Conoscere il Nome di Dio

Yod

Il brano della Torah che leggiamo questa settimana si apre con un’affermazione particolarmente solenne, ma anche alquanto controversa per la sua interpretazione:

Dio parlò a Mosè dicendo: «Io sono Y-H-V-H. Sono apparso ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe come El Shadday, ma con il Mio Nome Y-H-V-H non fui conosciuto da loro (Esodo 6:2-3).

Questo passo sembra trasmettere l’idea secondo cui il Nome proprio di Dio, il Tetragramma sacro, non fosse noto agli antichi patriarchi, e che esso sia stato rivelato per la prima volta a Mosè nel periodo della schiavitù in Egitto. Se però andiamo a consultare il Libro della Genesi (facendo attenzione all’omissione del Nome di Dio da parte di moltissimi traduttori), ci accorgiamo che ciò, in effetti, non corrisponde alla verità.

Ad Abramo, infatti, Dio aveva detto: «Io sono Y-H-V-H che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei, per darti questo paese in eredità» (Genesi 15:17); e a Giacobbe:  «Io sono Y-H-V-H, il Dio di Abramo tuo padre e il Dio di Isacco» (28:13). Se questi esempi non fossero già sufficienti, ricordiamo che Abramo, secondo Genesi 22:14, chiamò il luogo del mancato sacrificio di Isacco “Y-H-V-H Yirè”, nome che contiene il Tetragramma.
Come si può allora asserire che i patriarchi ignorassero il Nome divino?

Per prima cosa, mettiamo momentaneamente da parte questo interrogativo e proviamo a comprendere quale sia il significato del Tetragramma secondo la Torah. Sembra un desiderio davvero ardito e ambizioso, considerando la grande varietà di spiegazioni proposte nel corso dei secoli, oltre che l’immensità dei significati filosofici e mistici associati a questo nome. Eppure, se ci concentriamo esclusivamente su ciò che il testo biblico afferma, dal punto di vista del senso letterale, la questione diviene molto meno complicata di quanto si potrebbe pensare. La soluzione va ricercata nel famoso brano del “roveto ardente”:

Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma essi mi diranno: Qual è il suo nome? E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Ehyeh asher Ehyeh (“sarò Colui che sarò”)». Poi disse: «Dirai agli Israeliti: Ehyeh mi ha mandato a voi». Dio aggiunse a Mosè: «Dirai agli Israeliti: Y-H-V-H, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il Mio Nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione (Esodo 3:13-15).

La Bibbia pone qui una relazione diretta tra Y-H-V-H (Il Nome di Dio per eccellenza, la cui pronuncia è sconosciuta) e il verbo “essere”. Ehyeh asher Ehyeh (“sarò Colui che sarò”), è infatti l’espressione pronunciata in prima persona da Dio per spiegare il Suo Nome, che sarà introdotto subito dopo.

Dal dialogo tra Dio e Mosè sarebbe fuorviante voler estrapolare concetti metafisici o dottrine astratte. Mosè non era un filosofo desideroso di conoscere la natura dell’Assoluto, e agli Israeliti schiavi in Egitto non interessava apprendere nozioni teologiche misteriose. La rivelazione del Nome deve avere invece un significato coerente con il contesto del brano e idoneo ad essere compreso da un popolo oppresso; un significato molto vicino a quello espresso dai Maestri del Talmud:

“Sarò Colui che sarò – Il Santo Benedetto Egli sia disse a Mosè: Riferisci agli Israeliti: Sono stato con voi nella vostra oppressione, e sarò con voi quando sarete oppressi dagli altri regni” (Talmud Bavlì, Berakhot 9b).

A questo proposito, nel suo Commentario al Libro dell’Esodo, Umberto Cassuto scrive:

Il nome Y-H-V-H, che designa il Dio di Israele, è alla terza persona del tempo futuro, e nel nostro testo è interpretato nel senso di: yihyè (letteralmente: “Io sarò”, da intendere come “Io sono”). Dunque, quando la spiegazione è fornita da Y-H-V-H stesso, il verbo appare alla prima persona: ehyeh.
Il significato è: Io sono Colui che è con le Sue creature nell’ora della loro tribolazione e del bisogno, per aiutarli e per salvarli, come ho già dichiarato: «Io sarò (ehyeh) con te» (Esodo 3:12). E Io sono Colui che sono, sempre allo stesso modo, e come ora sono con te, così sarò con tutti i figli d’Israele che sono in schiavitù, e con tutti coloro che che hanno bisogno del Mio aiuto, sia ora che in futuro. […] Io sono Colui che sono, sempre allo stesso modo, e perciò sono fedele alla Mia Parola e la porto a compimento.

Questa interpretazione si accorda con il passo del Talmud prima citato, secondo cui il Tetragramma rappresenta l’attributo divino dell’adempimento delle promesse. Y-H-V-H è quindi il Dio che annuncia al Suo popolo: “Io sono con voi, ora e sempre”, che è vicino agli uomini per guidarli e sostenerli, e che perciò opera per tenere fede al Suo Patto e compiere i Suoi giuramenti.

Da questa prospettiva è possibile anche comprendere il motivo per cui la Torah afferma che i patriarchi non avevano conosciuto il Nome di Dio. Cassuto infatti spiega:

Il testo dichiara: “Sono apparso ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe come El Shadday, ma con il Mio Nome Y-H-V-H non fui conosciuto da loro”. Molti studiosi hanno dedotto da qui che il verso derivi da un documento secondo cui i patriarchi non utilizzavano il nome Y-H-V-H, e di conseguenza questo passo è divenuto uno dei pilastri dell’ipotesi documentale. Tuttavia, possiamo dire che, se questo fosse davvero il significato corretto, la frase sarebbe stata espressa diversamente. Il verso avrebbe affermato: “Ma non ho fatto conoscere loro il Mio Nome Y-H-V-H”, oppure: “Ma il Mio Nome Y-H-V-H non fu noto a loro”. […]
Il significato corretto del brano diviene chiaro se consideriamo gli usi tradizionali dell’antico Oriente. I popoli orientali attribuivano abitualmente a ciascuna delle loro divinità vari nomi e qualità, e associavano ad ogni denominazione concetti e caratteristiche specifiche. Nei testi degli Egizi, ad esempio, si afferma che una certa divinità compia un determinato tipo di imprese sotto un certo nome, e altri tipi di azioni sotto altri appellativi. […] Al nome Shadday (qualunque sia la sua etimologia), gli Israeliti associavano l’idea della Divinità che regna sulla natura e che dona agli uomini la fertilità, come si evince da tutti i versi in cui nel Pentateuco è usato questo nome, come ad esempio Genesi 17:1-2: “Io sono El Shadday… e ti moltiplicherò grandemente”; Genesi 28:3: “E El Shadday ti benedica, ti renda fecondo e ti moltiplichi” […]. Tutto ciò ci consente di comprendere chiaramente il testo in esame. Dio dichiara: Io mi sono rivelato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe nel Mio aspetto che è espresso dal nome Shadday, e Io li ho resi fecondi e li ho moltiplicati, dando loro figli e nipoti, ma con il Mio Nome Y-H-V-H, cioè nella mia caratteristica rappresentata da questo nome, non fui conosciuto da loro; ad essi non fu concesso di riconoscermi come Colui che adempie le Sue promesse, poiché essi non ottennero il possesso del paese che Io avevo loro garantito.

I padri del popolo ebraico non avevano sperimentato una rivelazione completa delle qualità espresse dal Nome di Dio. Abramo aveva ricevuto la promessa di una terra per i suoi discendenti, i quali sarebbero stati liberati dal dominio di una potenza straniera (Genesi 15:13-19). Ma tale profezia non si era avverata nel corso della vita dei patriarchi. Solo grazie alla liberazione dall’Egitto e all’ingresso nella Terra santa le antiche promesse si sarebbero realizzate.

Se proviamo ora a rileggere il brano di Esodo 6:2-3 e i versetti successivi, alla luce di queste riflessioni, scopriremo che ogni cosa appare più chiara:

Dio parlò a Mosè dicendo: «Io sono Y-H-V-H. Sono apparso ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe come El Shadday, ma con il Mio Nome Y-H-V-H non fui conosciuto da loro. Ho anche stabilito il Mio Patto con loro, per dar loro il paese di Canaan, quel paese dove essi abitarono come forestieri. Sono Io che ho udito il lamento degli Israeliti asserviti dagli Egiziani e mi sono ricordato del Mio Patto. Per questo di’ agli Israeliti: Io sono Y-H-V-H. Vi sottrarrò all’oppressione degli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi libererò con braccio teso e con grandi castighi. Io vi prenderò come Mio popolo e diventerò il vostro Dio. Voi saprete che io sono Y-H-V-H, il vostro Dio, che vi sottrarrà all’oppressione degli Egiziani. Vi farò entrare nel paese che ho giurato a mano alzata di dare ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe, e ve lo darò in possesso: Io sono Y-H-V-H».

Il testo ci lascia dunque intendere che “conoscere il Nome di Dio”, nel linguaggio biblico, non significa apprendere le lettere di un nome, bensì fare esperienza dell’adempimento delle promesse divine. Ma quello dell’Esodo non è l’unico caso in cui tale concetto è espresso. In moltissime occasioni, per dare un suggello di veridicità alle promesse di Dio, nei libri dei Profeti è impiegata la frase “Saprete che Io sono Y-H-V-H”.

Ciò avviene, ad esempio, nel caso della Redenzione messianica predetta da Isaia: “Allora tu saprai che Io sono Y-H-V-H e che non saranno delusi quanti sperano in me».” (Isaia 49:23).
È ovvio che il popolo a cui il profeta si rivolgeva non aveva alcun bisogno di conoscere letteralmente il Nome di Dio. In Israele, infatti il Tetragramma era ormai noto a chiunque da molti secoli. Ma coloro che sperimenteranno realmente la Redenzione preannunciata, secondo le parole di Isaia, conosceranno la fedeltà di Dio alle Sue promesse, rappresentata dal Nome di Colui che si rivelò dicendo: Ehyeh asher Ehyeh.

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