Il libro di Zaccaria (Zechariàh) ha come tema principale la grandiosa redenzione del popolo d’Israele che condurrà al trionfo di Dio nella storia umana. Lo scopo del profeta è quello di esortare gli Israeliti, vittime di sconfitte e umiliazioni, a confidare nelle promesse divine di riscatto.
Una delle profezie più conosciute all’interno di questo libro è quella che riguarda un evento futuro che capovolgerà per il meglio le sorti di Israele, permettendo al popolo di ricevere grazia e purificazione da parte di Dio. Zaccaria scrive:
Spargerò sulla casa di David e sugli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di supplicazione. Ed essi guarderanno verso di me, a colui che hanno trafitto, e lo compiangeranno come si compiange un figlio unico, e saranno addolorati per lui come si è addolorati per un primogenito (Zaccaria 12:10).
A cosa si riferisce qui il profeta? Chi è la persona “trafitta” per cui il popolo sarà addolorato? Come stiamo per scoprire, la comprensione di questo oracolo è stata a lungo condizionata dai significati teologici che la tradizione cristiana ha elaborato, favorendo riflessioni dottrinali che, come spesso accade, rischiano di allontanare i lettori della Bibbia dal senso originario del brano.
Un verso, molte traduzioni
Nell’originale ebraico, il verso di Zaccaria 12:10 presenta una sintassi alquanto anomala: non solo perché il testo, nella stessa frase, dice prima “verso di me” e subito dopo “a lui”, ma anche per un’apparente incongruenza nelle preposizioni utilizzate, che qui abbiamo provato a rendere in italiano con “essi guarderanno verso di me (elay), a colui (et asher) che hanno trafitto”.
Il grande commentatore medievale Rashi spiega il verso in questo modo: “Essi si rivolgeranno a me (cioè a Dio) per lamentarsi di coloro che le nazioni trafissero e uccisero durante l’esilio”.
La versione JPS (1985) traduce: “Essi si lamenteranno con me di coloro che sono stati trafitti”. Una lettura simile è stata adottata dalla Common English Bible: “Essi guarderanno a me a riguardo di colui che hanno trafitto”.
Robert Alter propone invece una vocalizzazione alternativa rispetto a quella tradizionale, leggendo eley (“verso, nei riguardi di”) al posto di elay (“verso di me”): “Essi guarderanno verso coloro che sono stati trafitti”.
Bisogna a questo proposito notare che alcuni manoscritti tramandano una versione differente del testo. In tali manoscritti, l’espressione “verso di me” non compare, ed è sostituita da “verso di lui” (elav): “Essi guarderanno verso di lui, a colui che hanno trafitto”.
È difficile stabilire quale di queste versioni e traduzioni sia la più corretta. Malgrado ciò, come vedremo in seguito, il significato del testo può essere comunque colto tenendo conto di alcune indicazioni che il brano ci offre.
Zaccaria 12:10 e la tradizione cristiana
All’interno del Cristianesimo, il verso di Zaccaria è divenuto una ricca miniera teologica ed è stato inteso in senso spiccatamente messianico. La profezia, infatti, ha riscosso particolare successo poiché si presta a essere letta come un concentrato di riferimenti alla fede cristiana.
Innanzitutto, il fatto che si parli di qualcuno che è stato “trafitto” può richiamare alla mente la figura di Gesù il Nazareno e la sua crocifissione (benché il verbo dakar, “trafiggere”, quando compare nella Bibbia, si riferisca sempre all’atto di infilzare qualcuno con la spada o con la lancia).
La frase “Essi guarderanno a me”, pronunciata da Dio, è stata poi evidenziata dai teologi trinitari come una prova del fatto che Gesù sia l’incarnazione di Dio: secondo questa prospettiva, Zaccaria avrebbe preannunciato che il Creatore sarebbe stato “trafitto” dagli uomini, anticipando così la dottrina cristiana.
Inoltre, la descrizione del cordoglio degli Israeliti è stata intesa come il rimorso che gli Ebrei proveranno alla fine dei tempi per non aver riconosciuto il Messia e per averlo fatto condannare a morte, un’idea molto cara già ai fondatori della Chiesa. L’espressione di Zaccaria “E lo compiangeranno come si compiange un figlio unico” è stata poi associata al concetto cristiano dell'”unigenito figlio di Dio”, ancora una volta in riferimento a Gesù.
Tutto ciò ha condotto autori cristiani come il metodista Jospeph Benson a dichiarare che “questo brano può riferirsi principalmente alla futura conversione collettiva degli Ebrei alla fede cristiana”.
È interessante notare come l’interpretazione di questi teologi, paradossalmente, appaia in contrasto con quella fornita da un’altra insospettabile fonte: il Nuovo Testamento. Il Vangelo di Giovanni, nella sua narrazione della morte di Gesù, riporta infatti:
“Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Giovanni 19:32-37, CEI 2008).
Dunque, in base a questo passo del Vangelo, la profezia di Zaccaria non si adempirà alla fine dei tempi, quando gli Ebrei si convertiranno al Cristianesimo; al contrario, essa avrebbe già trovato il suo compimento duemila anni fa: secondo Giovanni, coloro che “volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” non sono gli Ebrei, bensì i Romani che colpirono il fianco del Nazareno.
Inoltre, cosa ancora più rilevante, Giovanni cita qui la versione alternativa del verso di Zaccaria, quella che, come abbiamo già ricordato, non riporta affatto “verso di me”, ma “verso di lui“: nel Vangelo, quindi, la profezia in questione non è associata ad alcuna prova della natura divina di Gesù.
Il contesto è la chiave
Dobbiamo a questo punto interrogarci sulla questione posta all’inizio: di chi sta parlando davvero Zaccaria? A prescindere da quale sia la lettura più accurata del verso (“Verso di me”, “verso di lui”, “riguardo a colui”, “nei confronti di coloro” ecc.), analizzando l’intero capitolo di cui esso fa parte riusciremo a comprendere la profezia nel suo significato contestuale.
Il capitolo 12 di Zaccaria si apre con l’annuncio di una terribile guerra che coinvolgerà Gerusalemme. Molti popoli attaccheranno la città santa, ma Dio renderà la loro impresa impossibile e gli invasori saranno sconfitti:
E avverrà in quel giorno che io renderò Gerusalemme una pietra pesante per tutti i popoli: quelli che vorranno sollevarla saranno di certo lacerati, e si raduneranno contro di essa tutte le nazioni della terra (12:3).
Grazie all’intervento divino, gli eserciti nemici saranno colpiti da grande terrore e confusione (12:4-5), Gerusalemme sarà risparmiata (12:6) e i suoi abitanti diventeranno talmente forti che il più debole tra loro sarà come David, mentre la “Casa di David” (la stirpe reale) diverrà come “l’Angelo di HaShem” (12:8).
È a questo punto che il profeta afferma che in quel tempo ci sarà un grande cordoglio a Gerusalemme per “colui che è stato trafitto”. E subito dopo aggiunge:
In quel giorno, si accrescerà il cordoglio a Gerusalemme, come il cordoglio di Hadad-Rimmòn nella valle di Meghiddo. E il paese farà cordoglio, ogni famiglia per sé (12:11-12).
Pur avendo appena predetto la vittoria in guerra e la salvezza dalla distruzione, Zaccaria chiude il suo annuncio con l’immagine triste di un lutto nazionale. Alter spiega in proposito: “Nella battaglia per difendere la città, molti sono caduti di spada, e perciò il trionfo è oscurato da una profonda tristezza per queste terribili perdite”.
Il testo ci fornisce qui un indizio importante per comprendere la profezia: questo lutto che affliggerà Gerusalemme sarà “come il cordoglio di Hadad-Rimmon nella valle di Meghiddo“. A cosa si riferiscono queste parole? Che cosa è successo in questa valle?
La Bibbia racconta che il re Yoshiyahu (Giosia), per cercare di ostacolare una campagna militare del faraone Necho, marciò contro di lui e fu ucciso nella valle di Meghiddo (2 Re 23:29; 2 Cronache 35:22). Secondo 2 Cronache 35:24-25, gli abitanti di Gerusalemme e dell’intero regno di Giuda fecero lutto per il loro re caduto in battaglia, e il profeta Geremia compose anche un lamento per lui.
Il riferimento a tale evento drammatico del passato getta un po’ di luce sulle misteriose parole di Zaccaria: come il popolo ebraico pianse per la morte del re Yoshiyahu, così anche in futuro piangerà per l’uccisione in guerra di qualcun altro, al tempo in cui molte nazioni proveranno invano ad annientare Gerusalemme.
Tuttavia, proprio questo lutto permetterà al popolo di ottenere la grazia divina: “Essi guarderanno verso di me”, cioè si rivolgeranno a Dio, in preghiera e in penitenza, a causa di “colui che [i nemici] hanno trafitto”, piangendo per le vittime (o per una vittima in particolare) della guerra e ricevendo così “uno spirito di grazia e di supplicazione” (12:10).
L’analogia presentata dal profeta tra il lutto per la morte di Yoshiyahu e il grande cordoglio che avverrà in questa guerra futura chiarisce anche l’interpretazione che troviamo nel Talmud (Sukkah 52a), secondo cui la persona “trafitta” di cui parla Zaccaria sarà un re o un capo di Israele, proprio come Yoshiyahu.
Costui è noto come Mashiach ben Yosef, una figura messianica che secondo la tradizione rabbinica troverà la morte nella guerra finale tra Israele e le nazioni nemiche, innescando con la sua uccisione un processo di ravvedimento per il popolo ebraico. Un’idea che, come abbiamo visto, trae la sua origine proprio da questo capitolo di Zaccaria.
Mashiach ben Yosef non significa Messia figlio di Giuseppe? Gesù era legalmente figlio di Giuseppe, non è stato un capo come lo intendevano a i Rabbì ed è questo che non lo ha fatto riconoscere, anche i suoi apostoli non lo avevano capito all’inizio.
Giovanni citando quella versione del versetto di Zaccaria non attesta che Gesù è Dio, ma non significa che non lo credesse.
Mashiach ben Yosef è considerato discendente di Giuseppe figlio di Giacobbe, quindi della tribù di Efrayim. Non Giuseppe il falegname.
Certamente Giovanni non credeva nella divinità di Gesù in senso trinitario moderno. Nel suo Vangelo scrive esplicitamente che il Padre è maggiore di Gesù, quindi tra i due pone una diversità di natura.
Caro redattore, anche se non credi, perché falsifichi le scritture? Chi ha visto me ha visto il Padre è scritto nel vangelo di Giovanni, perché io e il Padre siamo una cosa sola. Tu sei un intellettuale, e lo sai che ci vuole onestà intellettuale. Almeno quello serve nella vita, visto che non costa niente.
Caro anonimo, lungi da me falsificare qualsiasi testo. È vero che Gesù in Giovanni dice “Io e il Padre siamo uno”, ma è anche vero che in un altro verso (17:21) dice pure: “Anch’essi (gli apostoli) siano uno con noi”. Dunque “essere uno” secondo il linguaggio di Giovanni non implica condividere la stessa natura divina, altrimenti, per essere coerenti con il verso citato, alla Trinità dovrebbero essere aggiunte altre dodici persone, gli apostoli.
dice pure chi ha visto me ha visto il padre. Poi se ti farebbe piacere discutere liberamente sulla trinità, tu lo sai quanto mi farebbe piacere. Visto che ti piace l’ebraismo, tu lo sai che Dio è Uno… e tutti devono essere una sola cosa anche lui, in primis il popolo di Israele ( Voi sarete santi perché io sono santo e tutto il resto…). E questa unità nel cristianesimo si realizza grazie a Gesù, vero uomo e vero Dio. Dio ha piacere se alla trinità si aggiungono altre miliardi di persone….. E’ peccato o non è peccato diventare come Dio? Devi rileggere il racconto del peccato originale per capire tutto, ma forse molte cose te l’avevo già spiegate
Un saluto