultimo del cosmo.

Per quanto un’idea simile non sia presentata in maniera esplicita, ciò non esclude che essa possa comunque essere in qualche modo dedotta dal testo. A questo proposito, i Saggi d’Israele hanno espresso due opinioni differenti nel Midrash (Bereshit Rabbah 9:4), commentando il verso di Genesi 1:31 che recita “E Dio vide tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto buono”:

“Rabbi Chama ha detto in nome di Rabbi Chanina: Ciò può essere paragonato a un re che costruì un palazzo; lo vide, gli fece piacere e disse: Palazzo, palazzo, possa tu mostrare grazia davanti a me in ogni momento, proprio come hai mostrato grazia davanti a me in questo momento. […]

Rabbi Yonatan ha detto: [Ciò può invece essere paragonato a] un re che ha fatto sposare sua figlia e ha fatto un baldacchino e una casa per lei e l’ha intonacata, rivestita di pannelli e dipinta; la vide e gli piacque. Disse [a sua figlia]: Figlia mia, possa questo baldacchino mostrare grazia davanti a me in ogni momento, proprio come tu hai mostrato grazia davanti a me in questo momento”.

Rabbi Chama e Rabbi Yonatan si fanno qui ambasciatori di due prospettive diverse: la prima vede l’universo come un grande edificio costruito da Dio per il proprio onore, un’opinione che sarà poi adottata da Maimonide il quale, nella sua Guida dei perplessi, definisce “una follia” l’idea in base a cui ogni pianeta e costellazione sia stato creato per gli esseri umani.

La seconda prospettiva, al contrario, intende la Creazione del mondo come un’opera che non ha valore in sé stessa, ma è stata realizzata esclusivamente per “la figlia del re”, cioè l’umanità, come poi sosterrà Rav Saadya Gaon.

Il dominio sulla terra

E Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, come nostra somiglianza, e abbia il dominio sui pesci del mare e sui volatili del cielo e sul bestiame e su tutta la terra, e su ogni essere che striscia sulla terra» (1:26).

In cosa consiste il dominio dell’umanità sulle altre specie e sulla terra in generale? Cosa deve fare l’uomo per esercitare questa autorità che Dio gli ha concesso? Nel suo Commentario alla Torah, Nachmanide scrive:

“Il motivo per cui, riguardo all’uomo, è detto “abbia il dominio” è che egli dovrebbe governare con mano potente sui pesci, sugli uccelli, sugli animali e su tutte le creature striscianti. […] Gli uomini dovrebbero governare la terra sradicando, demolendo, scavando e tagliando l’ottone e il rame. Il termine “dominio” (rediya) si riferisce al dominio esercitato dal padrone sul suo servo”.

La spiegazione di Nachmanide suona oggi piuttosto inquietante perché ci presenta l’immagine di un’umanità che “opprime” la natura sfruttandola liberamente per i propri bisogni, e tutto ciò con l’assoluto benestare del Creatore. Certo, è difficile immaginare che un grande pensatore come Nachmanide, vissuto nel XIII secolo, approverebbe l’odierna cultura egoistica del capitalismo. Eppure, la sua interpretazione di Genesi 1:26 descrive un rapporto tra il genere umano e la natura che non sembra tenere conto di alcuna responsabilità morale dell’uomo nei confronti degli animali e dell’ambiente.

Un verso, tuttavia, non dovrebbe mai essere letto isolatamente. Subito dopo aver creato l’uomo a Sua immagine, maschio e femmina, Dio parla alle nuove creature e rivolge loro due diverse istruzioni:

E Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra e conquistatela, e abbiate il dominio sui pesci del mare e sui volatili del cielo, e su ogni essere vivente che si muove sulla terra».
E Dio disse: «Ecco, ho dato a voi ogni pianta che produce seme che è sulla faccia di tutta la terra, e ogni albero che ha in esso il suo frutto che produce seme: sarà per voi nutrimento. E ad ogni animale della terra e ad ogni volatile del cielo e ad ogni essere che si muove sulla terra e ha in sé la vita [ho dato] ogni erba verde per nutrimento». E così fu (1:28-30).

Rav Elchanan Samet, in un suo articolo su questo tema, fa notare che la seconda istruzione divina si pone in parallelo alla prima poiché nomina nuovamente le specie animali, ma con un intento opposto: questa volta, gli animali non sono menzionati come oggetti del dominio umano, ma come soggetti nutriti insieme all’uomo con la stessa tipologia di cibo, ossia i vegetali. Rav Samet scrive:

Di conseguenza, comprendiamo che la seconda affermazione di Dio ha lo scopo di ridefinire la prima: c’è un limite morale al dominio dell’uomo sugli animali. Quando svolge il suo lavoro, all’uomo è permesso servirsi di tutti gli animali come ausilio, ma quando si tratta di procurarsi il cibo, egli è un loro pari, e non può trasformarli in cibo per sé.

L’idea che l’umanità primordiale fosse vegetariana è accettata anche dagli antichi Maestri, che nel Midrash Aggadah (Bereshit 1:29) arrivano a dichiarare: “Il Santo Benedetto Egli sia non ha creato le sue creature affinché fossero uccise”. Questo insegnamento assume un ruolo cruciale nel pensiero di Rav Avraham Yitzchak Ha-Kohen Kook, come è spiegato nel suo saggio “La Visione del Vegetarianismo e della Pace”:

“Non esiste alcun dubbio, nella mente di qualsiasi persona istruita e pensante, sul fatto che il dominio menzionato nella Torah […] non si riferisca al tipo di dominio di un despota tirannico che tratta crudelmente la sua nazione e i suoi servi, con l’unico scopo di realizzare i propri desideri e le proprie fantasie. Il Cielo non voglia che vi sia un tale principio ignobile di servitù impresso con un marchio eterno nel mondo di Dio. […] Poiché la Torah testimonia che un tempo tutta l’umanità riuscì a raggiungere questo elevato stato morale, come commentano anche i nostri Saggi in merito ai versi che dimostrano che al tempo di Adamo non era permesso mangiare carne, […] possiamo forse immaginare che un bene morale di così alto valore, che un tempo costituiva la realtà per tutti gli uomini, andrà perduto per sempre?”.

Il Diluvio e l’ecologia

Nel nostro articolo “Il mondo di Dio e il mondo dell’uomo“, abbiamo mostrato come la storia del Diluvio sia narrata nella Genesi come una sorta di “seconda Creazione“: in essa, infatti, il mondo viene riportato drasticamente alle sue origini di caos e assenza di vita, per poi essere riformato secondo la stessa progressione cronologica che si era già svolta nella prima Creazione (vedi la tabella riportata nel nostro articolo a riguardo).

C’è tuttavia un elemento importante che distingue il Diluvio dalla Creazione precedente: il ruolo dell’uomo. Mentre infatti in principio non esisteva altro artefice dell’ordine universale al di fuori dell’Altissimo, questa volta il genere umano, attraverso Noach (Noè) e la sua famiglia, diviene testimone dell’opera divina e persino collaboratore attivo di Dio nel realizzare la rinascita della terra.

Se le responsabilità dell’uomo nei confronti della natura non erano emerse chiaramente nella Creazione originaria, il Diluvio ci mostra un quadro diverso: a Noach è comandato di costruire un’arca non solo per proteggere sé stesso e garantire un futuro alla stirpe umana, ma anche per trarre in salvo alcuni rappresentanti di ogni specie animale. L’abilità dell’uomo, il suo essere “a immagine di Dio” e la sua capacità di dominare sul creato divengono qui funzionali alla preservazione della natura, non alla sua devastazione.

“L’arca di Noach”, spiega dunque Rav Samet, “dovrebbe fungere da simbolo di una filosofia che vede l’uomo come responsabile del mantenimento e del benessere della natura, proprio in virtù delle sue doti morali e intellettuali”.

Oltre la Creazione

Nel riflettere sulla questione del rapporto tra Bibbia ed ecologia ci siamo concentrati finora soltanto sul racconto della Creazione nel primo capitolo della Genesi e sul suo “seguito parallelo” rappresentato dalla storia del Diluvio. Per avere un’idea più completa della relazione tra l’uomo e la natura alla luce della Torah bisognerebbe però indagare anche su altri brani e altri temi.

Innanzitutto, non si può fare a meno di ricordare che la Genesi contiene anche un altro racconto della creazione dell’uomo: la storia del Giardino dell’Eden (2:4 – 3:24). In questa seconda “versione” o “prospettiva”, il testo biblico descrive un altro aspetto della nostra natura umana, diverso ma complementare al primo: l’uomo visto nella sua umiltà e miseria, nella sua progressiva scoperta del mondo e nel suo confronto diretto con la Divinità. Di tutto ciò ci siamo occupati ampiamente nel nostro commentario alla Genesi, a cui rimandiamo, indagando anche sui motivi letterari e teologici per cui la Torah presenti due testi contrapposti sull’origine dell’umanità.

Pur senza addentrarci nei dettagli, vogliamo però evidenziare come nel racconto del Giardino dell’Eden il rapporto tra l’uomo e la natura sia definito in maniera più modesta ed emotiva rispetto al racconto dei sei giorni della Creazione: nell’Eden, il compito di Adàm è quello di “lavorare (o servire) e custodire” (leovdàh uleshomràh – 2:15). L’uomo stesso è formato dalla “polvere del suolo” ed è quindi figlio della terra, a cui è destinato a ritornare. Tale elemento, del tutto assente dal primo racconto, ci mostra la vicinanza e la stretta relazione tra l’essere umano e la natura di cui egli stesso è parte.

L’idea che l’uomo sia un padrone assoluto e dispotico della terra, creata per soddisfare i suoi bisogni oltre ogni limite, è poi apertamente contrastata dalla legge della Torah su vari fronti: lo Shabbat, il settimo giorno, pone un limite all’impeto creativo umano imponendo un’astensione dal lavoro che coinvolge anche gli animali (Esodo 23:12); l’istituzione dell’anno sabbatico (Shemittah) fa sì che alla Terra d’Israele sia concesso un riposo completo ogni sette anni (Levitico 25:1-7); e nello stesso capitolo del Levitico, Dio ricorda agli Israeliti: “La terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini” (25:23). Gli uomini stessi, con le loro azioni peccaminose, “contaminano la terra“, che reagisce rigettando i suoi abitanti (18:25).

Tutto ciò ci basta già per comprendere che non sia la Bibbia di per sé a trasmettere un insegnamento contrario al rispetto della natura: tutt’altro. Semmai, a giustificare gli eccessi del capitalismo e la degradazione dell’ambiente è stata una rilettura moderna e secolare delle Scritture che ha messo l’uomo al posto del Creatore, sostituendo di fatto i comandamenti con le ambizioni economiche.

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