Nell’articolo precedente abbiamo parlato dell’episodio più oscuro della vita del patriarca Yaakòv (Giacobbe): la sua lotta contro un ignoto assalitore che prima lo ferisce e poi lo benedice conferendogli il nuovo nome di Yisraèl (Israele).
Come abbiamo visto, alcuni elementi del racconto indicano che “l’uomo” affrontato da Yaakov non possa essere ritenuto un essere umano: l’autorità spirituale che costui mostra di possedere, l’atmosfera surreale che richiama il modello letterario di alcune leggende antiche, nonché il parallelismo con la vicenda di Manoach nel Libro dei Giudici, dimostrano che il brano intende narrare un’esperienza mistica, un incontro con una realtà ultraterrena.
Riprendiamo allora la nostra analisi andando alla ricerca di una chiave di lettura in grado di chiarire non solo l’identità dell’avversario, ma anche il senso generale del brano all’interno del suo contesto narrativo.
Giacobbe ha lottato con Dio?
Se da un lato c’è chi propone di “smitizzare” il racconto riducendo l’avversario di Yaakov a un semplice uomo, nella schiera opposta troviamo chi lo identifica addirittura con Dio. Questa interpretazione, sostenuta soprattutto da alcuni esegeti cristiani, sembra avere alcuni punti di forza.
Innanzitutto, Yaakov stesso dichiara: “Ho visto Dio (Elohim) faccia a faccia e la mia vita è stata risparmiata” (Genesi 32:31). È vero che Elohim può avere anche altri significati, ma l’idea che la visione di Dio possa provocare la morte compare anche in altri passi (Esodo 33:20; Giudici 13:22), per cui il termine in questione sembra doversi riferire qui proprio alla Divinità.
Inoltre, in un brano successivo (Genesi 35:9-10), è scritto che Dio assegna a Yaakov il nome di Yisrael, proprio come aveva già fatto l’avversario nel racconto della lotta (32:9). Ciò potrebbe logicamente suggerire che i due siano la stessa persona.
In ultima analisi, anche tale interpretazione risulta tuttavia insostenibile alla luce di alcuni dettagli:
- L’assalitore afferma: “Lasciami andare perché sta spuntando l’alba” (32:27), parole che rivelano che il suo potere è limitato: come uno spirito notturno, egli non può più agire dopo il sorgere del sole, e chiede a Yaakov di “liberarlo” prima che il tempo scada. Ciò non può di certo applicarsi al Creatore del mondo.
- Il testo precisa che l’avversario “non riusciva a vincere” (32:26). Anche in questo caso, è difficile immaginare che la Torah possa attribuire a Dio una simile debolezza.
Se quindi l’oppositore non può essere identificato con Dio, al contempo appare innegabile che questo personaggio sia descritto come un Suo rappresentante: egli benedice Yaakov, gli dà un nuovo nome, e trovarsi faccia a faccia con lui equivale a “vedere Dio“.
A questo proposito, ricordiamo che anche Manoach dichiara: “Noi abbiamo visto Dio” (Giudici 13:22); eppure, nel suo caso, il testo chiarisce in modo esplicito che ad apparirgli non è stato davvero l’Altissimo, ma il malakh HaShem, “l’angelo di Dio” (13:21).
Ciò si spiega considerando che la Bibbia ebraica non concepisce gli angeli (malakhìm) come esseri indipendenti dotati di una propria caratterizzazione individuale. Piuttosto, citando Elia Benamozegh, possiamo dire che i malakhim sono intesi “come estensioni della Divinità nella natura, come la Sua reale Presenza, oppure, come dice il Midrash, essi sono i suoi stessi arti e i suoi organi”.
Interessante è a questo proposito la spiegazione di Nahum Sarna (JPS, 2001):
“Da alcuni testi emerge chiaramente che la linea di demarcazione che separa Dio dagli angeli risulta spesso sfumata. Un angelo si rivolge ad Hagar (Genesi 16:7-8,9,11), ma lei risponde parlando direttamente a Dio (v. 13). Lo stesso cambio di interlocutori avviene in Genesi 22:11-12, 15-18 e nel racconto del roveto ardente in Esodo 3:2, 4. Durante l’Esodo dall’Egitto, talvolta è Dio a guidare gli Israeliti con il loro accampamento (Esodo 13:21), talvolta invece è un angelo (14:9). Nella storia di Gedeone (Giudici 6:11-23), Dio e il Suo angelo si alternano nel prendere la parola”.
Si deve quindi dedurre, anche in accordo con le parole di Osea 12:5 (“Nel suo vigore lottò con Dio, lottò con l’angelo e vinse”), che l’anonimo oppositore di Yaakov sia un emissario divino comparso – nella realtà, in sogno o come mera costruzione allegorica – nella forma di un uomo, poi rivelatosi come una manifestazione di Dio.
Una volta compreso tutto ciò, ci resta un interrogativo non meno importante: per quale strano motivo Dio avrebbe inviato un angelo ad assalire il patriarca? ovvero, in altre parole, qual è lo scopo di questa breve ma significativa parentesi nella storia del ritorno in patria di Yaakov?
Incontri ravvicinati dello stesso tipo
L’idea che Dio, per mezzo di un suo inviato ultraterreno, ostacoli qualcuno in modo violento nel mezzo di un viaggio che Egli stesso gli aveva comandato di intraprendere non compare unicamente nella vicenda di Yaakov.
Il grande commentatore medievale Rashbam (Rabbi Shmuel ben Meir) ha scoperto infatti che nella Torah esistono altri due racconti che ci presentano situazioni simili, con le stesse sorprendenti caratteristiche. Riflettere su queste storie analoghe ci permetterà di capire meglio anche il nostro brano.
Pensiamo a Moshè, nel Libro dell’Esodo. Subito dopo aver ricevuto la missione di condurre gli Israeliti fuori dall’Egitto, il grande profeta si mette in cammino e vive un’esperienza sconvolgente: Dio lo assale in una locanda per ucciderlo, finché sua moglie Tzipporah non lo mette in salvo in modo alquanto enigmatico, ossia circoncidendo suo figlio e gettando del sangue ai suoi piedi (Esodo 4:24-26).
Nel Libro dei Numeri (capitolo 22), leggiamo poi di Bil’am, profeta pagano, che dopo aver ottenuto da Dio il permesso di recarsi dal re di Moav per maledire Israele, viene ostacolato da un angelo armato di spada, che per tre volte fa sbandare la sua asina.
Queste storie sono molto complesse e meritano pertanto di essere esaminate nel dettaglio singolarmente. Sul nostro sito, abbiamo del resto già dedicato due articoli separati a tali racconti (vedi “Quando Dio cercò di uccidere Mosè” e “Balak: quando gli asini parlano“).
In questa sede, ci limiteremo a semplificare il quadro passando subito alle conclusioni: lo scopo di questi racconti è mostrare come Dio intervenga per preparare i suoi servi prima del compimento di una missione, rendendoli pronti ad affrontare ciò che li attende.
Si tratta insomma di storie di un traumatico “addestramento”, in cui il protagonista assiste a una prefigurazione (o anticipazione profetica) di ciò che avverrà in seguito.
Nel caso di Bil’am, ciò è più evidente: così come l’asina viene “dirottata” da Dio tre volte e rimproverata dal suo inconsapevole padrone, allo stesso modo Bil’am stesso sarà poi “dirottato” da Dio per tre volte (nel suo proposito di maledire Israele), e sarà per questo rimproverato dall’inconsapevole re di Moav.
Nell’episodio di Moshè nella locanda, il pericolo di vita e la salvezza ottenuta grazie al sangue della circoncisione prefigurano gli eventi della notte della decima piaga, quando l’angelo della morte verrà a sterminare ogni primogenito in Egitto, e sarà proprio il sangue (quello del sacrificio di Pesach) a garantire la salvezza agli Israeliti.
Ciò si intuisce dal fatto che, nel verso che precede il misterioso agguato divino nella locanda, si parla proprio dell’annuncio della piaga dei primogeniti (Esodo 4:23); e inoltre, più avanti, il testo illustra una stretta correlazione tra il precetto del sacrificio di Pesach e quello della circoncisione (12:47-48).
Attraverso queste esperienze drammatiche, sia Moshè che Bil’am assistono a un presagio di ciò che sta per accadere e al contempo, scampando al pericolo, divengono degni di portare a termine il loro compito.
Possiamo allora dire lo stesso anche di Yaakov? È possibile che l’incontro con il suo avversario abbia in qualche modo prefigurato gli sviluppi futuri e preparato il patriarca a superare la prova che lo attendeva?
Da Giacobbe a Israele
Come abbiamo ricordato nella prima parte, la lotta di Yaakov con l’angelo avviene mentre il patriarca si appresta a incontrare il suo gemello Esav, del quale ha un grande timore.
Si tratta di un momento cruciale: a vent’anni di distanza, Yaakov è chiamato a fare i conti con il passato. Lui, che aveva sempre evitato il confronto diretto ricorrendo a raggiri e sotterfugi (si pensi alla benedizione sottratta a Esav, ma anche alla recente fuga dalla casa di Lavan), ora, per la prima volta, non deve nascondersi né scappare.
Questo è dunque il momento in cui egli è chiamato ad abbandonare la sua identità di Yaakov, che in ebraico richiama il calcagno, ma anche l’inganno (Genesi 27:36), e a diventare invece Yisrael, colui che affronta faccia a faccia le difficoltà, che non ha paura, che è “diretto” (yashàr) con Dio (El) e con gli uomini.
La lotta con “l’uomo” misterioso, secondo una lettura psicologica, sarebbe allora la rappresentazione del tormento interiore che questa svolta porta con sé. Dal punto di vista teologico, si tratta invece di un incontro orchestrato dalla volontà divina per rendere Yaakov all’altezza della sfida che lo attende, secondo il modello che si ripete nelle vicende di Moshè e Bil’am.
E l’impresa, in effetti, riesce al meglio: Yaakov incontra Esav il giorno seguente, i due si abbracciano, il primo si prostra più volte davanti al secondo, ribaltando il senso delle parole con cui il padre l’aveva benedetto quando lui si era spacciato per il suo gemello: “Sii il padrone dei tuoi fratelli e si prostrino davanti a te i figli di tua madre” (27:29).
Come a voler restituire al fratello ciò che gli aveva sottratto con l’inganno, Yaakov gli dice: “Prendi (ve-lakach), per favore, la mia benedizione (birkhatì)” (33:11); frase che fa eco al lamento pronunciato da Esav vent’anni prima: “Ed ecco, ora egli ha preso (lakach) la mia benedizione (birkhatì)!” (27:36).
Ed Esav, dal canto suo, si stringe al suo collo (tzavar), lo stesso collo che Yaakov aveva ricoperto con una pelliccia per camuffarsi da Esav al cospetto del padre cieco (27:16). E mentre all’epoca, una volta scoperto l’inganno, il primogenito raggirato aveva pianto (27:38), ora i due fratelli piangono insieme (33:4).
Una simile trasformazione, un capovolgimento delle sorti che pone rimedio agli errori del passato, è il frutto di una battaglia interiore che Yaakov ha vinto.
A conferma di tutto ciò, si può notare che la scena della lotta appare come un “riflesso” o un presagio dell’interazione tra Yaakov e suo fratello, come si evince dai segnali che il testo ci invia attraverso alcune espressioni che si ripetono:
Yaakov e l’angelo | Yaakov ed Esav |
“Ti lascerò andare solo se mi avrai benedetto!” (32:26). | “Prendi, ti prego, la mia benedizione che ti è stata recata” (33:11) |
“E Yaakov chiamò quel luogo Penièl (Faccia di Dio), poiché [disse]: «Ho visto Dio faccia a faccia» (32:30) | “Vedere la tua faccia è stato per me come vedere la faccia di Dio” (33:10). |
“…e la mia vita è stata risparmiata” (32:30). | “Risparmiami, ti prego, dalla mano di mio fratello!” (32:11). |
Secondo Rav Yissachar Yaakobson (Bina BaMikra), tra la lotta con l’angelo e l’incontro con Esav esiste anche un altro parallelismo basato sull’uso dei verbi chabak (abbracciare) e avak (lottare). I due vocaboli sono molto simili nel suono e nella grafia, e anche i loro significati, benché di fatto opposti, si riferiscono a due azioni visivamente non molto diverse: una lotta corpo a corpo può apparire infatti come un abbraccio. Yaakov lotta con l’avversario, ma abbraccia Esav: nel primo gesto si cela il secondo.
Alla luce di quanto abbiamo spiegato, l’interpretazione rabbinica del Midrash, secondo cui l’assalitore di Yaakov è il “ministro di Esav”, cioè una rappresentazione metafisica o un riflesso spirituale di Esav, acquisisce ora un nuovo significato e diviene sorprendentemente vicina al senso autentico del brano, poiché nel testo esiste effettivamente una corrispondenza tra l’avversario ed Esav.
Rav Chanoch Waxman, raccogliendo a nostro parere la vera essenza del racconto, ha scritto in proposito che “anche quando provoca momentaneamente il collasso fisico di Yaakov, Dio in realtà lo sta aiutando e sostenendo per sfidarlo a trovare nuove risorse esistenziali, allo scopo di completare così la sua missione e di espiare le sue colpe del passato”.
Eccellente analisi sulla quale concordo in pieno, anche perché aderente alla esegesi data dal Targum Onkelos. Una sola precisazione:in Genesi 32:31 il termine ebraico utilizzato non è “el” bensì “elohim”, tradotto appunto dal Targum Onkelos , come ho detto nel commento al primo articolo, con “malakh di HaShem”. Come sappiamo “elohim”, che grammaticalmente è un prurale, se usato al singolare indica generalmente, anche se non sempre,Dio o più ampiamente una “teofania”.
Giusto, ho corretto il refuso. “El” si trova nel verso solo come parte del nome “Peniel”.
Ma Sguardo a Sion, nella tradizione ebraica però si hanno almeno 5 versione diverse sull’episodio.
-Un emissario, ministro o sicario di Esaù, tradizione storica giudaica
-un angelo custode di Esaù di natura buona, vedi il Bereshit Rabba 77,3 e Rashì che dice Giacobbe affrontò in quell’episodio Samaél ossia l’angelo custode di Esaù che apparve in sembianze umane
-un angelo custode di Esaù di natura malvagia, secondo Lekakh Tov invece era un angelo del male e secondo il Talmud Babà Batra 16a questo angelo di Esaù è la quintessenza del male, ossia il Satan stesso.
-una tradizione secondo la quale l’episodio non sussiste Maimonide
-un angelo di Dio quest’ultima penso la seguono pure i cristiani.
Non c’è che l’imbarazzo della scelta mi sembra. Quindi, ognuno è libero di credere, leggere e interpretare questo brano come vuole. Il mistero per me non è affatto risolto! E l’episodio rimane oscuro e ancora difficile da decifrare. Poi la spiegazione che hai dato circa il comportamento violento di questo messaggero divino, anche se l’hai agganciata ai dei parallelismi di Mosè e Biliam non mi convince affatto sembra una arrampicata sugli specchi. La necessità poi di questo”emissario divino” di strattonare, picchiare, e calciare Giacobbe perché non riesce a vincerlo è tutto dire e da ridere…considerato che era un angelo divino quindi sicuramente più forte e potente di un pavido e vile come Giacobbe, lascia sinceramente sconcertati e sbigottiti. E dopo questo, benedirlo e cambiargli nome? Naaaaa, non ha nessun senso logico. Quale è la morale? Il comportamento di Giacobbe poi, successivamente di fronte a Esaù non cambia affatto. Anzi quando lo incontra e lo ha di fronte trema come una foglia e striscia a terra come un verme, si prodiga in maniera vergognosa adulandolo lodandolo esageratamente per compiacenza, interesse o bassezza d’animo dicendogli che vedere lui è come vedere Dio (ahhaah) …altro che frutto di una battaglia interiore che Yaakov ha vinto. Ne deve fare di strada ancora Giacobbe… Negli episodi successivi con l’inganno di Labano e dopo aver sposato le due sorelle Lia e Rachele ecc.. forse finalmente capisce e matura, allora, apprese sue responsabilità, avviene sì un cambiamento e la nascita di Israele.
Le interpretazioni ebraiche sono sempre tante, ma per capire il significato originario di un brano ci si deve concentrare sul testo, non sulle tradizioni. Questo è il pshat, il senso primario del testo biblico, che spesso non coincide con il significato attribuitogli poi dalla tradizione.
Se la consideriamo una semplice vicenda realistica, allora la storia di Yaakov e l’angelo non ha molto senso, così come non hanno senso quella di Moshè nella locanda e di Bilam con la sua asina, perché non è ragionevole che Dio tenda un agguato a qualcuno dopo avergli dato il permesso o persino comandato di svolgere una certa missione. Sono storie in cui la trama serve solo a trasmettere una morale, un insegnamento. In questo caso, l’agguato è una “finzione” che serve a creare nel protagonista una metamorfosi interiore che lo rende degno di portare a termine il suo compito. Questa a mio parere è la chiave senza la quale resta solo un racconto bizzarro slegato dal suo contesto narrativo.
Avete fatto riferimento all’interpretazione cristiana, ma senza riportarla. Di certo ce ne saranno tante anche in ambito cristiano, ma un grande mistico di cui non riporto il nome, dice che ha combattuto con Gesù quella notte, ed ha vinto…. ha vinto con gli uomini e con Dio (non contro gli uomini e Dio…). Solo con Gesù, che è vero e vero Dio, si sanano tutte le apparenti contraddizioni bibliche. Ed anche nel caso di Giacobbe possiamo dire che ha combattuto sia con Dio che con un uomo. Ma perché ha vinto? in che cosa ha vinto? Ha combattuto prima di entrare nella terra promessa, ed il grande mistico dice che si fece benedire e promettere da Gesù ( e quindi Dio) che non avrebbe mai ripudiato il suo popolo anche se non l’avrebbe riconosciuto come Messia. Israele significa colui che combatte con Dio, perché combatte sempre un ebreo, ma combatte per amore. Meditate, ed amate, Dio e gli uomini.
Tutto ciò andrebbe bene se la Genesi fosse stata scritta da un teologo cattolico trinitario del V secolo d.C..
Ma dato che non è questo il caso, vedere riferimenti ai dogmi della Chiesa (sorti soltanto in un periodo storico molto successivo) all’interno di un racconto del Tanakh è filologicamente inaccettabile.
Mio caro redattore, tu lo sai che a me piace il ragionamento logico e coerente, anche se poi non è detto che porta inevitabilmente a conclusioni certe o inattaccabili. E dal punto di vista logico, non ho ben capito la tua osservazione. Perché la genesi non è stata scritta neanche dai maestri del talmud, o dai tanti altri maestri a cui fai riferimento dopo il V secolo d.c. E se loro la possono interpretare, perché non la possono interpretare i teologi cattolici? Solo perché si basa sui dogmi? e su che cosa si basa l’ebraismo? Un volta ho letto che l’ebraismo si basa sulla logica e il cattolicesimo sui dogmi, secondo alcuni rabbini, ma come cerco di farti sempre presente, qualsiasi logica umana è traballante, specialmente di fronte a Dio, o semplicemente di fronte alla Bibbia. Parla tu a noi, e non ci parli direttamente Dio, altrimenti moriremo, disse il popolo a Mosè ai piedi del monte sinai, e se solo per un istante camminassi in mezzo a loro, li sterminerei all’istante, disse poi il Signore a Mosè. C’è bisogno di un intercessione fra l’uomo e Dio, e come ricordò Mosè al popolo Dio gli avrebbe mandato un profeta pari a lui, in modo che non avessero più paura. Come ho cercato sempre di spiegarti, è meglio se ti attiene al senso letterale di ciò che è scritto nella Bibbia, e lasci perdere per un attimo tutte le interpretazioni umane, perché sono solo giustificazioni o teorie per non accettare Gesù come Messia, ma come dice un salmo, proprio grazie al suo Messia, il Signore Dio annullerà la sapienza dei sapienti e distruggerà l’intelligenza degli intelligenti. Tu pensi di essere libero dai dogmi, ma purtroppo sei avvinghiato in stereotipi, pregiudizi e preconcetti, ed invece di seguire liberamente la verità biblica, usi strumentalmente il tuo pensiero per cercare di dimostrare quello che già prima ti sei prefisso di voler dimostrare. Ma volendo nella Bibbia si può dimostrare tutto e il contrario di tutto, salvo trovare l’unica e retta via, ed aver fede ed umiltà. PS. il cattolicesimo da una spiegazione logica, unitaria e sistematica di tutta la Bibbia, a partire dalle prime parole della genesi, mentre nessun altro è capace di fare ciò, neanche gli ebrei che sono il popolo della rivelazione, o che hanno scritto semplicemente la Bibbia. E dire che il tutto si basa sui dogmi ( senza poi prenderli in esame) è rifugiarsi in calcio d’angolo o sviare le questione basilari e principali. Dire che Dio non ripudierà il suo popolo e lo salverà solo grazie al suo Messia, lo potrebbe dire qualsiasi ebreo che ha letto la Bibbia. E solo grazie al suo Messia ci sarà pace fra tutti i fratelli, compreso Giacobbe ed Esaù, quindi ha combattuto con il messia Giacobbe. Passa un buon sabato
Chiunque in qualsiasi epoca può interpretare la Scrittura, è chiaro. Ma se la si vuole interpretare cercando il suo significato originario, allora non si possono introdurre elementi estranei al contesto del brano che si interpreta. In caso contrario, non è un’interpretazione del vero senso del testo (pshat in ebraico) ma una forma di ermeneutica che ha il suo valore per chi aderisce a una certa fede, ma non per lo studioso del pshat. Infatti in questo sito non si citano mai interpretazioni rabbiniche estranee al contesto, come quelle chassidiche, perché semplicemente non ce ne occupiamo. Lo stesso quindi vale con le interpretazioni cristiane.
Ci siamo chiariti a quanto sembra….. salvo in un punto. Perché tu consideri estranea l’interpretazione cristiana. Ma per fare un passo in avanti, a rigore sarebbe corretto dire, l’interpretazione degli ebrei che riconoscono Gesù come Messia. Ciò per restare all’interno dell’ebraismo. Ma quello che voglio dirti, è che prima di considerarla estranea a prescindere come base di partenza, dovresti analizzarla compiutamente senza pregiudizi per vedere dove ti conduce, e confrontarla poi con tutte le altre interpretazioni, per vedere magari quali siano più coerenti al testo, sistematiche ed unitarie come spiegazioni. Dio è un mistero, ma come diceva Einstein, essere conscio del mistero della vita è il sentimento più bello che un uomo possa mai provare. E tu devi solo allargare quanto più possibile l’ambito e la coscienze del mistero, ed i sentimenti poi dipendono dal cuore di ognuno. Ma mi perderei in tante divagazione se continuassi, ed invece a volte piacerebbe solo analizzarla razionalmente la Bibbia, e le interpretazioni talmudiche sono contraddittorie..
Anonimo dovresti dare risposte quando sei sobrio. Diversamente la tua è solo propaganda cristiana. Falla finita con le tue visioni mistiche.😂
Le nozze si celebrano con il vino…inebriati dal mistero divino, perché le visioni mistiche dicono che nel cuore dell’uomo il Signore Dio ha posto il fondamento del mondo, e senza amore tutto è vanità…
Le visioni mistiche dicono che Giacobbe ha combattuto con il Messia, mentre quelle sobrie basate sul raziocinio e pensiero umano, non hanno alcun senso logico nel ritenere che abbia combattuto con lo spirito di Esaù, del tutto contraddittorie stando al testo biblico.
Devi essere più specifico. Sono le tue visioni mentali caro anonimo che dicono che Giacobbe ha combattuto con Gesù non il brano.
Per logica biblica ha combattuto con il Messia di Israele ( non certo con lo spirito di Esaù perché non ci sarebbe alcuna logica), poi è da vedere chi è il messia. Se vi parlo di Gesù è perché vi parlo di amore, perché Dio è amore, ed è per amore che si combatte. Ma la volete sapere qual è la più grande sfida? Ho creduto anche quando mi sono detto che ogni uomo è un nulla, dice Davide. Perché la più grande sfida in pratica è amare gli uomini, ma l’amore umano non può reggere mai da solo quando non si ama anche e soprattutto Dio. Discendere da Dio all’uomo quando non si può risalire dagli uomini a Dio. Buon Natale, e sia luce…