Tra tutti i libri dei Profeti contenuti nella Bibbia ebraica, quello di Yonàh (Giona) sembra rappresentare un caso unico: qui troviamo infatti un profeta d’Israele a cui è affidata la missione di predicare non al popolo ebraico, ma a una nazione straniera. Per volere di Dio, infatti, Yonah è chiamato a recarsi nella capitale assira di Ninive per esortare i suoi abitanti ad abbandonare la loro condotta malvagia:
E fu [rivolta] la parola di HaShem a Yonah figlio di Amittai, dicendo: «Alzati, va’ a Ninive, la grande città, e predica su di essa, poiché la sua malvagità è salita fino al mio cospetto».
Questa eccezionalità ha suscitato alcuni interrogativi tra i commentatori classici dell’Ebraismo, che si sono chiesti perché mai il Dio d’Israele abbia dedicato una simile attenzione agli idolatri Assiri, tanto da inviare uno dei suoi profeti nella loro capitale.
Prima di analizzare le varie risposte che tali commentatori hanno formulato, dobbiamo però prima chiederci se quello di Giona sia davvero un caso senza precedenti, o se sia invece possibile trovare degli esempi analoghi in altri testi delle Scritture.
Gli oracoli sulle nazioni
Leggendo la Bibbia ebraica, non risulta difficile constatare che l’orizzonte dei profeti non sia limitato ai soli confini di Israele. La quasi totalità dei libri profetici contiene infatti i cosiddetti “oracoli sulle nazioni”, ossia raccolte di discorsi rivolti ad altri popoli, di solito contenenti severe condanne in nome di Dio e predizioni di gravi sventure.
È il caso di Isaia, che dedica un’intera sezione del suo libro (capitoli 13-23) a questo tipo di oracoli, rivolgendosi a Babilonia, a Moav, all’Egitto e ad altre popolazioni. Allo stesso modo, Ezechiele (25-31) scrisse molte profezie su Tiro, Ammon, Moav, Edom e l’Egitto. Il Libro di Abdia, costituito da soli 21 versi, rappresenta un esempio interessante da questo punto di vista, essendo interamente dedicato alla condanna degli Edomiti.
Bisogna inoltre notare che tali profezie, sebbene siano di solito molto aspre, talvolta contengono anche messaggi positivi di redenzione e pace. Ciò avviene in maniera esemplare al capitolo 19 di Isaia, in cui troviamo l’annuncio di una futura alleanza messianica tra Israele, l’Egitto e l’Assiria, ben espressa dalla frase posta in chiusura del capitolo: “Benedetto sia l’Egitto, mio popolo, l’Assiria, opera delle mie mani, e Israele, mia eredità” (Isaia 19:25).
Perché allora dovremmo sorprenderci nel leggere della missione di Yonah a Ninive? Cosa c’è di strano se il Creatore del mondo, chiamato “re grande su tutta la terra” (Salmi 47:2) e “Dio di tutta la terra” (Isaia 54:5), Colui che “giudicherà il mondo con giustizia e i popoli con equità” (Salmi 98:9), si interessi delle sorti di una grande città, seppur pagana?
A ben vedere, tuttavia, il Libro di Giona rappresenta realmente un’eccezione per diversi motivi: innanzitutto, nei casi degli oracoli sulle nazioni che troviamo normalmente negli altri libri, il profeta non si reca mai presso gli altri popoli per far udire il proprio messaggio. Non si tratta dunque di vere predicazioni, ma di invettive letterarie che, per quanto ne sappiamo, non sono mai giunte alle orecchie dei diretti interessati.
Inoltre, quando Isaia, Ezechiele e gli altri profeti parlano delle potenze straniere, essi lo fanno soprattutto per condannare i nemici di Israele, annunciando la vendetta divina contro gli avversari e i persecutori del popolo ebraico; al contrario, nel Libro di Giona, la nazione d’Israele non è mai menzionata, e non si trova alcuna traccia dei rapporti (di certo burrascosi) tra Ebrei e Assiri.
Per cogliere tale divario ci basta confrontare il Libro di Giona con un altro testo profetico, anch’esso incentrato su un messaggio rivolto contro Ninive: il Libro di Nahum. In questo caso, il profeta parla della caduta della grande città presentando questo evento come un motivo di esultanza per gli Israeliti, i quali saranno così liberati dal potente oppressore assiro:
Celebra le tue feste, o Giuda, adempi i tuoi voti, perché il malvagio non passerà più in mezzo a te. È salito contro di te un devastatore. Custodisci la fortezza, sorveglia la strada, fortifica i lombi, raccogli tutta la tua forza. Poiché HaShem ristabilirà la gloria di Giacobbe e la gloria d'Israele, perché i predoni li hanno depredati e hanno distrutto i loro tralci (Nahum 1:15 - 2:2)
Qui la profezia su Ninive svolge quindi la funzione di portare conforto al popolo ebraico: l’attenzione dell’autore si concentra principalmente su Israele e sulle sue sofferenze, non sulla nazione straniera e la sua condotta morale. All’opposto, nella storia di Yonah, Ninive non è messa in relazione a Israele; anzi, non è neppure ricordata come la capitale dell’impero assiro, essendo invece descritta come l’archetipo della città corrotta, sul modello di Sodoma e della civiltà del tempo del Diluvio. La Ninive di Giona è insomma un’immagine senza tempo, la cui rilevanza non è vincolata a un preciso contesto storico.
“La sua misericordia è verso ogni creatura”
Il grande commentatore biblico, grammatico e filosofo Rabbi David Kimchi (1160 – 1235), conosciuto come Radak, apre le sue riflessioni sul Libro di Giona ponendosi le stesse domande che abbiamo formulato all’inizio:
“Dovremmo chiederci, perché questa profezia è stata scritta nelle Scritture? L’intera storia riguarda Ninive, cioè una delle nazioni del mondo, e [nel testo] non si parla affatto di Israele. All’interno dei Profeti, non si trova nulla di simile in nessun luogo!”
Secondo Radak, la vicenda del Libro ha lo scopo di fornire un’importante “lezione morale” a Israele, mostrando come una nazione idolatrica abbia accolto il messaggio di Dio senza difficoltà, ottenendo il perdono delle proprie colpe, in contrasto agli stessi Israeliti, i quali non si sono mai dimostrati altrettanto sensibili alle parole dei profeti.
Radak aggiunge poi che il testo intende trasmettere anche un messaggio universalistico, insegnando che il Creatore “è misericordioso verso coloro che si pentono, a qualsiasi nazione appartengano”.
Alla stessa conclusione giunse più tardi, nel XIV secolo, Rabbi Yehoshua ben Shuib, che scrisse nella sua derashah su Yom Kippur:
“E dunque, la profezia di Yonah ben Amittai insegna che HaShem, che è benedetto, «è misericordioso verso tutte le sue creature» (Salmi 145:9), anche verso le nazioni del mondo, e certamente anche verso Israele”.
Una via alternativa
Non tutti i pensatori rabbinici hanno colto ugualmente il messaggio universale di Giona. Isaac Abravanel (1437–1508), ad esempio, nel suo Commentario, affronta la questione partendo da un approccio molto diverso:
“Perché mai il Signore, che sia lodato, dovrebbe preoccuparsi se il popolo di Ninive sia pieno di peccati, e mandare i suoi servi, i profeti, a rimproverarlo e a farlo tornare sulla retta via? […] Non ci è stato forse detto in precedenza [nella Torah] che questa [cura speciale da parte di Dio] è una delle cose che il Santo Benedetto ha riservato al suo popolo Israele, per vegliare su di esso specificamente o generalmente, con la sua grandiosa provvidenza?”
La soluzione proposta a questo punto da Abravanel può apparire sconcertante: secondo la sua interpretazione, Dio si sarebbe impegnato a salvare Ninive non per amore dei suoi abitanti, ma per far sì che l’Assiria sopravvivesse abbastanza a lungo da poter fungere più tardi da strumento dell’ira divina contro gli Israeliti, al tempo in cui l’impero assiro invase Israele e deportò le dieci tribù del Nord. In altre parole, Dio avrebbe preservato gli Assiri dalla distruzione allo scopo di usarli in seguito per punire Israele (!).
La stessa idea è stata poi adottata nell’Ottocento dal Malbim, che spiega:
“Poiché l’Assiria era destinata a diventare la “verga dell’ira di Dio” (Isaia 10,5) per punire Israele che meritava il castigo divino, dunque Dio ha voluto causare il loro pentimento in modo che essi fossero pronti ad adempiere il Suo decreto riguardo a Israele”.
Monoteismo a Ninive?
Abraham Ibn Ezra (1092 – 1167), studioso celebre per il suo approccio rigoroso al testo, ha elaborato a questo proposito un’interpretazione originale che si distingue sia dall’universalismo di Radak che dal particolarismo di Abravanel.
Commentando il verso di Giona 3:3, in cui alla lettera è scritto che “Ninive era una città grande per Dio (‘ir ghedolah leElohim), Ibn Ezra afferma che gli abitanti di Ninive erano noti per essere uomini virtuosi, timorati di Dio fin dai tempi antichi e non dediti al culto degli idoli, come dimostrerebbe anche il fatto che, parlando del loro ravvedimento, il testo non menzioni la distruzione di altari o di statue di falsi dèi.
Questa devozione pura nei confronti del Dio unico, sostiene ancora Ibn Ezra, costituirebbe il vero motivo per cui il profeta Yonah fu inviato proprio a Ninive, città monoteista che meritava di essere ricondotta sulla via della giustizia.
Oggi sappiamo che una simile interpretazione non risulta in alcun modo coerente con la realtà storica: la religione assira era, naturalmente, politeista come quella dei popoli vicini. Eppure, secondo quanto afferma Rabbi Steven Bob in un suo articolo, la soluzione creativa proposta da Ibn Ezra conserva un certo valore in quanto potrebbe costituire un tentativo di “adottare una prospettiva più universalista nei confronti dei propri vicini”.
L’interpretazione di Ibn Ezra potrebbe infatti essere stata ispirata dal fatto che questo illustre studioso nacque nella Spagna islamica e visse a lungo a contatto con il mondo musulmano, un mondo in cui si rendeva culto unicamente al Dio di Abramo, lo stesso adorato dagli Ebrei. Dietro l’improbabile immagine dei Niniviti monoteisti, potrebbe insomma celarsi quella dei veri popoli devoti a Dio ai quali, in base a questo approccio, non è negata la strada della redenzione.